2020-04-06
Farmaci, affari, bugie. Che cosa si nasconde dietro la corsa ai vaccini e alle cure
Servono 2 miliardi di dollari per i rimedi. Partiti 50 progetti in tutto il mondo, i risultati tra un anno: ecco chi è in lizza.«Su certe cure ci sono troppe chiacchiere in giro», dice Silvio Garattini, presidente del Mario Negri di Milano. «Stati Uniti e Cina sono più avanti dell'Europa, dove ognuno fa per sé. I ricercatori italiani? Molti sono andati all'estero».Lo speciale contiene due articoli.Per realizzare un antidoto contro il Covid-19 servono 2 miliardi di dollari. Parola di Richard Hatchett, amministratore delegato di Coalition for epidemic preparedness innovations (Cepi), organizzazione nata nel 2017 per ripartire fondi pubblici e privati destinati a sviluppare vaccini contro le malattie infettive emergenti. Il coronavirus si diffonde rapido, ma i vaccini devono essere sviluppati, testati in laboratorio, poi sottoposti a sperimentazioni cliniche prima su pochi volontari, nella seconda fase su alcune centinaia di persone, poi su migliaia. Se tutto va bene, trascorreranno diversi mesi, si spera solo un anno. Gli investimenti sono l'ultimo dei problemi, non a caso la Cepi ha già raccolto 660 milioni di dollari principalmente da Germania, Regno Unito, Danimarca, Finlandia e Norvegia, Paese dove ha sede l'organizzazione sostenuta anche dalla fondazione Bill & Melinda Gates che ha promesso 60 milioni di dollari. La Cepi ha concesso 29,2 milioni di dollari di finanziamenti a otto tra aziende, consorzi e università compresa quella di Pittsburgh, dove lavora il professore italiano Andrea Gambotto che sta mettendo a punto un antidoto, applicabile attraverso un cerotto con 400 aghi. Gli unici due vaccini già in fase 1, nella quale si indaga sulla sicurezza e l'efficacia nell'uomo, sono quello americano dell'azienda Moderna, nel Massachusetts, e quello cinese della società privata CanSino biologics. Circa una cinquantina di progetti si stanno sviluppando nel mondo, tra i tanti anche l'istituto di ricerca israeliano Migal ha annunciato di possedere la tecnologia per un vaccino. Per l'italiana Advent Irbm, che lavora a fianco del Jenner Institute dell'Oxford University, i primi test clinici partiranno la prossima estate. Un'altra italiana, Takis, specializzata nei vaccini di tipo genetico, ha iniziato sperimentazioni contro il Covid-19, chiede 2 milioni di euro attraverso il crowdfunding, al momento ha raccolto 43.000 euro. Nella corsa è quasi scontato che finiscano avvantaggiate le aziende che possono contare su maggiori fondi. Per questo Seth Berkley, direttore di Gavi alliance che si occupa di campagne di vaccinazione nei Paesi in via di sviluppo, ha lanciato un appello perché sia «esclusivamente il merito scientifico» a far decidere quale vaccino può proseguire nella sperimentazione. Berkley ha chiesto «una straordinaria condivisione di informazioni e risorse, compresi i dati sul virus, sui candidati vaccini, adiuvanti, linee cellulari e progressi nella produzione». Saranno solo buoni propositi? <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/farmaci-affari-bugie-che-cosa-si-nasconde-dietro-la-corsa-ai-vaccini-e-alle-cure-2645642228.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="bisogna-vigilare-che-il-business-non-aumenti-il-costo-dellantidoto" data-post-id="2645642228" data-published-at="1586109391" data-use-pagination="False"> «Bisogna vigilare che il business non aumenti il costo dell’antidoto» Silvio Garattini (Ansa) Silvio Garattini, 91 anni, bergamasco, presidente e fondatore dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, uno dei massimi esperti europei in tema di sviluppo e regolamentazione dei nuovi farmaci, non si stupisce che i progetti di studio del vaccino anti Covid-19 siano più che raddoppiati in poche settimane, sarebbero già 50 nel mondo, come ha dichiarato il presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi. «È iniziata la grande corsa», commenta Garattini, «l'importante è arrivare a poterlo somministrare e così sconfiggere il coronavirus, assieme a farmaci efficaci». Professore, si sentono tante ipotesi, quanto tempo