2023-06-22
Figli di coppie gay, l’Ue dà ragione all’Italia
Secondo Christian Wigand, portavoce della Commissione, regolare i singoli casi è «competenza nazionale». Posizione in linea con la Procura padovana. Che però Bruxelles si ostina a subordinare alla fissa dei genitori omosex.Quando le regole contraddicono le rivendicazioni arcobaleno, per la sinistra e i suoi opinionisti non contano più nulla. Massimo Gramellini suggerisce di non applicarle. Mentre alla Valerio ricordano il fascismo. Ai diritti dei bambini però non riescono proprio a pensare.Lo speciale contiene due articoli.Eurodelusione senz’appello per chi sperava che la Commissione europea intervenisse sul caso Padova e sulle registrazioni dei figli di coppie omosessuali. La Commissione ribadisce che «chi è genitore in uno Stato dev’esserlo anche negli altri Paesi Ue, ma il diritto di famiglia è competenza nazionale». E le leggi sul tema, in Italia, al momento sono chiare: due donne, o due uomini, non possono registrare un figlio. La presa di posizione arrivata da Bruxelles, ovviamente non è piaciuta a buona parte dei media che stanno combattendo la battaglia dei diritti Lgbt. Con il risultato che ieri i siti di Repubblica e Stampa, ma non solo, hanno riportato la notizia censurando o nascondendo il passaggio sul rispetto delle leggi nazionali e titolando sul «rispetto dei genitori di altri Paesi». Dopo la decisione della Procura di Padova di impugnare gli atti di nascita registrati su richiesta di 33 coppie omogenitoriali, ieri un giornalista italiano ha portato il caso a Bruxelles, in occasione della conferenza stampa quotidiana della Commissione. Il portavoce Christian Wigand ha risposto: «Personalmente non sono al corrente del caso, ma normalmente non possiamo commentare i casi individuali». Poi, ha ricordato che «va ricordata la nostra proposta concernente i diritti genitoriali che riguarda i casi di trasferimento da un Paese membro all’altro. Chi è genitore in uno Stato dev’esserlo anche negli altri Paesi Ue, ma il diritto di famiglia è competenza nazionale». In sostanza, la Commissione ha ribadito che ritiene fondamentale tutelare la libera circolazione anche delle famiglie arcobaleno in Europa, come risulta da una serie di sentenze della Corte di Giustizia europea che hanno dato ragione al genitore omosessuale che si era visto negare un permesso di soggiorno o una carta d’identità per il figlio minore. Ma ha anche chiarito, per l’ennesima volta, quello che ogni studente di diritto sa bene, ovvero che l’Ue non può interferire sul diritto di famiglia dei singoli Stati. E quindi, anche sotto questo profilo i pm di Padova che hanno applicato la legge italiana hanno semplicemente fatto il proprio dovere. Dopo di che è assolutamente fuori discussione che l’auspicio dell’Unione sia quello di ampliare il più possibile i diritti delle coppie arcobaleno e di arrivare al diritto di «filiazione» in tutta Europa. Il problema, però, è che nell’Unione vale il principio di attribuzione della competenza giurisdizionale e c’è un’assenza totale di disposizioni che trasferiscono all’Ue le competenze in materia di diritto di famiglia. Il risultato è che il diritto di famiglia sostanziale è di competenza esclusiva degli Stati membri, che su questo legiferano come meglio credono. C’è poi una competenza concorrente con quella dei Paesi membri su libertà, sicurezza e giustizia, dove l’Unione ha avuto dai trattati internazionali il compito di sviluppare la cooperazione giudiziaria in materia civile (famiglia compresa) con implicazioni transfrontaliere. Ma come si compone una famiglia e come si diventa genitori resta materia nazionale. Ieri, probabilmente, c’era chi si augurava che da Bruxelles arrivasse una qualche sconfessione dell’Italia per la vicenda di Padova. Anche solo una mezza parola per poter tirare fuori dai cassetti l’immortale titolo: «L’Europa striglia l’Italia». Invece è andata come non poteva che andare e allora i siti di alcuni giornali hanno rigirato un po’ la frittata. Repubblica.it ha titolato così: «Famiglie arcobaleno, l’Ue: “Gli Stati membri devono riconoscere i genitori di altri Paesi”». Con il virgolettato del portavoce tagliato proprio nella sua parte più interessante. Scelta un po’ meno drastica per Lastampa.it, che non ha omesso il passaggio sulle competenze nazionali, ma ha comunque cavalcato la storia della libera circolazione, che con Padova c’entra davvero poco. Equilibrista il sito del tg di La7, che ha messo il richiamo sulla libera circolazione nel titolo principale e quello relativo al diritto di famiglia nel catenaccio. Che la competenza sul diritto di famiglia sia assolutamente nazionale emerge anche dalla giurisprudenza costante della Corte di Giustizia. Lo scorso 7 aprile Koen Lenaerts aveva rilasciato un’intervista alla Stampa nella quale, pur tirato per la giacca, ribadiva che temi come filiazione e genitorialità sono sotto la sovranità statale. E inquadrava alcune sentenze assai strombazzate in tema di diritti delle famiglie arcobaleno semplicemente come «la tutela del diritto di un bambino di circolare e soggiornare liberamente nell’Unione con i suoi genitori» e nulla più. Il giurista belga faceva l’esempio di un problema che si era verificato in Bulgaria, in cui la Corte aveva dato ragione a una coppia di donne che si era trasferita dalla Spagna e si era vista negare la carta d’identità per la bambina, ma ricordava che il Paese «non ha alcun obbligo di prevedere, nel diritto nazionale, la genitorialità di persone dello stesso sesso». E non è tenuto a riconoscere un certificato di nascita spagnolo per fini diversi dall’esercizio dei diritti derivanti dal diritto dell’Unione, tra cui c’è appunto quello di libera circolazione. Che per la Corte è prevalente anche rispetto al diritto del minore alla «vita familiare».