2023-04-12
Ezio Greggio insultato perché cerca di far stare una mamma con suo figlio
Ezio Greggio (foto da Instagram)
Insultato dopo l’appello alla donna che ha abbandonato il figlio Ma tentare di riunire genitore biologico e bimbo è sacrosanto.C’è un tasso di psicopatia decisamente troppo elevato in una nazione in cui persino Ezio Greggio diventa un super cattivo. Il conduttore di Striscia la notizia avrebbe commesso una nuova forma di psicoreato quando ha deciso di lanciare un appello via Internet alla madre di Enea, il neonato che a Pasqua è stato affidato alla Culla per la vita della clinica Mangiagalli di Milano. Greggio si è rivolto alla donna che ha lasciato il bambino invitandola a ripensarci: «Ti daremo una mano perché Enea merita una mamma vera, non una mamma che poi dovrà occuparsene ma non è la mamma vera», ha detto. Immediatamente è stato accusato di aver insultato tutti i genitori adottivi, ed è dovuto correre ai ripari pubblicando un messaggio di spiegazione: «Nessuna polemica verso le famiglie adottive», ha chiarito. «L’appello era per una donna che forse, con l’aiuto di qualcuno, potrebbe ripensare alla sua scelta e tenere il proprio bambino». Secondo Greggio, «l’appello non era volto a far ripensare alla scelta di una madre che non voleva il proprio figlio, ma a una madre che probabilmente, con l’aiuto di qualcuno che la aiutasse a superare le difficoltà economiche, o personali o familiari, non sentendosi più sola, potrebbe ripensare alla sua scelta e tenere il proprio bambino».Insomma, il conduttore non aveva alcuna intenzione di ferire «quelle fantastiche mamme e famiglie che adottano i bimbi abbandonati e che garantiscono loro amore e futuro come se fossero i veri genitori, anzi talvolta pure meglio».Polemica conclusa? Mica tanto. Dimenticata in fretta la questione dei genitori adottivi, ora il problema - stando alle uscite inviperite dei commentatori sui social network e in televisione - riguarderebbe la presunta mancanza di tatto nei confronti della madre di Enea. Secondo qualcuno (ad esempio Umberto Galimberti che si è esibito sul tema ieri su La7) rivolgersi alla donna sarebbe un modo per infierire, per farla sentire ulteriormente in colpa e rigirare il coltello nella piaga dolente.Purtroppo è ciò che accade quando le questioni più rilevanti vengono abbandonate alla manipolazione politica e allo sciacallaggio mediatico. A tal proposito, vale la pena di chiarire un paio di punti, giusto per sgombrare il campo dalla lunga serie di ipocrisie che questa situazione fa emergere. Per prima cosa, della storia di Enea si parla per un motivo preciso: la madre, acconto al fagotto in cui ha posto il piccino, ha messo anche una lettera. Diceva così: «Ciao, mi chiamo Enea. Sono nato in ospedale perché la mia mamma voleva essere sicura che era tutto ok e stare insieme il più possibile. La mamma mi ama ma non può occuparsi di me». Letto il testo spaccacuori, il primario di neonatologia della Mangiagalli, Fabio Mosca, ha proferito le più ragionevoli delle frasi: «Se la madre naturale dovesse ripensarci, e io le vorrei parlare, saremo qui ad aiutarla perché non è accettabile che nella ricca Milano una donna in difficoltà rinunci a crescere un figlio». Nulla di più umano e sensato. Greggio, a modo suo, ha inteso dare una mano.Ed ecco la prima, enorme ipocrisia. La Culla per la vita e altre strutture analoghe non operano da ieri, ma da anni. Da tempo immemore esiste in Italia la possibilità di partorire in ospedale nel più totale anonimato e con ogni garanzia. Eppure, guarda caso, non se ne parla mai. Motivo? Facile: perché i commentatori sempre in prima fila nelle battaglie di civiltà sono solitamente impegnati a spiegare quanto sia importante - quanto sia «un diritto» - fare ricorso all’aborto farmacologico (pillola abortiva) e si guardano bene dal ricordare che si può