2023-04-09
Fabio Rampelli: «Basta inglesismi. Ma “radical chic” si può ancora dire»
Il deputato di Fdi: «Nessuna multa ai cittadini, la mia proposta è per aziende e Pa. Imitiamo la Francia sulla difesa della lingua».«Sono prigioniero della mia stessa proposta di legge. Ogni volta devo stare attento a come mi esprimo, se mi scappa una parola in inglese, una qualunque, mentre sono alla Camera rischio la brutta figura. E infatti fioccano sulla Rete i video di tutte le volte in cui mi sono tradito... Questo dimostra che la situazione è grave, ma non seria, per dirla con Ennio Flaiano». Fabio Rampelli la prende con spirito, sorride pure lui, ma si sente che in fondo gli dispiace: alla proposta di legge per la difesa dell’italiano ci tiene davvero. «La presento da tre legislature, magari questa è la volta buona», sospira. Magari sì. Ma nonostante la rinnovi da tempo, ora che Fratelli d’Italia è al governo la sua proposta è stata elevata a emblema del revanscismo della destra, e da giorni è oggetto di pesanti sberleffi.Rampelli però incassa, e tira dritto. Quando parla, in effetti, misura le parole. Sembra che ne abbia ricavato un esercizio di meditazione: ogni volta che un termine straniero gli balla sulla lingua, si sforza di bloccarlo e di cercarne l’equivalente italiano. È una pratica che può strappare una risata, come no. Ma provate a fare lo stesso per una giornata, e vedrete che al tramonto avrete un’opinione diversa: per molti utilizzare sempre e solo l’italiano è una piccola impresa.Rampelli, dunque vuole impedirci di parlare in inglese?«No, voglio che la Pubblica amministrazione, le grandi società, le multinazionali e le partecipate dello Stato parlino italiano e si facciano capire dagli italiani. Perché il loro linguaggio è incomprensibile; soprattutto lo è per le persone meno istruite, gli anziani e i giovanissimi che non hanno ancora iniziato il loro ciclo di studi o per coloro che invece l’hanno dovuto terminare anticipatamente».E allora ci spieghi: quando sarebbe proibito l’utilizzo di parole straniere?«Viste le falsità che sono circolate in questi giorni, mi permetta di precisare: ogni cittadino era, è e resterà libero di esprimersi nella lingua che vuole. Le sanzioni - che accompagnano fatalmente ogni legge - sono applicate soltanto a quegli enti, a coloro i quali possono scrivere leggi, regolamenti, convenzioni, documenti, contratti o fare proposte commerciali e quindi hanno il dovere di farsi comprendere». Facciamo qualche esempio. Se un Comune e un’azienda stipulano un contratto, nel testo non ci può essere la parola «green»?«Sarebbe auspicabile dato che la parola “green” ha un corrispettivo in lingua italiana che si può serenamente utilizzare. Ma ormai il termine è internazionalizzato e quindi non sanzionabile. Io non voglio mica italianizzare i termini stranieri, anche se i francesi lo fanno: francesizzano ogni anno tutti i vocaboli che sono entrati nel gergo comune. E c’è una commissione ad hoc che fa questo lavoro. La mia non è una proposta autarchica, non voglio italianizzare niente. In ogni caso la parola “green” ha un corrispettivo nella lingua italiana e non c’è alcuna ragione al mondo per fare i fighetti e non utilizzarla». Non ho capito. Se un Comune mette la parola «green» dentro un contratto quindi si piglia la multa o no?«No, perché è un vocabolo internazionalizzato, perde la sua natura originaria. Come pizza».Io per l’uso di green la multa la darei, ma grazie al cielo non decido io. A proposito: a chi spetta controllare, cioè vigilare sulla lingua?«In questi dettagli la legge non entra, ci sarà un decreto attuativo che preciserà meglio. Però è prevista l’istituzione di un comitato scientifico che dovrà occuparsi di promuovere la lingua italiana e di monitorarne l’evoluzione. Ne fanno parte la Dante Alighieri, la Treccani, l’Accademica della Crusca e poi altre realtà istituzionali. Il ministero di riferimento sarà quello della Cultura. E infatti sarà il ministro della Cultura o un suo delegato a coordinare il lavoro di questo comitato, ci sarà anche la partecipazione del ministero degli Esteri». C’è chi dice che la sua proposta non serva, ma servirebbe investire di più sulla scuola: è lì che si dovrebbe imparare bene l’italiano.