dobbiamo credere che servirà per mettere a punto un vaccino? «Forse ne potremo avere uno entro l'anno, sempre che tutto vada bene nella fase dello sviluppo e dopo averne provato l'efficacia prima della commercializzazione. Se nel frattempo il virus mutasse, un vaccino sarebbe comunque un punto di partenza». L'Europa, gli Stati Uniti o la Cina: chi vincerà la battaglia, arrivando primo nel fornire un antidoto? «Stati Uniti e Cina hanno una potenza di fuoco di gran lunga superiore a quella dell'Europa, dove non esiste un piano comune. La ricerca a livello di Unione europea rappresenta appena il 5% delle risorse nazionali, gli interventi adottati per sviluppare un vaccino sembrano più dei pro forma, giusto per far vedere che si sta facendo qualche cosa, mentre le risorse necessarie sono ben diverse da quelle messe a disposizione. Purtroppo la sanità è stata esclusa dai patti dell'Unione e in Europa ne paghiamo le conseguenze. Rimaniamo molto divisi, ciascun Paese va per proprio conto». L'Italia sta partecipando a questa corsa contro il tempo? «Il nostro Paese, dispiace sempre dirlo, non è tra i più avanzati. Abbiamo bravissimi ricercatori ma sono pochi, molti se ne sono andati all'estero. Per la ricerca spendiamo quasi la metà di quanto mette a disposizione la Francia, un terzo dei finanziamenti concessi dalla Germania. In Italia la spesa per la sanità è inferiore di due punti percentuali di Prodotto interno lordo rispetto alla media dell'Unione europea. Non possiamo compiere studi sugli animali come è invece possibile altrove, mentre è una necessità insostituibile, impensabile sperimentare direttamente sull'uomo nuove sostanze, servono filtri. Con i test sugli animali, almeno non portiamo nell'uomo quello che già nei modelli animali mostra tossicità e non risulta efficace. Abbiamo tante limitazioni, speriamo che questa pandemia apra gli occhi ai nostri politici, facendo loro capire che la ricerca è importante non solo per rispondere alle esigenze di tutti i giorni, ma anche in emergenze come quella che stiamo vivendo». Perché l'uso di adiuvanti in un vaccino è di particolare importanza, soprattutto in una situazione di pandemia? «Questi composti aggiunti al principio attivo, anche se in concentrazioni estremamente ridotte aumentano molto l'efficacia del prodotto, riducendo la quantità di antigene richiesta per ciascuna dose. In questo modo è possibile produrre più dosi di vaccino e renderlo disponibile a un maggior numero di persone. Si tratta di sostanze di tipo diverso, una che è stata molto utilizzata è lo squalene, un intermedio nella sintesi del colesterolo». Non appena un vaccino verrà approvato, sarà necessario averlo subito e in grandi quantità. «Questo è un altro grosso problema, bisognerà produrre miliardi di dosi e avere la capacità produttiva per farlo. Alla corsa parteciperanno in molti, bisogna stare attenti che il business non porti a elevare senza giustificazione il costo dell'antidoto. Su questo dovrebbero vigilare i governi di tutti i Paesi». L'emoglobina di verme di mare sarebbe più ossigenante di quella umana, addirittura affermano che potrebbe sostituire i respiratori. Si parla delle proprietà della clorochina, dell'Avigan: lei che cosa ne pensa di questi farmaci e dei presunti rimedi curativi? «Ci sono tante chiacchiere in giro. Di certi farmaci si utilizza soprattutto la componente antinfiammatoria per diminuire la gravità della polmonite, ma è noto per esempio che la clorochina, utilizzata dopo la Cina anche in Italia e in Francia, non può essere somministrata a soggetti cardiopatici. Dell'Avigan, prodotto sviluppato per curare l'influenza, non approvato in Europa né negli Stati Uniti, si sa molto poco. L'unico studio emergente, specifico, che sembra dare buone prospettive, è quello sul “plasma convalescente" dei pazienti guariti dal coronavirus (la sperimentazione è in corso negli ospedali di Pavia e Mantova, ndr), in quanto fonte di anticorpi in grado di attaccare il virus nei soggetti che hanno sviluppato la malattia. Si potrebbe arrivare a produrre anticorpi di questo tipo, utili durante l'infezione da Covid-19».
Jose Mourinho (Getty Images)