2019-04-16
Fazio torna su Rai 3? Ma lì la sua paga è ancor più fuori scala
L'indiscrezione di «Dagospia» riaccende i fari sui 18 milioni di euro annui. Che comunque già ora il programma non vale.Cos'hanno in comune Matteo Salvini, Fabio Fazio, Ernesto Galli Della Loggia e Alberto Angela? Salvini ha annunciato che non andrà da Fazio la domenica in prima serata sulla Rai, anche se la par condicio per le Europee glielo consentirebbe, «per coerenza e rispetto degli italiani che pagano il canone. A meno che il suddetto conduttore non si dimezzi lo stipendio».Walter Veltroni boyVexata quaestio, la vicenda di quel compenso. «Esiste un caso Fazio in Rai», sentenziava a dicembre anche Luigi Di Maio. Che, al solito, avanza rinculando: pare infatti averci ripensato. E non solo in chiave elettorale antisalviniana: in uno dei non pochi momenti in cui Rocco Casalino si è trovato pubblicamente in affanno, a ospitarlo è stato proprio Fazio (intervista che per esempio La Stampa trovò lacunosa). Nel 2017 Fazio scoprì che la Rai, dove aveva debuttato nel 1982 alla radio, era lottizzata, lui da sempre indicato come un Walter Veltroni boy, e «colpita al cuore» dai partiti: «Intrusioni senza precedenti, vulnus forse insuperabile». Così insuperabile che di lì a poco Fazio lo saltò a pie' pari rinnovando la corrispondenza di amorosi sensi con la vituperata tv pubblica.Per farlo riprendere dallo sturbo, il direttore generale, il renziano Mario Orfeo, predispose un nuovo accordo, il presidente della Rai Monica Maggioni chiosò (titolo della Repubblica): «Non so se la Rai avrebbe retto senza Fazio. Possibile impatto sistemico, occupazione a rischio». Strano. Nel 1987 la Fininvest del Cavaliere strappò alla Rai in un colpo solo Pippo Baudo, Raffaella Carrà ed Enrica Bonaccorti, ma la direzione generale dell'epoca, in mano al demitiano Biagio Agnes, non perse la testa e stravinse su tutti i fronti, arrivando a ingaggiare Adriano Celentano per un surreale Fantastico. A Fazio, insomma, sono stati fatti ponti d'oro -sia detto con invidia- per evitare che il cavallo di viale Mazzini stramazzasse al suolo: 18 milioni di euro l'anno per quattro anni, il costo dell'operazione (fonte Il Fatto Quotidiano), comprensivi di cachet, appalto parziale alla società di proprietà al 50% dello stesso Fazio e diritti di «sfruttamento del format», che è poi è il classico talk show con ospiti.409.000 euro a puntataOra: se a ingaggiarlo fossero stati Mediaset, Sky, Discovery il problema non si sarebbe posto: i privati allocano le loro risorse come meglio credono. Ma con il denaro pubblico la trasparenza e l'analisi costi-benefici dovrebbe essere d'obbligo. «Ogni singola puntata di Fazio costa 409.000 euro, la metà o più delle fiction di cui ha preso il posto (da 800.000 fino a 1.100.000 milioni a puntata, secondo fonti Rai)», questa la tesi di fondo. Monca.Le fiction (vedi Il commissario Montalbano, Il Maresciallo Rocca e Don Matteo) sono infatti replicabili -con garanzia di ascolti- e vendibili all'estero. Un talk show no. Un appuntamento con Gigi Marzullo, Fabio Volo, Orietta Berti e qualche altro ospite - magari della solita agenzia di spettacolo di Beppe Caschetto, che è la stessa di Fazio (tanto da legittimare il sospetto che qui non ci sia conflitto d'interessi, ma la loro convergenza) - quante volte lo puoi ritrasmettere?Si dirà: da Fazio vanno anche star internazionali, sportivi come il campione di Formula uno Lewis Hamilton. Vero. Non sempre gratis, c'è da scommettere: nel caso del pilota fu scritto che si era accontentato di 125.000 euro, 5.000 euro al minuto, per 25 minuti d'intervista.Soldi della società di Fazio, certo. Che però li riceve con l'appalto dalla Rai: «Così so' bboni tutti», commenterebbero a Roma. Non solo. È una leggenda metropolitana che il trasloco di Fazio sia stato a somma negativa? Cioè che la flessione di Rai 3 non sia stata compensata da un'impetuosa crescita d'ascolti di Rai 1, pur nella differenza di peso tra le due reti? Tanto che si starebbe ragionando, per il prossimo palinsesto autunnale, su una bella retromarcia con un ritorno alla situazione ex ante (solo che il nuovo spostamento, insinua il sito Dagospia che ha anticipato la possibilità, avverrebbe in realtà «per la contentezza di Salvini»). Infine, se ci sono format «di parola» replicabili e vendibili all'estero sono quelli divulgativi, vedi i programmi della premiata ditta Angela, Piero e Alberto. Che si è beccato un'intemerata di Ernesto Galli Della Loggia, che lo ha accusato di lesa maestà ai danni degli storici, avendo deciso di firmare una collana per Repubblica (concorrente del Corriere su cui firma il professore).Galli affonda Angela«Da quanto tempo lei non legge un libro di storia?», è il soave incipit. Stigmatizza Galli: «La divulgazione è molto importante, in specie se come nel suo caso è di alta qualità», sviolinata che anticipa la sassata: «Comporta grandi responsabilità, tra cui quella di non spacciare merce per così dire taroccata, e di non indulgere al conformismo culturale. Il quale fa credere che l'unica storia che conti sia quella materiale - "Com'era fatta una casa di Pompei? Come funzionava la tratta degli schiavi?" - e non piuttosto quella che studia i nessi strutturali, alimentando così l'antipolitica». Bum!Un j'accuse che assomiglia a un'arringa in difesa del ruolo dei «chiarissimi docenti», e che spedisce in soffitta le opere non accademiche quali la Storia d'Italia e gli altri volumi di Indro Montanelli, le biografie di Antonio Spinosa, quelle di Max Gallo in Francia, i saggi polemici di Massimo Fini.Per dirla con un altro storico editorialista del Corriere, Eugenio Montale: «La storia non è magistra di niente che ci riguardi. Accorgersene non serve a farla più vera e più giusta». Cui ha fatto eco Margaret Atwood: «C'è la storia, poi c'è la vera storia, poi c'è la storia di come è stata raccontata la storia. Poi c'è quello che lasci fuori dalla storia. Anche questo fa parte della storia».Un poeta e una poetessa. M'immagino già l'ira funesta di Galli Della Loggia.
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Piergiorgio Odifreddi (Getty Images)