2023-01-06
Famiglia, liturgia, aborto: lo scontro riparte
Papa Bergoglio e il Papa Emerito Ratzinger (Imagoeconomica)
Nel libro Nient’altro che la verità, monsignor Georg Gänswein racconta di come rimase «scioccato e dimezzato» quando fu congedato da Francesco. E ripercorre tutti i contrasti del Pontefice defunto con quello regnante su temi su cui la Chiesa si mostra arrendevole.Da quel febbraio 2013, quando papa Benedetto XVI pronunciò davanti ai cardinali la sua rinuncia, fino a ieri, giorno del funerale del Papa «emerito», la Chiesa cattolica ha indubbiamente vissuto dieci anni inediti nella sua millenaria storia. Ha affrontato il rischio di due papi che hanno convissuto insieme dentro le mura leonine, uno regnante e uno emerito. Due conclavi in ballo, quello del 2005 e quello del 2013, con rispettive squadre di cardinali schierate dentro a un gioco che però non può essere solo umano. Altrimenti la Chiesa sarebbe già finita.Ora uno dei due papi è morto. E la diplomazia di facciata, all’interno delle mura leonine, è finita. A smuovere la calma ha pensato il segretario storico di Joseph Ratzinger, monsignor Georg Gänswein che, coadiuvato dal giornalista Saverio Gaeta, ha scritto un libro in uscita in questi giorni, che La Verità ha potuto visionare, e che si pone come meta quella «di raccontare la propria verità riguardo le bieche calunnie e le oscure manovre che hanno cercato invano di gettare ombre sul magistero e sulle azioni del Pontefice tedesco». Il volume si intitola Nient’altro che la verità. La mia vita al fianco di Benedetto XVI (Piemme, 336 pagine, 20 euro). In questi ultimi dieci anni, e negli otto trascorsi da Pontefice regnante, una cosa è certa all’interno della chiesa: la figura di Benedetto XVI è stata strattonata in molti modi. Padre Georg è stato segretario privato di Ratzinger dal 1° marzo 2003, quando ancora era prefetto dell’ex Sant’Ufficio, fino alla sua morte avvenuta il 31 dicembre scorso. Per Gänswein questo è stato «un periodo di grazia», accanto a «uno dei più grandi protagonisti della storia del secolo scorso, troppo spesso denigrato dalla narrazione dei media e dai detrattori». Leggendo le pagine di padre Georg, ci sono situazioni che lo vedono protagonista in prima persona e che testimoniano un pessimo rapporto con Francesco. Il Papa argentino, nel racconto di padre Georg, nel 2020 lo congedò dalla Prefettura della Casa pontificia con queste parole: «Lei rimane prefetto ma da domani non torna al lavoro». «Restai scioccato e senza parole, mi sentii dimezzato», dice oggi l’ex segretario di Benedetto XVI. Che all’epoca commentò l’allontanamento con queste parole: «Penso che papa Francesco non si fidi più di me e desideri che lei mi faccia da custode». Monsignor Gänswein ricorda anche alcuni momenti di amarezza del defunto Pontefice, come quello provato nel 2007 quando alcuni professori dell’Università La Sapienza gli impedirono di parlare in ateneo: «Il Papa serbò il dispiacere, più per la mancata accoglienza in quel centro culturale, cui, non dimentichiamolo, aveva dato vita il suo predecessore Bonifacio VIII»Ma ci sono altri passaggi che possono essere interessanti per capire cosa agita le acque su cui naviga oggi la barca di Pietro, anche attraverso il rapporto tra i due papi, diversi senza dubbio, sebbene uniti per la Chiesa.Il primo elemento riguarda il doppio sinodo sulla famiglia, quello convocato da Francesco nel 2014 e 2015 e che è stato aperto con la celeberrima relazione del cardinale Walter Kasper al concistoro del febbraio 2014. Si tenga presente che papa Benedetto aveva già disputato con Kasper in diverse occasioni e su diversi temi, perciò, dice Gänswein nel libro, «lo stupore di Benedetto fu dovuto alla scelta di Francesco di far pronunciare una simile relazione, che ovviamente avrebbe in qualche modo condizionato i padri sinodali». La questione centrale del dibattito riguardava l’accesso alla comunione dei divorziati risposati che Kasper apriva citando anche San Tommaso d’Aquino.La discussione è proseguita per due lunghi anni fino alla pubblicazione della