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2025-07-29
Farmaci (per ora) immuni da gabelle. Ma la batosta può arrivare venerdì
L’accordo raggiunto in Scozia sui dazi al 15% lascia sospesi alcuni temi che saranno affrontati nei prossimi giorni. Tra questi, le tariffe sui farmaci.
Donald Trump, già prima di domenica, aveva chiarito che non avrebbero fatto parte della trattativa, lasciando intendere che vuole lasciarsi le mani libere. Attualmente i medicinali esportati da aziende europee negli States non sono soggetti a imposte doganali ma è una situazione che difficilmente rimarrà invariata. Avere evitato i dazi al 15% non significa aver scampato il pericolo. Il futuro dell’industria farmaceutica europea per l’export negli Stati Uniti dipende dall’esito dell’indagine, ancora in corso, sulla Sezione 232 del Trade Expansion Act del 1962, una legge che autorizza il presidente degli Stati Uniti a imporre dazi o altre restrizioni sulle importazioni se queste risultano una minaccia per la sicurezza nazionale. La finalità è di proteggere le industrie nazionali da importazioni che potrebbero comprometterne la capacità produttiva. Qualora da questa indagine dovesse emergere che i prodotti della farmaceutica europea rappresentano un pericolo per la competitività dell’industria nazionale, Trump potrebbe introdurre i dazi in modo da riequilibrare la situazione. D’altronde, è la logica che ha portato all’avvio della guerra commerciale sfociata nell’accordo per dazi al 15%.
La percentuale a cui andrebbero sottoposti i farmaci è da definire. L’Ue spinge perché non si superi il tetto del 15% e Bruxelles ieri ha lasciato filtrare che proprio l’intesa raggiunta domenica scorsa rappresenta un argine per non andare oltre tale soglia. Però Trump ci ha abituato a cambi di scenario repentini e proprio il fatto che la partita dei farmaci sia rimasta fuori dal negoziato in Scozia, potrebbe lasciargli libertà d’azione. Von der Leyen, a ridosso del vertice scozzese, ha detto che alcuni farmaci generici potrebbero continuare a rimanere esenti da dazi ma si tratta di ipotesi, parole non sostenute da alcun documento. Serve attendere la dichiarazione ufficiale che dovrebbe arrivare entro venerdì e che, secondo quanto annunciato dalla presidente della Commissione, conterrà dettagli sulle molecole escluse.
Il tycoon, nei giorni immediatamente precedenti all’incontro con Von der Leyen, non aveva escluso per i farmaci l’ipotesi di dazi progressivi a partire da agosto, fino ad arrivare anche al 200%. Non è dato capire se sono dichiarazioni di tattica per ribadire la propria posizione di forza indiscussa o se c’è veramente una intenzione di questi genere. I media americani hanno già commentato negativamente un’opzione di questo tipo in quanto avrebbe un impatto forte sulla sanità americana, portando un’impennata dei prezzi. A quel punto la tesi del riequilibrio della bilancia commerciale con effetti a lungo termine sarebbe difficile da difendere di fronte al ceto medio-basso costretto, di botto, a pagare i medicinali di base anche il doppio.
Per capire la posta in gioco, ecco alcuni dati. L’Italia ha un ruolo di primo piano nella farmaceutica europea. Secondo l’Istat, l’export nel 2024 di articoli farmaceutici e chimico medicinali di aziende italiane verso gli Usa ha un valore di oltre 10 miliardi di euro. Il settore ha un saldo attivo di 2,7 miliardi. L’export dei prodotti farmaceutici di base ammonta a 325 milioni di euro a fronte di importazioni per 5,9 miliardi di euro e un saldo negativo di 5,6 miliardi. Per i medicinali e i preparati farmaceutici, l’Italia esporta per 9,7 miliardi con un saldo attivo di 8,3 miliardi. Con dazi al 15%, su 10 miliardi di esportazioni l’impatto sarebbe fino a 2,5 miliardi considerando anche la svalutazione del dollaro. Nel 2024, le esportazioni farmaceutiche della Ue verso gli Stati Uniti hanno raggiunto un valore di 119,8 miliardi di euro, rappresentando il 38,2% di tutte le esportazioni extra-Ue. Secondo l’analisi dell’economista Fabrizio Gianfrate, gli Usa movimentano farmaci per un valore di 306,4 miliardi di dollari: 94,4 miliardi di import e 212 di export verso il resto del mondo.