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/figli-coppie-gay-ue-italia-2661698254.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-rimedio-degli-intello-ignoriamo-la-legge" data-post-id="2661698254" data-published-at="1687425701" data-use-pagination="False"> Il rimedio degli intellò: «Ignoriamo la legge» Il fatto che sia il portavoce dalla Commissione europea a ricordarci che le nostre leggi hanno valore rende la misura del delirio di cui l’Italia è preda. Ieri a Christian Wigand, questo il suo nome, è stato richiesto un commento all’impronta sul caso di Padova, dove la Procura ha impugnato gli atti di nascita di 33 bambini registrati impropriamente come «figli di due madri». Ebbene, secondo il portavoce europeo «chi è genitore in uno Stato deve esserlo anche negli altri Paesi Ue, ma il diritto di famiglia è competenza nazionale». Significa che la legislazione italiana non è un orpello e che i magistrati hanno il diritto di agire sulla base delle nostre norme, come in effetti avvenuto a Padova. L’aspetto drammatico della faccenda è che - mentre il rappresentante di una istituzione decisamente favorevole alla retorica Lgbt invita al rispetto delle regole interne - fior di opinionisti, politici e intellettuali di casa nostra invocano la deliberata violazione di quelle stesse regole. Lo ha fatto, dalla prima pagina del Corriere della Sera, Massimo Gramellini: «Mi chiedo sommessamente», ha scritto, «se in casi come questo un eccellente modo di applicare la legge non consista nel dimenticarsi di farlo». Identica linea anche per Mattia Feltri sulla Stampa: «La scienza giuridica che di solito mi appassiona molto», commenta, «stavolta mi appassiona poco». Discorso chiaro: poiché ci sono di mezzo le rivendicazioni arcobaleno, la legge si può violare. Anzi va violata. O per lo meno tocca trovare una soluzione «all’italiana» (così amano dire proprio gli stessi editorialisti che ogni giorno si ergono a flagellatori del malcostume) che consista nell’aggiramento delle regole. Beh, vedete, il vero problema, il nocciolo duro del caso padovano sta proprio in questa pretesa. A farsi scudo dietro bambini incolpevoli sono attivisti e militanti i quali ritengono di essere superiori a tutto: alle leggi, alla morale, persino alla biologia. Ritengono di essere nelle condizioni di distruggere e riscrivere non solo i codici, ma pure l’umana conformazione. Come fa la scrittrice Chiara Valerio che, su Repubblica, accusa il governo di essere fascista e di far prevalere «il sangue», cioè «il privilegio» sul diritto, ma poi pretende la cancellazione del diritto medesimo quando non le piace. La Valerio - come molte transfemministe - sostiene che sia «la prevalenza della biografia sulla biologia a garantire l’autonomia e l’unicità della persona». E può pure darsi che sia vero. Ciò che gli attivisti attualmente richiedono, tuttavia, non è di dare egual peso a «natura» e «cultura». Essi, semplicemente, intendono eliminare la biologia: vogliono stabilire per decreto che essa non conti nulla. E nemmeno intendono farlo seguendo il diritto, cioè - ad esempio - passando per il Parlamento o rispettando una sentenza. Tutt’altro: intendono scavalcare l’aula assieme alle norme che ha prodotto e alle Procure che queste norme le fanno rispettare. Ciò che conta, in sostanza, è solamente la volontà dei militanti, il loro desiderio che supera ogni barriera e si fa comando inviolabile. Privilegio, in altre parole. La cultura conta, le biografie contano, come no. Non tutto è sangue e membra, non tutto è meccanico stantuffare di muscoli. Il diritto stesso è (anche) cultura. La morale è cultura, persino la religione. E, di converso, anche l’omosessualità, in questa logica, è natura. Però ci domandiamo: ai bambini nati da utero in affitto o da fecondazione eterologa, viene forse permesso di creare da soli la propria biografia? Ai piccoli quale diritto viene concesso? Perché a noi risulta che i neonati non possano «scegliersi le parentele», prerogativa che i militanti arcobaleno rivendicano per sé. No: questi bambini non possono rimanere con la madre biologica e spesso non possono incontrare il padre biologico perché altri hanno deciso che così deve essere, e non si discute. Ci sono parentele eliminate, sì: ma sono quelle «naturali». Dice Alessia Crocini di Famiglie arcobaleno che i bimbi di Padova «rischiano di perdere una delle loro mamme», e sarebbe una cosa terribile, se fosse vera (non lo è, perché nessuno impedirà alle coppie di tenere i pargoli, in più alla «madre intenzionale» è consentita l’adozione). Ma del padre che perdono, importa a qualcuno? E della madre a cui sono strappati per contratto i nati da surrogazione frega qualcosa agli editorialisti tanto attenti all’amore e ai buoni sentimenti? Pare proprio di no. A chi si prenda la briga di seguire le argomentazioni progressiste risulta molto evidente: non ci sono natura, cultura, diritti o biologia che tengano. Semplicemente, non accettano obiezioni al loro pensiero, non accettano limiti. Nemmeno quando i limiti vengono fissati dalla comunità dopo democratico confronto. Essi non pretendono il rispetto, che sarebbe dovuto. Pretendono obbedienza, anche se poi sono i primi a disobbedire.
Palazzo Berlaymont, sede della Commissione europea (Getty Images)
Manfred Weber e Ursula von der Leyen (Ansa)
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (Ansa)
Ursula von der Leyen (Ansa)