anche portare a termine la gravidanza e garantire al figlio una esistenza più che dignitosa affidandolo alle cure altrui.Dove sono tutti i tifosi dell’adozione quando c’è da evitare un aborto in più? Svaniscono, se ne fregano, anzi suggeriscono di liberarsi del piccolo. La seconda ipocrisia riguarda il fattore economico. In Italia il numero di aborti è in costante calo, ma spesso, purtroppo, a scegliere l’interruzione di gravidanza sono donne che vivono situazioni di disagio sociale e finanziario. Dovrebbero essere aiutate, seguite, ascoltate. Ma, di nuovo, meglio insistere sul «diritto all’aborto», che risolve il problema alla radice. Di più: chi prova a mettere in campo iniziative per queste donne, è accusato di fascismo, come accaduto agli esponenti della giunta regionale piemontese, colpevoli di aver stanziato alcune centinaia di migliaia di euro proprio per aiutare le aspiranti madri in difficoltà.Nel caso di Enea, non si tratta di infierire sulla madre, ma di farle capire che ha diritto a essere seguita e che, se vuole tenere il bambino, può farlo, evitando a sé stessa un mostruoso carico di dolore e al bambino il trauma dell’abbandono. Se la donna, per intendersi, non avesse scritto nulla, nessuno si sarebbe permesso di cercarla.Ed eccoci alla terza ipocrisia. Per Enea è già stata individuata una famiglia affidataria. Ebbene, il sistema degli affidi e delle adozioni necessiterebbe da anni di una riforma sostanziale. È macchinoso, sfiancante. Ma quando mai se n’è parlato sul serio per migliorarlo? In Italia si passa da un estremo all’altro: da una parte si è molto disinvolti nel togliere i figli ai genitori naturali considerati incapaci di educarli, spesso soltanto perché questi genitori sono poveri. Non ci sono problemi a spendere montagne di soldi a beneficio di cooperative, strutture di accoglienza e case di cura in cui i ragazzini vengono inghiottiti da un gorgo di farmaci e solitudine. In compenso, le singole famiglie affidatarie ricevono contribui risibili e si trovano ad affrontare, molto spesso da sole, la gestione di situazioni estremamente problematiche.Quando l’orrenda storia di Bibbiano fece esplodere (per l’ennesima volta) il bubbone, si fecero tante promesse da ogni parte. A voi risulta sia cambiato qualcosa? Certo che no. Perché, appunto, non frega nulla a nessuno. Se oggi la Rete e i combattenti da salotto strepitano e s’indignano, non è perché abbiano a cuore la sorte del piccino o quella degli eventuali genitori affidatari o adottivi. Macché. Qui il punto è solo che bisogna, a tutti i costi, contrastare la tesi secondo cui Enea dovrebbe restare vicino alla madre biologica. Per i sostenitori dell’utero in affitto è di sicuro inaccettabile l’idea che un bambino stia meglio vicino a chi lo ha portato nel ventre per nove mesi.Dunque, occorre insistere sulla totale irrilevanza del legame fisico per concentrarsi sulla «creazione di parentele», come dicono le transfemministe tanto in voga. Ora, non c’è dubbio che un bambino stia bene con chi lo ama. Ed è per questo che i genitori adottivi e affidatari sono una manna dal cielo. Ma sono anche - quasi sempre - i primi a prendere in mano la matassa incandescente del legame biologico, che non si può né si deve negare o sminuire. Non ci può essere un motivo al mondo per cui la mamma di Enea debba rinunciare al figlio a causa di problemi economici. Non c’è un motivo al mondo per non provare, almeno, a lasciare una donna assieme al bambino che ha partorito.E chissà che il piccolo Enea - come l’eroe di cui porta il nome fece col padre Anchise - non riesca a caricarsi questa madre spaventata e triste sulle spalle, a trascinarla lontano dalle macerie e a trasportarla verso una nuova vita, in un luogo più sicuro e felice.
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
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