Per scavalcare i dazi, alcune grandi aziende europee, tra cui Senofi, Novartis, Astrazeneca e Roche hanno annunciato investimenti produttivi negli Usa. Astrazeneca ha un piano quinquennale da 50 miliardi di dollari e una parte andrà alla costruzione di un centro di produzione in Virginia, Novartis pianifica investimenti oltre oceano per 23 miliardi di dollari mentre la rivale e connazionale Roche ha destinato allo sviluppo della produzione negli Usa 50 miliardi. Anche la francese Sanofi ha presentato un piano da 20 miliardi.
I mercati hanno commentato l’incertezza su alcuni settori e le preoccupazioni dell’impatto dei dazi sulla crescita, con una chiusura debole. Francoforte mette a segno la performance peggiore (-1,13%), seguita da Parigi (-0,43%) mentre Milano chiude poco sopra la parità (+0,01%). L’euro sul dollaro è in calo (-1,14%) e si attesta su 1,161.
Ursula dà i numeri su energia e Gnl
All’indomani dell’accordo sui dazi tra Stati Uniti e Unione europea, dopo l’incontro tra Donald Trump e Ursula von der Leyen nella tenuta di Turnberry in Scozia, restano diversi dubbi su contenuti e conseguenze del patto commerciale.
La prima anomalia è la cifra che Von der Leyen ha fornito nella sua conferenza stampa relativamente all’energia. «Ne compreremo per 250 miliardi di dollari all’anno per tre anni»: si tratta di numeri insensati. Nel 2024, gli Stati Uniti hanno esportato in tutto il mondo circa 4 milioni di barili al giorno di greggio. Entro la fine di quest’anno potranno esportare 420 milioni di metri cubi al giorno di gas naturale liquefatto (Gnl). Al prezzo di 65,50 dollari al barile (Wti) e al prezzo all’esportazione di 0,30 dollari per metro cubo di Gnl, anche se l’Ue acquistasse la totalità delle esportazioni statunitensi di greggio e gas, il valore annuo dei suoi acquisti ammonterebbe a circa 140 miliardi di dollari. Quindi, la promessa di acquisto di energia da parte dell’Ue è irrealistica. O c’è un errore.
Se si trattasse di 250 miliardi di dollari in tre anni avrebbe senso. Nel 2024, infatti, l’Ue ha acquistato circa 80 miliardi di dollari di energia dagli Usa (circa 60 di petrolio e derivati e circa 20 di Gnl). Dunque, 250 miliardi di dollari in tre anni sarebbero grosso modo il business as usual corrente.
Il secondo aspetto da valutare è che ora Consiglio e Parlamento europeo dovranno approvare l’accordo, secondo l’articolo 218 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. La Francia sta facendo il diavolo a quattro, dicendo che è inaccettabile. Il premier francese François Bayrou ha criticato aspramente Von der Leyen ed Emmanuel Macron si è chiuso in un silenzio pesante. In Consiglio è sufficiente la maggioranza qualificata: la Francia voterà contro l’approvazione del deal, per marcare una differenza? In Parlamento, considerato che l’accordo piace alla Germania, non dovrebbero esserci problemi. Però, la cosa mette in difficoltà i socialisti, che in queste ore accusano Von der Leyen di aver portato a casa una fregatura. Il gruppo dei socialisti al Parlamento europeo voterà contro, dunque?
Terzo aspetto: sulla carta l’accordo va bene alla Germania, che temeva un dazio del 25% sull’auto, ma in realtà non tanto. I dazi al 15% sono pari a quelli del Giappone, ma inferiori a quelli di Canada e Messico (25%). Poiché l’industria dell’auto statunitense vive di indotto importato da Messico e Canada, la stessa industria americana soffrirà più di quella europea. Hildegard Müller, presidente dell’Associazione automobilistica tedesca, ha però rilevato che «i dazi costeranno miliardi all’anno alle aziende dell’industria automobilistica tedesca e le graveranno nel pieno della loro trasformazione». Inoltre, ieri è stato chiarito che l’accordo non precede il riconoscimento reciproco degli standard sulle auto, compreso quello sulle emissioni. Poi c’è un fatto: poiché ci saranno dazi al 2,5% per l’export di auto Usa verso l’Europa, una Bmw o una Mercedes costruita negli Stati Uniti potrà essere esportata in Europa con dazi praticamente nulli. Al contrario, le esportazioni verso gli Usa dalle fabbriche tedesche saranno colpite dal dazio del 15%. Cioè, le case automobilistiche limiteranno i danni, ma i lavoratori no. Resta il dazio del 50% su acciaio e alluminio. L’industria tedesca è comunque colpita in maniera pesante.
