
A Umbertide, in Umbria, l'area dove sorgeva una serra da vivaio è stata trasformata in quella su cui erigere una grande moschea. Concesso anche l'ampliamento della proprietà affidata all'Associazione culturale musulmana. Con una gara di dubbia regolarità.Quel terreno comunale sul quale sorgeva una serra da vivaio che era stata affidata ai disabili per permettere loro di svolgere un'attività inclusiva nel centro di Umbertide, 16.000 abitanti circondati da suggestive mura medievali nel cuore dell'Umbria, con un colpo di mano dell'amministrazione dem si era trasformata nell'area in cui tirare su una grande moschea. La più importante del Centro Italia. Non contenti dello scippo ai disabili, proprio mentre era in costruzione il luogo di culto per islamici, gli amministratori hanno anche concesso l'ampliamento della proprietà affidata all'Associazione culturale musulmana. E, perdipiù, con una gara bollata dall'accusa come potenzialmente irregolare. L'affidamento è finito nel mirino della magistratura e il sindaco del Pd in carica fino al 2013, Giampiero Giulietti, ex deputato legato a Matteo Orfini (sconfitto al Senato nel collegio uninominale alle ultime politiche), è stato iscritto nel registro degli indagati. E con lui sono finiti nei guai quattro ex assessori. In Procura a Perugia sottolineano che le questioni ideologiche e politiche rimarranno al di fuori del fascicolo affidato al sostituto procuratore Gemma Miliani. E anche se l'indagine è stata aperta dopo un esposto presentato dal consigliere regionale della Lega, Valerio Mancini, la questione giudiziaria, spiegano, è molto tecnica: l'ipotesi di reato è legata all'aggiudicazione dei lotti che ha permesso all'associazione culturale islamica di annettere ulteriori terreni. Un atto che si è trasformato in una ipotesi di reato precisa: «Abuso d'ufficio». «L'ampliamento di un lotto già assegnato con esperimento di asta pubblica», sostengono gli investigatori, «per legge deve prevedere la pubblicazione di un nuovo avviso d'asta». E invece è finito tutto in una delibera, la numero 21 dell'8 febbraio 2013, senza evidenza e con un pastrocchio di motivazione burocratica che l'accusa ritiene «incongrua». In pratica, come ricostruisce il Corriere dell'Umbria, la giunta rossa si è limitata ad accogliere l'istanza presentata dall'associazione islamica soltanto due settimane prima, convalidando l'ampliamento solo perché quello precedente era stato assegnato con esperimento di asta pubblica.Le giustificazioni non sono arrivate neppure il 5 febbraio scorso, quando l'ex sindaco è stato convocato dal magistrato. Il dem si è avvalso della facoltà di non rispondere. Nel frattempo gli investigatori hanno sequestrato tutti gli atti dell'istruttoria, compresi quelli legati al pagamento delle somme dovute. D'altra parte, l'indicazione arrivata da Mancini era molto precisa e a pagina tre del corposo documento con il quale l'esponente del Carroccio ha innescato la miccia si legge: «Nel dicembre 2013 l'Associazione centro culturale islamico acquistava formalmente e definitivamente i lotti di cui era risultata assegnataria nel 2011-2013, terreni già di proprietà del Comune di Umbertide, per un prezzo complessivo di 105.900 euro, non è dato sapere se l'attribuzione del secondo lotto e l'ampliamento del primo, effettuati sulla base di una semplice istanza rivolta all'amministrazione comunale e in assenza di relativa asta pubblica, sia conforme alla regolamentazione comunale e alla normativa pubblica». In un decreto di perquisizione la Procura sottolinea che le doglianze rappresentate da Mancini «hanno trovato parziale riscontro, allo stato, in relazione alla fase dell'assegnazione dell'ulteriore lotto». Ma all'appello mancano ancora gli approfondimenti sul lato economico legato agli espropri. «Alla magistratura il compito di fare luce sulla vicenda, alla Lega quello di lavorare per sfrattare anche dalla Regione questo centrosinistra dannoso, che malgoverna e che ha malgovernato». L'intervento del ministro dell'Interno, Matteo Salvini, è molto duro. E a strigliare l'ex sindaco del Pd ci pensano anche i leghisti umbri: «È una vicenda che ha molte ombre e poche luci. I punti interrogativi abbiamo ritenuto opportuno sottoporli alla Procura». Sullo sfondo, poi, c'è un tema caro al Carroccio, quello della sicurezza: «Perché questi luoghi di aggregazione», sostengono, «spesso si sono trasformati in luoghi di aggregazione in cui il terrorismo islamico si organizza». E l'Umbria non è un'isola felice sotto questo aspetto. Tutti ricordano ciò che è saltato fuori da un'accurata indagine dei carabinieri del Ros lo scorso agosto, quando due marocchini sono stati espulsi per motivi di sicurezza dello Stato. Si erano radicalizzati ed erano diventati sostenitori dell'Isis e del terrorismo jihadista in Italia. Uno dei due viveva proprio a Umbertide ed era stato arrestato in Marocco nel 2016 con l'accusa di aver finanziato gruppi terroristici di matrice jihadista. Dall'Italia poi aveva continuato a mantenere rapporti con ambienti islamisti in Francia e, stando alle ricostruzioni dei carabinieri del Ros, aveva anche sostenuto le partenze di alcuni combattenti. Il secondo esposto di Mancini, poi, punta dritto sui fondi della comunità islamica: «Dalla sera alla mattina l'associazione ha raccolto migliaia e migliaia di euro e li ha riversati sui conti correnti in tempo utile per effettuare i pagamenti». L'Imam spiegò che tutto il flusso di denaro proveniva dalla comunità islamica di Umbertide e che quelle erano le offerte dei fedeli. Ma per l'esponente della Lega «ricostruire da dove effettivamente provengano questi denari, quanto meno sulla base della documentazione prodotta alla Prefettura è praticamente impossibile, visto che è tutto denaro contante e visto che neppure nei documenti di prima nota è indicato se i contributi provengano da più fedeli associati, da altre organizzazioni o se provengano addirittura dall'estero».