«Il benaltrismo è uno sport molto diffuso in Italia. Una cosa non esclude l’altra. La verità è che siamo arrivati a un punto di non ritorno. Può darsi che non tutti gli esperti siano d’accordo, ma ho sentito un linguista spiegare che quando metà dei termini presenti sul dizionario italiano verranno da una lingua straniera, l’italiano sarà tecnicamente collassato, sterile. Noi continueremo a parlarlo, ma non si diffonderà più. Ebbene, negli ultimi anni c’è stato un incremento del 773% - secondo un istituto di ricerca specializzato - di vocaboli stranieri, prevalentemente inglesi, nel vocabolario italiano. Quindi mi pare che ci si debba interrogare».Non sarà troppo tardi ormai?«La Francia insegna che intervenire si può, certo ci si deve applicare».Però loro hanno iniziato decenni fa, prima della rivoluzione digitale, dei social... «Può darsi che in alcuni casi contrastare l’invadenza della lingua americana sia più difficile, ma questo non può essere un alibi per non fare niente e vedere la nostra lingua svanire nel nulla. Questa difesa la dobbiamo al mondo intero. La lingua italiana non è degli italiani: è universale. Non esiste che noi si possa essere così distratti da consentire questa sorta di invasione da parte della lingua dominante, che è diventata ancora più forte a causa della globalizzazione. Paradossalmente Malta, Cipro, l’Ungheria, il Portogallo, la Slovenia e nazioni più piccole, con meno abitanti e con una tradizione linguistica culturale diversa - non voglio definirla minore - tutelano la loro lingua fin dalla Costituzione, nel modo più solenne possibile, e noi no. Questa è una anomalia». La Francia ha una legge simile, ma ha multe molto più basse. Non sono troppo salate quelle che vuole imporre lei?«La Francia ha multe più basse perché la legge è del 1993, le tariffe sono datate. In ogni caso la mia è una proposta, non una legge già approvata: se questo può essere un punto da ridiscutere e da migliorare, io sono ben disponibile a farlo. Mi faccia dire una cosa però».Dica.«Se dovesse colpire un cittadino che dice “bye bye”, la multa sarebbe totalmente infondata e ingiusta. E infatti nessun cittadino sarà multato per come parla. Ma qui si tratta di colpire, eventualmente, grandi società e multinazionali che operano in Italia: vogliamo parlare di Amazon? Il Garante della concorrenza le ha propinato una multa da un miliardo e 200 milioni pochi mesi fa per abuso di posizione dominante. Questi sono i soggetti di cui parliamo. Che vogliamo fare? Dare multe da 40 euro, come per un divieto di sosta, alle multinazionali che si ostinano a parlare inglese a casa nostra e a discapito della comprensione per i cittadini italiani significa rendere inefficace la legge». Mi faccia capire. Se Amazon volesse pubblicizzare, che so, una serie televisiva con cartelloni in inglese potrebbe farlo?«No, perché l’idea è quella di fare una legge che induca i grandi… Stavo dicendo player, vede il riflesso condizionato? I grandi giocatori del mercato a utilizzare in Italia, se stanno operando qui, la nostra lingua». Quindi dovrebbero utilizzarla anche negli spot, persino quelli televisivi?«Guardi, fino a qui abbiamo preso la questione dal punto di vista dell’identità culturale, ma forse dobbiamo cambiare prospettiva. Dobbiamo guardare a questa faccenda dal punto di vista sociale. In Italia la metà almeno dei cittadini non conosce la lingua inglese. Ma sono appunto cittadini, pagano le tasse e hanno il diritto di capire che cosa c’è scritto in tutte le comunicazioni che li coinvolgono, anche quelle di carattere commerciale. Di recente ho visto un manifesto dell’Aeronautica militare - dunque parliamo della difesa, e non esiste niente di più patriottico - scritto in inglese. Qualche anno fa feci una interrogazione parlamentare perché addirittura la Marina militare fece un bando di reclutamento in lingua inglese: Be cool and join the Navy. Pazzesco. Siamo arrivati a un punto in cui il senso di responsabilità deve prevalere, senza distinzioni fra destra e sinistra. Le altre nazioni che hanno difeso la loro lingua madre sono governate da partiti di orientamenti diversi, eppure hanno messo in campo gli strumenti necessari a difendere il loro patrimonio».Vero, la difesa della lingua è una questione molto seria. Però il rischio di rendere tutto un po’ caricaturale esiste eccome. Ed emergono alcune contraddizioni. Per esempio: il programma di Fratelli d’Italia è ricco di termini inglesi.