L’ultimo aspetto riguarda gli investimenti Ue in Usa (600 miliardi). Se l’intento di Trump è ridurre il deficit delle partite correnti, cioè esportare di più e importare di meno, migliorando la bilancia commerciale, questo non si sposa con l’aumento dei flussi netti di capitali in entrata negli Usa. Se gli Stati Uniti importano più beni e servizi di quanti ne esportano (hanno un deficit delle partite correnti), quel disavanzo deve essere finanziato da capitali in entrata. Non si può simultaneamente ridurre il deficit delle partite correnti e aumentare i flussi netti di capitali in entrata. Se il deficit delle partite correnti migliora (diventa meno negativo), allora i flussi netti di capitali in entrata devono peggiorare. Le due voci si muovono in direzioni opposte per definizione contabile. Su questa parte dell’accordo resta il mistero.
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Il destino doganale dei medicinali è rimasto fuori dagli accordi in Scozia: Trump aspetta l’esito di un’indagine sul tema. La Commissione: si rischia una stangata del 15%. Ma il tycoon si era spinto a ipotizzare il 200%...Ursula von der Leyen dice che «compreremo greggio e gas liquefatto per 250 miliardi l’anno». Ma l’export statunitense è molto più basso. E sull’auto la Germania rischia la scoppola.Lo speciale contiene due articoli.L’accordo raggiunto in Scozia sui dazi al 15% lascia sospesi alcuni temi che saranno affrontati nei prossimi giorni. Tra questi, le tariffe sui farmaci.Donald Trump, già prima di domenica, aveva chiarito che non avrebbero fatto parte della trattativa, lasciando intendere che vuole lasciarsi le mani libere. Attualmente i medicinali esportati da aziende europee negli States non sono soggetti a imposte doganali ma è una situazione che difficilmente rimarrà invariata. Avere evitato i dazi al 15% non significa aver scampato il pericolo. Il futuro dell’industria farmaceutica europea per l’export negli Stati Uniti dipende dall’esito dell’indagine, ancora in corso, sulla Sezione 232 del Trade Expansion Act del 1962, una legge che autorizza il presidente degli Stati Uniti a imporre dazi o altre restrizioni sulle importazioni se queste risultano una minaccia per la sicurezza nazionale. La finalità è di proteggere le industrie nazionali da importazioni che potrebbero comprometterne la capacità produttiva. Qualora da questa indagine dovesse emergere che i prodotti della farmaceutica europea rappresentano un pericolo per la competitività dell’industria nazionale, Trump potrebbe introdurre i dazi in modo da riequilibrare la situazione. D’altronde, è la logica che ha portato all’avvio della guerra commerciale sfociata nell’accordo per dazi al 15%.La percentuale a cui andrebbero sottoposti i farmaci è da definire. L’Ue spinge perché non si superi il tetto del 15% e Bruxelles ieri ha lasciato filtrare che proprio l’intesa raggiunta domenica scorsa rappresenta un argine per non andare oltre tale soglia. Però Trump ci ha abituato a cambi di scenario repentini e proprio il fatto che la partita dei farmaci sia rimasta fuori dal negoziato in Scozia, potrebbe lasciargli libertà d’azione. Von der Leyen, a ridosso del vertice scozzese, ha detto che alcuni farmaci generici potrebbero continuare a rimanere esenti da dazi ma si tratta di ipotesi, parole non sostenute da alcun documento. Serve attendere la dichiarazione ufficiale che dovrebbe arrivare entro venerdì e che, secondo quanto annunciato dalla presidente della Commissione, conterrà dettagli sulle molecole escluse.Il tycoon, nei giorni immediatamente precedenti all’incontro con Von der Leyen, non aveva escluso per i farmaci l’ipotesi di dazi progressivi a partire da agosto, fino ad arrivare anche al 200%. Non è dato capire se sono dichiarazioni di tattica per ribadire la propria posizione di forza indiscussa o se c’è veramente una intenzione di questi genere. I media americani hanno già commentato negativamente un’opzione di questo tipo in quanto avrebbe un impatto forte sulla sanità americana, portando un’impennata dei prezzi. A quel punto la tesi del riequilibrio della bilancia commerciale con effetti a lungo termine sarebbe difficile da difendere di fronte al ceto medio-basso costretto, di botto, a pagare i medicinali di base anche il doppio.Per capire la posta in gioco, ecco alcuni dati. L’Italia ha un ruolo di primo piano nella farmaceutica europea. Secondo l’Istat, l’export nel 2024 di articoli farmaceutici e chimico medicinali di aziende italiane verso gli Usa ha un valore di oltre 10 miliardi di euro. Il settore ha un saldo attivo di 2,7 miliardi. L’export dei prodotti farmaceutici di base ammonta a 325 milioni di euro a fronte di importazioni per 5,9 miliardi di euro e un saldo negativo di 5,6 miliardi. Per i medicinali e i preparati farmaceutici, l’Italia esporta per 9,7 miliardi con un saldo attivo di 8,3 miliardi. Con dazi al 15%, su 10 miliardi di esportazioni l’impatto sarebbe fino a 2,5 miliardi considerando anche la svalutazione del dollaro. Nel 2024, le