esortazione apostolica Amoris laetitia nel 2016 che, al capitolo VIII, mediante il riferimento di una nota a piè di pagina, di fatto apre, in certi casi, alla comunione ai divorziati risposati. Nel Papa emerito, dice Gänswein, «maturò qualche perplessità leggendo il testo poiché, pur apprezzandone molti passaggi, si interrogò sul senso di alcune note, che in genere segnalano la citazione di una fonte, mentre in questo caso esprimevano contenuti significativi». E nei mesi successivi «continuava a non comprendere il motivo per cui si era lasciata aleggiare in quel documento una certa ambiguità, consentendo interpretazioni non univoche».Quando quattro cardinali, Carlo Caffarra, Walter Brandmüller, Joachim Meisner e Raymond L. Burke, scrissero a Francesco per manifestarli i loro dubia, dubbi, in merito, Ratzinger non intervenne mai, ma «restò soltanto umanamente sorpreso per l’assenza di qualsiasi cenno di replica da parte del Pontefice, nonostante Francesco, normalmente, si mostrasse disponibile a incontrare e a parlare con chiunque».Altro nodo riguarda il fatto che la crisi della liturgia, prima ancora che la questione della messa in latino, fosse al centro dei pensieri già del cardinale Ratzinger. «Ai suoi occhi», dice Gänswein, «ogni riforma della Chiesa doveva derivare dalla liturgia, in quanto essa soltanto può incarnare un rinnovamento della fede che parte dal centro». Ma questa preoccupazione sembra essere passata in secondo piano con il pontificato di Francesco, anzi con il Motu proprio Traditionis custodes del 2021 di fatto si è cancellato il Motu proprio Summorum pontificum del 2007, che ridava piena cittadinanza al rito straordinario secondo il messale del 1962. Quando il Papa emerito lesse del nuovo Motu proprio sull’Osservatore romano, dice Gänswein, «a livello personale, riscontrò un deciso cambio di rotta e lo ritenne un errore, poiché metteva a rischio il tentativo di pacificazione che era stato compiuto quattordici anni prima». Ma il segretario di Ratzinger aggiunge che, secondo l’emerito, è sbagliato anche «proibire la celebrazione della messa in rito antico nelle chiese parrocchiali, in quanto è sempre pericoloso mettere un gruppo di fedeli in un angolo».Infine, a mo’ di summa, può essere considerata la lettera del 27 settembre 2013 che il Papa emerito scrisse su invito dello stesso Francesco per commentare l’intervista che il Pontefice regnante aveva concesso al direttore della Civiltà cattolica, padre Antonio Spadaro, e pubblicata appunto nel settembre di quello stesso anno. «Il Papa emerito», dice Ganswein, «prese molto sul serio quell’invito». Nei rilievi critici si soffermò su due punti: l’aborto e i contraccettivi, e il «problema» dell’omosessualità. «Giovanni Paolo II, così ho imparato, aveva compreso», ha scritto Ratzinger a papa Bergoglio, «che l’aborto e le forme di procreazione artificiale, di manipolazione e di distruzione di vite umane, erano sostanzialmente un «no» al Creatore. L’uomo da solo si crea e si distrugge. In questo senso, la grande lotta pro vita era la lotta per il Creatore (…)». Quindi, ben vengano migliori modi per i movimenti pro life, scrive Ratzinger, ma «la lotta pubblica contro questa negazione concreta e pratica del Dio vivente rimane certamente una necessità».Sul problema difficile della pastorale per le persone omosessuali, Ratzinger scrisse a Bergoglio che «già nel Catechismo della Chiesa cattolica avevamo cercato di trovare, dopo lunghi dibattiti con correnti diverse, l’equilibrio tra il rispetto della persona, l’amore pastorale e la dottrina della fede». E per questo concordava con l’approccio di Francesco, ma avvertiva con forza del problema della propaganda pubblica legata al gender, aggiungendo, anche qui, che «la resistenza forte e pubblica contro questa pressione è necessaria».Anche in seguito, racconta padre Georg, arrivarono a Santa Marta le encicliche e le esortazioni di papa Francesco, «tuttavia, richieste di specifiche osservazioni in merito a questi testi non sono più giunte».
Il ministro della Giustizia carlo Nordio (Imagoeconomica)