2021-11-15
Ferrarini, la villa va all'asta. La produzione sarà delocalizzata
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Sono due i concordati ancora sul tavolo per salvare il gruppo alimentare. La scorsa settimana c'è stata l'adunanza dei creditori Saf (Società Agricola Ferrarini). Il passivo è di 252 milioni di euro, di cui 59 verso le banche, 97 per fidejussioni e garanzie, altri 11 verso i fornitori. Nel frattempo sono stati revocati gli arresti domiciliari per Piero e Marcello Pini (i re della bresaola che partecipano all'offerta concordataria con Amco, società del ministero dell'Economia).Appare sempre più ingolfato il salvataggio finanziario del gruppo Ferrarini, tra i più importanti gruppi alimentari del nostro Paese. Sono due i concordati ancora sul tavolo, quello principale di Ferrarini Spa e quello collegato di Saf (Società Agricola Ferrarini). Il 9 novembre scorso c'è stata l'adunanza dei creditori Saf. Il passivo è di 252 milioni di euro, di cui 59 verso le banche, 97 per fidejussioni e garanzie, altri 11 verso i fornitori. A ribadirlo nella sua relazione è stato il commissario del tribunale Federico Spattini, che non ha però presentato ai creditori anche la nuova proposta concordataria di Ferrarini Spa, che dall'agosto scorso aveva sostituito su richiesta del Tribunale la proposta di salvataggio promossa quando al ministero dell'Economia c'era Roberto Gualtieri. La nuova documentazione non è stata presentata, anche perché proprio Ferrarini (Lisa insieme con l'avvocato Sido Bonfatti erano presenti in aula) ha stabilito che l'aggiornamento della proposta non poteva essere mostrato. A votare è stato il 10%, mentre per gli altri si è aperta una finestra temporale di 20 giorni per depositare il loro voto in Tribunale. Convocata in prima battuta il 21 ottobre, l'adunanza Saf era stata rinviata a causa di una richiesta di chiarimenti dell'Agenzia delle entrate in merito al concordato Ferrarini Spa. In pratica, l'agenzia aveva chiesto il rinvio per avere maggiori informazioni sul dissesto dell'azienda "sorella" di Saf, appunto Ferrarini Spa, tenuto conto che alcuni dei creditori vantano tutt'ora crediti con entrambe le società e che si pone una questione di dipendenza dei 2 due concordati. In ogni caso la vera novità dell'assemblea è che il commissario giudiziale ha fornito anche un aggiornamento sulla vicenda della villa di Rivaltella, sede del gruppo e principale centro di produzione, pignorata per iniziativa di Unicredit. Contro la cessione all'asta della villa erano stati presentati 3 ricorsi, da parte della vedova di Lauro Ferrarini, poi da parte del gruppo Pini, partner della famiglia Ferrarini, e uno della Banca del Mezzogiorno, a sua volta creditrice, secondo la quale la stima del valore di Villa Corbelli fatta dal perito sarebbe troppo bassa. Ma sono stati tutti respinti. Così il prossimo 14 dicembre la villa andrà all'asta a un prezzo di base di 3 milioni di euro insieme con 380mila metri quadrati di terreni agricoli circostanti, al prezzo di 1 milione e 100mila euro. E' quindi ormai certa la delocalizzazione della produzione, oggi appunto a Villa Rivaltella. Tanto più che sono state confermate anche le motivazioni di non conformità edilizia e vincolistica dell'immobile e dunque la sua assoluta non utilizzabilità come stabilimento. Come si legge nell'ordinanza del giudice Camilla Sommariva: «Non è utilizzabile come stabilimento per irregolarità urbanistica edilizia e per i vincoli architettonici e storici non rispettati». Il rischio è che gli impianti possano a questo punto fermarsi. In mancanza di continuità industriale, senza lo stabilimento di Rivaltella che è parte integrante della proposta Pini/Amco, la società del Mef coinvolta nel salvataggio, la proposta concordataria non può essere accettata e ora se ne chiede giustamente la revoca e il commissariamento. Nel Decreto di ammissione della nuova offerta Ferrarini si legge, infatti, che il Gruppo Pini si impegna a «realizzare, entro l'arco temporale del piano (cioè entro il 2028), un nuovo impianto destinato alle attività produttive della Ferrarini Spa, ubicato ove possibile nel Comune di Reggio Emilia». Ma al momento non è stato ancora individuato e soprattutto i Pini hanno deciso di avere mani libere sulla situazione. Allo stesso tempo si attendono novità sulla intricata serie di ricorsi sia in sede amministrativa che alla Commissione Europea. Sarà interessante vedere se, come appare probabile, il Consiglio di Stato porrà un rimedio alla sentenza del Tar su Amco, che aveva stabilito lo scorso maggio che la società del Mef ricorre sistematicamente a sostenere la sua attività con risorse pubbliche. ono in corso le indagini e attese le decisioni della Commissione, davanti alla quale era stata sollevata la questione della società del Mef che in quanto pubblica dovrebbe occuparsi di Npl e che invece finanzia privati. Nel frattempo la cordata concorrente è pronta a ripresentare una sua proposta concordataria, visto che sia il Tribunale di Reggio Emilia che la Corte d'appello ne hanno dichiarato la facoltà. Intanto dopo quasi 3 anni sono stati revocati gli arresti domiciliari per Piero e Marcello Pini che avevano l'obbligo di restare in Ungheria dopo un'inchiesta dove erano accusati di falso in bilancio e riciclaggio di denaro: a febbraio per i due era stata richiesta una pesante condanna in primo grado a 3 anni e 6 mesi di reclusione. Dopo la decisione del tribunale, i 2 possono tornare a viaggiare all'estero, anche se pare con alcune importanti limitazioni. L'inchiesta era nata nel 2019, dopo che la giustizia ungherese li aveva messi nel mirino nonostante avessero già ridato allo Stato 16 milioni di euro.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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