esportazioni farmaceutiche della Ue verso gli Stati Uniti hanno raggiunto un valore di 119,8 miliardi di euro, rappresentando il 38,2% di tutte le esportazioni extra-Ue. Secondo l’analisi dell’economista Fabrizio Gianfrate, gli Usa movimentano farmaci per un valore di 306,4 miliardi di dollari: 94,4 miliardi di import e 212 di export verso il resto del mondo.Per scavalcare i dazi, alcune grandi aziende europee, tra cui Senofi, Novartis, Astrazeneca e Roche hanno annunciato investimenti produttivi negli Usa. Astrazeneca ha un piano quinquennale da 50 miliardi di dollari e una parte andrà alla costruzione di un centro di produzione in Virginia, Novartis pianifica investimenti oltre oceano per 23 miliardi di dollari mentre la rivale e connazionale Roche ha destinato allo sviluppo della produzione negli Usa 50 miliardi. Anche la francese Sanofi ha presentato un piano da 20 miliardi.I mercati hanno commentato l’incertezza su alcuni settori e le preoccupazioni dell’impatto dei dazi sulla crescita, con una chiusura debole. Francoforte mette a segno la performance peggiore (-1,13%), seguita da Parigi (-0,43%) mentre Milano chiude poco sopra la parità (+0,01%). 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Nel 2024, gli Stati Uniti hanno esportato in tutto il mondo circa 4 milioni di barili al giorno di greggio. Entro la fine di quest’anno potranno esportare 420 milioni di metri cubi al giorno di gas naturale liquefatto (Gnl). Al prezzo di 65,50 dollari al barile (Wti) e al prezzo all’esportazione di 0,30 dollari per metro cubo di Gnl, anche se l’Ue acquistasse la totalità delle esportazioni statunitensi di greggio e gas, il valore annuo dei suoi acquisti ammonterebbe a circa 140 miliardi di dollari. Quindi, la promessa di acquisto di energia da parte dell’Ue è irrealistica. O c’è un errore.Se si trattasse di 250 miliardi di dollari in tre anni avrebbe senso. Nel 2024, infatti, l’Ue ha acquistato circa 80 miliardi di dollari di energia dagli Usa (circa 60 di petrolio e derivati e circa 20 di Gnl). Dunque, 250 miliardi di dollari in tre anni sarebbero grosso modo il business as usual corrente.Il secondo aspetto da valutare è che ora Consiglio e Parlamento europeo dovranno approvare l’accordo, secondo l’articolo 218 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. La Francia sta facendo il diavolo a quattro, dicendo che è inaccettabile. Il premier francese François Bayrou ha criticato aspramente Von der Leyen ed Emmanuel Macron si è chiuso in un silenzio pesante. In Consiglio è sufficiente la maggioranza qualificata: la Francia voterà contro l’approvazione del deal, per marcare una differenza? In Parlamento, considerato che l’accordo piace alla Germania, non dovrebbero esserci problemi. Però, la cosa mette in difficoltà i socialisti, che in queste ore accusano Von der Leyen di aver portato a casa una fregatura. Il gruppo dei socialisti al Parlamento europeo voterà contro, dunque?Terzo aspetto: sulla carta l’accordo va bene alla Germania, che temeva un dazio del 25% sull’auto, ma in realtà non tanto. I dazi al 15% sono pari a quelli del Giappone, ma inferiori a quelli di Canada e Messico (25%). Poiché l’industria dell’auto statunitense vive di indotto importato da Messico e Canada, la stessa industria americana soffrirà più di quella europea. Hildegard Müller, presidente dell’Associazione automobilistica tedesca, ha però rilevato che «i dazi costeranno miliardi all’anno alle aziende dell’industria automobilistica tedesca e le graveranno nel pieno della loro trasformazione». Inoltre, ieri è stato chiarito che l’accordo non precede il riconoscimento reciproco degli standard sulle auto, compreso quello sulle emissioni. Poi c’è un fatto: poiché ci saranno dazi al 2,5% per l’export di auto Usa verso l’Europa, una Bmw o una Mercedes costruita negli Stati Uniti potrà essere esportata in Europa con dazi praticamente nulli. Al contrario, le esportazioni verso gli Usa dalle fabbriche tedesche saranno colpite dal dazio del 15%. Cioè, le case automobilistiche limiteranno i danni, ma i lavoratori no. Resta il dazio del 50% su acciaio e alluminio. L’industria tedesca è comunque colpita in maniera pesante.L’ultimo aspetto riguarda gli investimenti Ue in Usa (600 miliardi). Se l’intento di Trump è ridurre il deficit delle partite correnti, cioè esportare di più e importare di meno, migliorando la bilancia commerciale, questo non si sposa con l’aumento dei flussi netti di capitali in entrata negli Usa. Se gli Stati Uniti importano più beni e servizi di quanti ne esportano (hanno un deficit delle partite correnti), quel disavanzo deve essere finanziato da capitali in entrata. Non si può simultaneamente ridurre il deficit delle partite correnti e aumentare i flussi netti di capitali in entrata. Se il deficit delle partite correnti migliora (diventa meno negativo), allora i flussi netti di capitali in entrata devono peggiorare. Le due voci si muovono in direzioni opposte per definizione contabile. Su questa parte dell’accordo resta il mistero.
