2025-06-13
Leone XIV nomina, Pechino approva. Finisce l’ambiguità dell’era Bergoglio
Joseph Lin Yuntuan, prelato fedele alla Santa Sede e non alla «Chiesa» di regime, sarà vescovo a Fuzhou. La Cina ratifica. È una rottura dello schema precedente, in cui era Roma a dare l’ok alle scelte del partito.Tira un’aria nuova nei rapporti tra Santa Sede e Cina. L’altro ieri, è stato reso noto che Leone XIV ha nominato vescovo ausiliare di Fuzhou un ex esponente della Chiesa «sotterranea», Joseph Lin Yuntuan. La designazione papale è avvenuta ai sensi dell’accordo provvisorio tra Santa Sede e Cina sulla nomina di vescovi, siglato nel 2018 e rinnovato finora tre volte (l’ultima a ottobre scorso).Come sottolineato dalla testata statunitense The Pillar, «la nomina, la prima che coinvolge un vescovo della Cina continentale sotto Leone, segna un distacco dal precedente schema di nomine episcopali secondo i termini dell’accordo tra Vaticano e Cina: il Papa ha effettuato la nomina e lo Stato cinese ha acconsentito successivamente ad accettarla, e non viceversa». La stessa testata ha anche riferito che «la nomina era partita da Roma, con Leone, anziché dallo Stato cinese». È pur vero, ha riportato The Pillar, che Lin ha potuto contare sull’appoggio dell’arcivescovo di Fuzhou, Joseph Cai Bingrui, che avrebbe svolto attività di moral suasion nei confronti del governo cinese: governo, secondo cui la nuova nomina «ha rafforzato la comprensione e la fiducia reciproca» tra la Repubblica popolare e la Santa Sede. Resta comunque il fatto che è stata Pechino ad accettare la decisione di Roma e non viceversa. Ricordiamo che, nel recente passato, il regime cinese ha spesso avuto un atteggiamento tutt’altro che rispettoso dell’accordo stipulato con la Santa Sede. Era aprile 2023, quando Joseph Shen Bin fu installato come vescovo di Shanghai senza l’approvazione di Roma: una nomina illegittima che fu ratificata a posteriori da papa Francesco nel luglio di quello stesso anno. Non dimentichiamo inoltre che lo scorso aprile, in piena sede vacante, in Cina sono stati «eletti» ben due vescovi ausiliari.Insomma, se per il momento non sembra intenzionato a mettere strutturalmente in discussione l’accordo con Pechino, l’attuale pontefice pare comunque voler tenere un atteggiamento meno arrendevole nei confronti della Cina rispetto al predecessore. D’altronde, un cambio di passo era già emerso durante il Regina Caeli del 25 maggio. Nell’occasione, Leone aveva ricordato la beatificazione di Stanislao Kostka Streich: sacerdote polacco, che - aveva rammentato il pontefice - era stato martirizzato «dai seguaci dell’ideologia comunista». Subito dopo, il Papa aveva sottolineato che, il giorno prima, si era celebrata la «Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina, istituita dal papa Benedetto XVI». «Nelle chiese e nei santuari della Cina e in tutto il mondo si sono elevate preghiere a Dio come segno della sollecitudine e dell’affetto per i cattolici cinesi e della loro comunione con la Chiesa universale. L’intercessione di Maria Santissima ottenga a loro e a noi la grazia di essere testimoni forti e gioiosi del Vangelo, anche in mezzo alle prove, per promuovere sempre la pace e l’armonia», aveva proseguito il pontefice, riconoscendo quindi - come abbiamo appena visto - che i cattolici cinesi sono sottoposti a delle «prove».Parole ben diverse da quelle usate, nell’ottobre 2020, dal cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, il quale, quando gli fu chiesto da Avvenire delle persecuzioni dei cattolici cinesi, replicò: «Ma che persecuzioni! Bisogna usare le parole correttamente. Ci sono dei regolamenti che vengono imposti e che riguardano tutte le religioni, e certamente riguardano anche la Chiesa cattolica». In realtà, come testimoniato anche dal cardinale Joseph Zen, Xi Jinping aveva già avviato da anni la cosiddetta «sinicizzazione»: un processo d’indottrinamento a cui sottoporre i cattolici cinesi. Senza poi trascurare che gli arresti dei prelati non allineati al regime sono comunque proseguiti. È anche per questo che vari porporati non hanno ben visto, negli anni, la politica di distensione verso Pechino portata avanti da Francesco e Parolin: oltre a Zen, pensiamo a Timothy Dolan, Raymond Burke e Gerhard Müller. D’altronde, è stata proprio questa linea graniticamente filocinese ad azzoppare, in buona parte, la candidatura dello stesso Parolin nel corso dell’ultimo conclave. In tutto ciò, è interessante notare come Leone, a metà maggio, avesse collegato inscindibilmente l’attività della diplomazia al principio della «verità».Insomma, è assai probabile che, pur magari non puntando a rompere totalmente i rapporti con la Cina, l’attuale pontefice voglia riportare maggiormente a Occidente la politica estera della Santa Sede. Questo poi non significa - attenzione - che Leone adotterà una linea «occidentalista». Appena eletto, ha infatti sottolineato la volontà di guardare con estrema attenzione al Sud Globale. Il punto è semmai un altro. Leone cercherà di mettere dei paletti nelle relazioni con Pechino e, dall’altra parte, tenterà di migliorare i rapporti tra la Santa Sede e gli Stati Uniti: rapporti che, durante il pontificato del predecessore, si erano deteriorati. Non è del resto un mistero che, soprattutto nella seconda metà del suo regno, papa Francesco avesse avuto delle turbolenze non soltanto con il governo americano ma anche con i vescovi d’Oltreatlantico. Infine, non dobbiamo trascurare che Leone si ispira a Sant’Agostino. E che proprio la riflessione del vescovo d’Ippona ha contribuito all’elaborazione del principio della libertas Ecclesiae: la libertà, cioè, della Chiesa dalle intromissioni dei poteri mondani. Solo il tempo potrà darcene conferma. Ma potrebbe essere questa la chiave di lettura per interpretare la politica estera che Leone ha intenzione di condurre.
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