«E cosa c’entra? Ripeto: nella proposta non c’è alcun divieto per cittadini, associazioni, partiti a utilizzare parole inglesi. Qui il punto è la relazione fra attori pubblici e privati che operano commercialmente sul mercato italiano. A cominciare dalla Pubblica amministrazione, che rappresenta un vero paradosso: già non si fa capire perché utilizza un incomprensibile burocratese e se utilizza pure parole in lingua straniera… Viene il sospetto lo faccia apposta per non farsi capire». Chiaro. Diciamo però che i politici dovrebbero dare l’esempio.«In questi giorni è stato chiamato in causa varie volte il governo, si è detto che vogliamo fare questa legge poi però diciamo Made in Italy. Anche questa è una assurdità. La mia proposta non tocca chi opera nel campo della internazionalizzazione. Made in Italy è una formula che serve a commercializzare con più efficacia all’estero i prodotti italiani. Quando si esce dai confini nazionali si usa la lingua dominante». Ecco, dominante è la parola giusta. Se usiamo l’inglese è perché si è imposta l’egemonia culturale americana. Provare a rendersi un po’ più indipendenti mi sembra sacrosanto, però continuiamo a sentire anche da destra continue professioni di atlantismo…«Mi sembra un collegamento un po’ forzato. Esiste una realtà che non possiamo certo negare: dal 1989 in avanti la globalizzazione ha portato non soltanto gli stessi prodotti in tutto il pianeta ma anche una lingua unica, omologata, una lingua dominante, quella americana. Ma questa non è una ragione sufficiente per arrendersi».Da sinistra le è arrivata qualche forma di sostegno? Anche da quella parte ci sono tante figure - penso a Carlo Petrini e altri - che si sono molto spese per la difesa dei prodotti italiani, e in fondo anche dell’identità italiana.«La verità è che il dibattito vero si sta aprendo adesso. Abbiamo perso una settimana con le prese in giro, a parlare di deriva nostalgica o autarchica, adesso si inizia a parlare sul serio. Ho sentito persone di orientamento diverso dal mio mostrare un atteggiamento positivo. Alessandro Campi a Piazzapulita, per esempio. L’altro giorno anche un suo collega Tommaso Cerno, ex direttore dell’Espresso. Persino Marcello Sorgi, durante un dibattito televisivo, mi è sembrato che avesse capito il senso e adeguato i toni rispetto ai primi giorni». Alla fine forse tutta l’ironia che è stata fatta ha avuto il merito di portare la questione al centro del discorso.«L’ironia fa bene, ossigena il sangue, in qualche caso mi sono divertito anche io. Però adesso basta ridere, perché la questione della difesa della lingua è molto seria. Qui si tratta di rendere la democrazia e le sue procedure accessibili alla popolazione. Il problema è che c’è un atteggiamento molto fighetto di alcuni ambienti che amano usare l’inglese, anche se si tratta di un inglese che gli inglesi non capiscono. Roba da radical chic». Ma come radical chic? Qui scatta la multa…«E ridagli… Sto alla sua battuta, ma è termine non traducibile letteralmente, quindi mi oppongo. Vabbè, facciamo “da salotti buoni”». Mozione accolta. Seriamente: anche il centrodestra quanto ad americanizzazione ci ha messo del suo nel passato. Se lo ricorda lo slogan «Internet, inglese, impresa»?«Certo che me lo ricordo. Io avevo proposto all’epoca di introdurre la I di identità, senza levare quella di inglese. Anche qui bisogna essere chiari: le nuove generazioni devono conoscere il maggior numero di lingue possibili, a cominciare da quelle dominanti. Non c’è strumento migliore delle lingue per relazionarsi con il resto del mondo e comunicare nella maniera più veloce e spontanea possibile. La difesa dell’italiano non è mica in contraddizione con lo studio di altre lingue: non c’è contrasto». I suoi colleghi di partito sosteranno questa proposta? Ho sentito qualcuno avanzare dubbi.«Dopo tutte le cose che sono state dette su questa proposta sarebbero venuti dubbi anche a me. Però, dopo aver spiegato il contenuto, non vedo perché qualcuno non dovrebbe sostenerla. L’ultima volta che l’ho presentata è stata firmata da tutti».
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.