(IStock)
Tecnologia e innovazione, poi, vanno in scena nel centro di intrattenimento multidisciplinare Area15, che ha di recente ampliato la sua offerta con nuove installazioni di realtà virtuale e aumentata, rendendo ogni visita un’esperienza immersiva e coinvolgente. Qui si può vivere il brivido di un viaggio nello spazio, partecipare a giochi interattivi o assistere a performance artistiche che uniscono arte, musica e tecnologia.
Per chi cerca un’esperienza più avventurosa, sono state inaugurate nuove attrazioni come il Flyover Las Vegas, un’attività di volo simulato che permette di sorvolare paesaggi spettacolari di tutto il mondo, e la Zero Gravity Experience, un volo parabolico che permette di provare la sensazione di assenza di gravità. L’High Roller presso il Linq Hotel è uno straordinario esempio di architettura e ingegneria moderna. Con un’altezza di 167 metri, questa meraviglia di vetro e acciaio è la ruota panoramica più alta degli Stati Uniti e la seconda più alta del mondo. Insomma, ce n’è davvero per tutti i gusti. Las Vegas, la città che non dorme mai, rappresenta da decenni uno dei poli turistici più iconici al mondo. Famosa per i suoi casinò sfavillanti, i suoi spettacoli di livello mondiale e la vita notturna sfrenata, questa città del Nevada ha saputo reinventarsi nel tempo, offrendo ai visitatori esperienze sempre nuove e coinvolgenti.
Uno degli aspetti più evidenti delle novità della città riguarda il settore alberghiero. Accanto ai famosissimi e spettacolari Caesars Palace; Circus Circus, Bellagio, Paris, The Venetian, la destinazione ha visto l’apertura di hotel di lusso e resort innovativi, capaci di attirare un pubblico sempre più eterogeneo. Tra i progetti più importanti va segnalato il Resorts World Las Vegas, un complesso di oltre 6.000 camere che combina tecnologia all’avanguardia, design sostenibile e un’offerta di intrattenimento di livello superiore. Questo resort si distingue per le sue strutture eco-compatibili, tra cui sistemi di risparmio energetico e gestione sostenibile delle risorse idriche.
D’altronde Las Vegas è nata negli anni Cinquanta dal nulla in mezzo al deserto al termine dalla «Valle della Morte» e, grazie alla monumentale diga di Hoover, è completamente autonoma dal punto di vista di acqua ed energia per tutte le luci, i neon, le insegne e la potente aria condizionata che consente di resistere anche a temperature esterne che raggiungono i cinquanta gradi.
L’attrazione più popolare della città è il Las Vegas Boulevard, comunemente noto come The Strip. Tutti i nuovi e lussuosi casinò sono costruiti su questa strada.
Nel centro della città «vecchia» degli anni Cinquanta ci sono, invece, alcuni hotel e casinò più retrò. Qui una delle attrazioni più distintive dell’area urbana è Fremont Street. Questa strada ha un enorme schermo sul soffitto dove vengono proiettate immagini di ogni tipo, e offre anche una divertente zipline, che permette di restare sospesi in aria da un’estremità all’altra della strada.
La parte di ristorazione è davvero molto variegata e va dai ristoranti gourmet a quelli etnici. Molti i piatti interessanti, nessuno a buon mercato. Ovviamente, come in tutti gli Stati Uniti, si trovano fast food a ogni angolo per chi non vole spendere troppo. Tra questi, l’ottimo e moderno Washin Patato at Fontainebleau o al Stubborn Seed at Resorts World.
Per raggiungere Las Vegas una delle combinazioni più interessanti è quella con la compagnia aerea Condor (www.condor.com/it) via Francoforte con ottimi orari di volo, coincidenze e comodità a bordo. Per maggiori informazioni sulla destinazione: www.lvcva.com.