Sanae Takaichi (Ansa)
La conservatrice Sanae Takaichi vuole alzare le spese militari e saldare l’asse con Washington: «Avrò discussioni franche con Trump».
(Guardia di Finanza)
Sequestrate dalla Guardia di Finanza e dai Carabinieri oltre 250 tonnellate di tabacchi e 538 milioni di pezzi contraffatti.
I Comandi Provinciali della Guardia di finanza e dell’Arma dei Carabinieri di Torino hanno sviluppato, con il coordinamento della Procura della Repubblica, una vasta e articolata operazione congiunta, chiamata «Chain smoking», nel settore del contrasto al contrabbando dei tabacchi lavorati e della contraffazione, della riduzione in schiavitù, della tratta di persone e dell’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
Le sinergie operative hanno consentito al Nucleo di polizia economico-finanziaria Torino e alla Compagnia Carabinieri di Venaria Reale di individuare sul territorio della città di Torino ed hinterland 5 opifici nascosti, dediti alla produzione illegale di sigarette, e 2 depositi per lo stoccaggio del materiale illecito.
La grande capacità produttiva degli stabilimenti clandestini è dimostrata dai quantitativi di materiali di contrabbando rinvenuti e sottoposti a sequestro: nel complesso più di 230 tonnellate di tabacco lavorato di provenienza extra Ue e circa 22 tonnellate di sigarette, in gran parte già confezionate in pacchetti con i marchi contraffatti di noti brand del settore.
In particolare, i siti produttivi (completi di linee con costosi macchinari, apparati e strumenti tecnologici) e i depositi sequestrati sono stati localizzati nell’area settentrionale del territorio del capoluogo piemontese, nei quartieri di Madonna di Campagna, Barca e Rebaudengo, olre che nei comuni di Caselle Torinese e Venaria Reale.
I siti erano mimetizzati in aree industriali per dissimulare una normale attività d’impresa, ma con l’adozione di molti accorgimenti per svolgere nel massimo riserbo l’illecita produzione di sigarette che avveniva al loro interno.
I militari hanno rilevato la presenza di sofisticate linee produttive, perfettamente funzionanti, con processi automatizzati ad alta velocità per l’assemblaggio delle sigarette e il confezionamento finale dei pacchetti, partendo dal tabacco trinciato e dal materiale accessorio necessario (filtri, cartine, cartoncini per il packaging, ecc.), anch’esso riportante il marchio contraffatto di noti produttori internazionali autorizzati e presente in grandissime quantità presso i siti (sono stati infatti rinvenuti circa 538 milioni di componenti per la realizzazione e il confezionamento delle sigarette recanti marchi contraffatti).
Gli impianti venivano alimentati con gruppi elettrogeni, allo scopo di non rendere rilevabile, dai picchi di consumo dell’energia elettrica, la presenza di macchinari funzionanti a pieno ritmo.
Le finestre che davano verso l’esterno erano state oscurate mentre negli ambienti più interni, illuminati solo artificialmente, erano stati allestiti alloggiamenti per il personale addetto, proveniente da Paesi dell’Est europeo e impiegato in condizioni di sfruttamento e in spregio alle norme di sicurezza.
Si trattava, in tutta evidenza, di un ambiente lavorativo degradante e vessatorio: i lavoratori venivano di fatto rinchiusi nelle fabbriche senza poter avere alcun contatto con l’esterno e costretti a turni massacranti, senza possibilità di riposo e deprivati di ogni forma di tutela.
Dalle perizie disposte su alcune delle linee di assemblaggio e confezionamento dei pacchetti di sigarette è emersa l’intensa attività produttiva realizzata durante il periodo di operatività clandestina. È stato stimato, infatti, che ognuna di esse abbia potuto agevolmente produrre 48 mila pacchetti di sigarette al giorno, da cui un volume immesso sul mercato illegale valutabile (in via del tutto prudenziale) in almeno 35 milioni di pacchetti (corrispondenti a 700 tonnellate di prodotto). Un quantitativo, questo, che può aver fruttato agli organizzatori dell’illecito traffico guadagni stimati in non meno di € 175 milioni. Ciò con una correlativa evasione di accisa sui tabacchi quantificabile in € 112 milioni circa, oltre a IVA per € 28 milioni.
Va inoltre sottolineato come la sinergia istituzionale, dopo l’effettuazione dei sequestri, si sia estesa all’Agenzia delle dogane e dei monopoli (Ufficio dei Monopoli di Torino) nonché al Comando Provinciale del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco di Torino nella fase della gestione del materiale cautelato che, anche grazie alla collaborazione della Città Metropolitana di Torino, è stato già avviato a completa distruzione.
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Roberto Burioni (Ansa)
In un tweet se la prende con «La Verità»: i danni collaterali con mRna non esistono.
Domenico Arcuri (Ansa)
L’investigatore della Gdf audito in Commissione. I giallorossi cercano solo di estorcergli un’assoluzione per l’ex commissario.