2023-06-20
Fauci fa la predica su virus e vaccini dopo aver cambiato versione su tutto
La virostar parla di emergenza e fake news. Ma fu lui a dire che le mascherine erano inutili e a smentirsi sull’origine del patogeno.Dopo la laurea honoris causa in medicina e chirurgia che gli ha consegnato l’Università di Siena, Anthony Fauci ha tenuto una conferenza dal titolo «Preparazione e risposta alla pandemia: lezioni dal Covid-19». Cornice dell’incontro, la prestigiosa Accademia nazionale dei Lincei a Roma, dove l’immunologo statunitense ha riproposto le argomentazioni pubblicate ad aprile su The Journal of Infectious Diseases (Jiad). Riassumendo, premiato nel nostro Paese per come avrebbe gestito l’emergenza Covid, fatto salire in cattedra fresco di nuove onorificenze, a spiegarci che bisogna «aspettare l’inaspettato», ovvero altri virus, senza illudersi che il Sars-Cov-2 sia scomparso. «È ancora qui e la gente continua a contagiarsi […] non dobbiamo dimenticare di fare il richiamo del vaccino a settembre-ottobre», ha caldeggiato, anche nella formula combinata contro Covid 19 e influenza. Nelle sue lezioni si è preoccupato di sottolineare che «la disinformazione è nemica della salute pubblica e del controllo della pandemia», così pure che «le infezioni emergenti sono per sempre». Da che pulpito, queste indicazioni. Quando l’ex direttore del National Institute of allergy and infectious diseases (Niaid), presso il dipartimento della Salute statunitense, elenca che «ci sono molti esempi della tragedia della disinformazione», e fa riferimento anche «all’utilizzo delle mascherine», finge di dimenticare che nelle settimane precedenti l’annuncio dello stato di emergenza negli Usa, il 13 marzo 2020, aveva rilasciato interviste dicendo che indossare dispositivi di protezione in pubblico era inutile e che il coronavirus, il cui pericolo era «minimo», avrebbe dovuto preoccupare i cittadini meno dell’influenza stagionale «che sta avendo la sua seconda ondata». Si lamentò apertamente, perché «ogni volta che si ha la minaccia di un’infezione trasmissibile, ci sono vari gradi di paura, da comprensibili a stravaganti». Nei mesi successivi, tentò di giustificare quelle affermazioni, dicendo che le aveva espresse perché non c’erano abbastanza dispositivi di protezione facciale per i sanitari, ma come rivelò The Washington Post, il dottor Fauci dava spiegazioni mediche al suo sconsigliare di indossarli. In una email a Sylvia Burwell che è stata segretaria per la Salute e i servizi umani con Barack Obama, il 5 febbraio l’immunologo scriveva: «Le maschere servono alle persone infette, per impedire loro di diffondere l’infezione a persone che non sono infette, piuttosto che proteggere le persone non infette dall’acquisizione dell’infezione». Quindi concludeva: «Non ti consiglio di indossare una mascherina».Quando, il 3 aprile 2020, i Cdc aggiornarono le linee guida, anche il principale consigliere medico del presidente Biden per la pandemia di coronavirus raccomandò le mascherine. «Dopo che diventò evidente che avevano contribuito a frenare la diffusione da persone asintomatiche infette dal virus», dichiara il senatore repubblicano del Missouri, Eric Schmitt, secondo il quale «Fauci è un imbroglione». Nel novembre 2020, a Good Morning America della Abc, Anthony Fauci afferma di non credere che gli Stati Uniti dovranno essere bloccati per combattere il coronavirus, se le persone raddoppieranno l’uso di mascherine e il distanziamento sociale. Nella stessa trasmissione, a maggio 2021 ammise che indossare la mascherina dopo la vaccinazione doveva servire da «segnale», piuttosto che essere un vero tentativo di arginare la diffusione del Covid- 19. Ieri, l’immunologo ha mostrato una diapositiva in cui si evidenzia che «il 59% delle infezioni da Covid derivano da asintomatici». Come si può giustificare un simile, continuo cambio di posizioni scientifiche? Ad aprile 2020, il medico oggi in pensione denunciò le teorie secondo cui il Covid potrebbe essere sfuggito dal Wuhan institute of virology (Wiv), affermando che la scienza ha dimostrato che il virus era «totalmente coerente con un salto di una specie da un animale a un essere umano». Dichiarare il contrario era disinformazione, secondo l’esperto. Facebook ha persino rimosso i post in cui si ipotizzava che il virus fosse stato creato o fabbricato dall’uomo. Nel maggio 2021, dichiarò l’esatto contrario facendo sapere di non essere convinto che il virus si sia sviluppato per vie naturali: «Penso che dovremmo indagare su ciò che è successo in Cina». E il laboratorio di Wuhan, da cui Fauci aveva a lungo affermato che il virus non è sfuggito, ha effettivamente ricevuto finanziamenti dal Niaid. All’accusa di avere opinioni mutevoli, rispose di prendere atto dei nuovi dati non appena arrivano «come ogni bravo scienziato». Intanto, però, lo scienziato- politico anti Trump dettava le linee della sanità emergenziale negli Stati Uniti. Non disdegnando la menzogna, l’inganno per convincere gli americani a vaccinarsi. Come raccontò al New York Times nell’aprile del 2021: «Quando i sondaggi dicevano che solo circa la metà degli americani si sarebbe fatta somministrare il vaccino, affermai che l’immunità di gregge avrebbe richiesto dal 70 al 75% (della popolazione vaccinata, ndr). Quando i sondaggi più recenti dicevano che il 60% o più l’avrebbe accettato, ho pensato: “Posso aumentare un po’”, quindi sono passato a 80, 85%», rialzando la stima. All’Accademia dei Licei ha sostenuto che «virus altamente mutevoli evadono terapie e vaccini», ma ha dedicato molti minuti del suo intervento a sostenere l’efficacia di quelli a mRna per i quali sono bastati «11 mesi di ricerca e sperimentazione». Per l’anti polio, furono necessari 47 anni.
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
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