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Bill Clinton e Jeffrey Epstein (Ansa)
Neanche a dirlo, è scoppiato uno scontro tra il Dipartimento di Giustizia e alcuni parlamentari. «La legge approvata dal Congresso e firmata dal presidente Trump era chiarissima: l’amministrazione Trump aveva 30 giorni di tempo per pubblicare tutti i file di Epstein, non solo alcuni. Non farlo equivale a violare la legge. Questo dimostra che il Dipartimento di Giustizia, Donald Trump e Pam Bondi sono determinati a nascondere la verità», ha tuonato il capogruppo dell’Asinello al Senato, Chuck Schumer, mentre il deputato dem Ro Khanna ha ventilato l’ipotesi di un impeachment contro la Bondi. Strali all’amministrazione Trump sono arrivati anche dai deputati Thomas Massie e Marjorie Taylor Greene: due dei principali critici repubblicani dell’attuale presidente americano.
«Il Dipartimento di Giustizia sta pubblicando una massiccia tranche di nuovi documenti che le amministrazioni Biden e Obama si sono rifiutate di divulgare. Il punto è questo: l’amministrazione Trump sta garantendo livelli di trasparenza che le amministrazioni precedenti non avevano mai nemmeno preso in considerazione», ha replicato il dicastero guidato dalla Bondi, per poi aggiungere: «La scadenza iniziale è stata rispettata mentre lavoriamo con diligenza per proteggere le vittime». Insomma, se per i critici di Trump la deadline di venerdì era assoluta e perentoria, il Dipartimento di Giustizia l’ha interpretata come una «scadenza iniziale». Ma non è finita qui. Ulteriori polemiche sono infatti sorte a causa del fatto che numerosi documenti pubblicati venerdì fossero pesantemente segretati: un’accusa a cui il Dipartimento di Giustizia ha replicato, sostenendo di aver voluto tutelare le vittime di Epstein.
Ma che cosa c’è di interessante nei file divulgati venerdì? Innanzitutto, tra i documenti pubblicati l’altro ieri, compare la denuncia presentata all’Fbi nel 1996 contro Epstein da una sua vittima, Maria Farmer. In secondo luogo, sono rispuntate le figure di Trump e Bill Clinton, anche se in misura differente. «Trump è appena visibile nei documenti, con le poche foto che lo ritraggono che sembrano essere di pubblico dominio da decenni. Tra queste, due in cui Trump ed Epstein posano con l’attuale first lady Melania Trump nel febbraio 2000 durante un evento nel suo resort di Mar-a-Lago», ha riferito The Hill. Svariate foto riguardano invece Bill Clinton. In particolare, una ritrae l’ex presidente dem in una piscina insieme alla socia di Epstein, Ghislaine Maxwell, e a un’altra donna dal volto oscurato. In un’altra, Clinton è in una vasca idromassaggio sempre in compagnia di una donna dall’identità celata: una donna che, secondo quanto affermato su X dal portavoce del Dipartimento di Giustizia Gates McGavick, risulterebbe una «vittima». In un’altra foto ancora, l’ex presidente dem è sul sedile di un aereo, con una ragazza che gli cinge il collo con un braccio. Clinton compare infine in foto anche con i cantanti Mick Jagger e Michael Jackson.
«La Casa Bianca non ha nascosto questi file per mesi, per poi pubblicarli a tarda notte di venerdì per proteggere Bill Clinton», ha dichiarato il portavoce di Clinton, Angel Ureña, che ha aggiunto: «Si tratta di proteggersi da ciò che verrà dopo, o da ciò che cercheranno di nascondere per sempre. Così possono pubblicare tutte le foto sgranate di oltre 20 anni che vogliono, ma non si tratta di Bill Clinton». «Persino Susie Wiles ha detto che Donald Trump si sbagliava su Bill Clinton», ha concluso. «Questa è la sua resa dei conti», ha invece dichiarato al New York Post un ex assistente di Clinton, riferendosi proprio all’ex presidente dem. «Voglio dire, se accendete la Cnn, è di questo che stanno parlando. Ho ricevuto un milione di messaggi a riguardo», ha proseguito. «La gente pensa: non posso credere che fosse in una vasca idromassaggio. Chi è quella donna lì dentro?», ha continuato, per poi aggiungere: «Voglio dire, è incredibile. È semplicemente scioccante», ha continuato. Vale la pena di sottolineare che né Trump né Clinton sono accusati di reati in riferimento al caso Epstein. Caso su cui i coniugi Clinton si sono tuttavia recentemente rifiutati di testimoniare alla Camera. Per questo, il presidente della commissione Sorveglianza della Camera stessa, il repubblicano James Comer, ha offerto loro di deporre a gennaio: in caso contrario, ha minacciato di avviare un procedimento per oltraggio al Congresso contro la coppia.
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Il Tribunale dei minori de l'Aquila. Nel riquadro, la famiglia Trevallion Birmingham (Ansa)
Un bambino è un teste fragile estremamente suggestionabile, perché è abituato al fatto che non deve contraddire un adulto, e, soprattutto se il bambino è spaventato, tende a compiacere l’adulto e a dire quello che l’adulto vuole. Ricordiamo che esiste la Carta di Noto, un protocollo di linee guida per l’ascolto del minore in caso di presunti abusi sessuali o maltrattamenti, elaborato da esperti di diverse discipline (magistrati, avvocati, psicologi, ecc.), che sono state sistematicamente disattese per esempio a Bibbiano. Un bambino deportato dalla sua famiglia è per definizione terrorizzato. Il termine corretto per i bambini tolti dalle famiglie dalle assistenti sociali è deportazione. La deportazione avviene all’improvviso, da un istante all’altro, con l’interruzione totale di tutti gli affetti, genitori, nonni, amici, eventuali animali domestici. Il deportato è privato dei suoi oggetti e del suo ambiente e con la proibizione di contatti con la sua vita precedente. Il deportato non ha nessuna padronanza della sua vita. Questo è lo schema della deportazione. Assistenti sociali possono mentire e psicologi possono avvallare queste menzogne con interrogatori suggestivi che portano i bambini a mentire. I motivi sono tre: compiacenza verso superiori o colleghi (è già successo), interesse economico (è già successo), fanatismo nell’applicare le proprie teorie: l’abuso sessuale dei padri sui bambini è diffusissimo, una famiglia non ha il diritto di vivere in un bosco, una madre povera non ha diritto ad allevare suo figlio, i bambini appartengono allo Stato, a meno che non siano rom allora appartengono al clan, un non vaccinato è un nemico del popolo oltre che della scienza e va deportato e vaccinato (è già successo).
Un’assistente sociale può mentire. E dato che la menzogna è teoricamente possibile deve essere necessario, per legge, che a qualsiasi interazione tra lo psicologo e l’assistente sociale e il bambino sia presente un avvocato di parte o un perito di parte, psicologo o altra figura scelta dalla famiglia. È necessario quindi che venga fatta immediatamente una legge che chiarisca che sia vietato una qualsiasi interazione tra il bambino e un adulto, assistente sociale, psicologo, ovviamente magistrato, dove non sia presente un perito di parte o un avvocato. Facciamo un esempio a caso. Supponiamo (siamo nell’ambito delle supposizioni, il posto fantastico dei congiuntivi e dei condizionali) che l’assistente sociale che ha dichiarato che i bambini della famiglia del Bosco sono analfabeti, oltre ad aver compiuto il crimine deontologico gravissimo della violazione di segreto professionale, abbia mentito. Certo è estremamente probabile che i figli di una famiglia con un livello culturale alto, poliglotta, la cui madre lavora in smart working siano analfabeti. È la cosa più logica che ci sia, però supponiamo per ipotesi fantastica che l’assistente sociale abbia mentito. In questo caso è evidente che i bambini non possono tornare a casa per Natale. Se i bambini tornassero a casa in tempi brevi, non sarebbe difficile fare un video dove si dimostra che scrivono benissimo, che leggono benissimo, molto meglio dei coetanei in scuole dove il 90% degli utenti sono stranieri che non sanno nemmeno l’italiano e meno che mai l’inglese, si potrebbe dimostrare che sono perfettamente in grado di farsi una doccia da soli e anche di cucinare un minestrone.
La deportazione di un bambino, coi rapporti troncati da un colpo di ascia, produce danni incalcolabili. I bambini sono stati sottratti ai loro affetti per darli in mano a una tizia talmente interessata al loro interesse che sputtana loro e la loro famiglia davanti a tutta l’Italia e per sempre (il Web non dimentica) con affermazioni (vere?) sul loro analfabetismo e sulla loro incapacità a fare una doccia. Questi bambini rischiano di essere aggrediti e sfottuti dai coetanei per questo, si è spianata la strada a renderli vittime di bullismo per decenni. Con impressionante sprezzo di qualsiasi straccio di deontologia gli operatori, tutti felici di squittire a cani e porci informazioni che dovrebbero essere assolutamente riservate (anche questi il segreto professionale e la deontologia non sanno che cosa siano), ci informano che i bambini annusano con perplessità i vestiti che profumano di pulito. I vestiti non profumano di pulito. Hanno l’odore dei pessimi detersivi industriali reclamizzati alla televisione che deve essere la fonte principale se non l’unica da cui nasce la cultura degli operatori. I loro componenti sono pessimi, non solo inquinanti, ma anche pericolosi per la salute umana a lungo termine: stesso discorso per lo sciampo e il bagno schiuma, soprattutto negli orfanatrofi di Stato, le cosiddette case famiglie, dove si comprano i prodotti meno cari, quindi quelli con i componenti peggiori.
Nessuno dei libricini su cui hanno studiato gli operatori ha spiegato che ci sono ben altri sistemi per garantire una pulizia impeccabile. In tutte le foto che li ritraggono con i genitori, ai tempi distrutti per sempre in cui erano felici, i bambini sono pulitissimi. Tra l’altro tutte queste incredibili esperte di comportamento infantile, non hanno mai sentito parlare di comportamento oppositivo? Un bambino normale, una volta deportato con arbitrio dalla sua vita e dalla sua famiglia, può spezzarsi ed essere malleabile o può resistere ed essere oppositivo. Fai la doccia. Non la voglio fare. Scrivi. Non sono capace. Il bambino oppositivo deve essere frantumato. Non ti mando a casa nemmeno per Natale.
Sia fatta una legge immediatamente. Subito. I bambini del bosco devono avere di fianco un avvocato. Noi popolo italiano, che con le nostre tasse paghiamo i servizi sociali e la deportazione dei bambini, abbiamo il diritto a pretendere che non siano soli. I bambini nel bosco passeranno un Natale da deportati. Qualcuno si sentirà in dovere di informarci che in vita loro non avevano mai mangiato un qualche dolce industriale a base di zucchero, grassi idrogenati e coloranti e che grazie alla deportazione questa lacuna è stata colmata.
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La famiglia Trevallion-Birmingham (Ansa)
È infatti una prepotenza senza significato confrontare una bomba affettiva e esistenziale come tre fratellini che giocano e si vogliono evidentemente bene, accompagnata da genitori altrettanto uniti, e naturalmente affettivi con norme e abitudini di un Paese dove il nucleo abitativo più frequente nelle città più prestigiose consiste in un cittadino singolo. Pretendere che i pochi figli superstiti in qualche «terra di nessuno», con i suoi boschi e le affettuosità (che ancora esistono fuori dalle famiglie-tipo), si uniformino ai secchi diritti e cupe abitudini del sociologico e disperato «gruppo dei pari» è un’operazione di una freddezza stalinista, per fortuna destinata allo scacco. È coltivata da burocrazie che scambiano relazioni profonde e vere, comunque indispensabili alla vita e alla sua felicità, con strumenti tecnici, adoperabili solo quando la famiglia purtroppo non c’è più, molto spesso per l’ottusità e la corruzione dello Stato stesso che le subentra (come racconta Hanna Arendt) quando è riuscito a distruggerla. Se non si vuole creare danni inguaribili, tutti, anche i funzionari dello Stato, dovrebbero fare attenzione a non sostituire gli aspetti già legati all’umano fin dalla creazione del mondo, con pratiche esterne magari infiocchettate dalle burocrazie ma che non c’entrano nulla con la sostanza dell’uomo e la sua capacità di sopravvivere.
Certo, la bimba Utopia Rose, citata nel bel pezzo di Francesco Borgonovo del 18 dicembre, è una testimone insostituibile di un’altra visione del mondo rispetto alle varie ideologie che prevalgono in questo momento, unendo ferocia e ricchezza, cinismo e follia. Impossibile di fronte ai fratellini che tanto scandalizzano le burocrazie perbene non ricordare (oltretutto a pochi giorni dal Natale) l’ordine di Gesù: «Lasciate che questi piccoli vengano a me». Nessuno dubita che entreranno nel Regno prima degli assistenti sociali. Utopia Rose, la più grande, è affettuosa e impegnata, lavoratrice e giocattolona, organizzatrice e sognatrice. Però non è sola (Come si fa a non amarla, e anche un po’ invidiarla?). Non soltanto perché ha i suoi due fratellini, e i tre quarti del pubblico fa il tifo per loro. Ma perché questa visione loro e dei genitori di cercare una vita buona e naturale, semplicemente felice e affettuosa verso sé e verso gli altri e tutto il mondo vivente, cresce con la stessa velocità con la quale si sviluppa l’idolatria verso tutto ciò che è artificiale, fabbricato, mentale, non affettivo. È già qualche anno che chi viene in analisi scopre soprattutto questo: l’urgenza di mettersi al riparo dagli egoismi e pretese grandiose, vuote e fredde, e invece amare. Ormai il fenomeno trasborda nelle cronache. Trasgressione conclusiva, dialettale e popolaresca (milanese): «Spérèm»!
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