2025-07-11
Ecco perché è pericoloso fare una legge sulla «morte assistita»
Nei Paesi che hanno varato norme ad hoc, le maglie si son via via allargate. Come sull’aborto. È meglio che si decida caso per caso.È notizia di questi giorni che una giornalista, consigliera generale dell’Associazione Luca Coscioni, malata di sclerosi multipla, dopo tre anni di lavoro in quella direzione, ha ottenuto il via libera al suicidio assistito sulla base della sentenza 242/19 della Corte costituzionale. Purtroppo è l’ottavo caso accaduto nel nostro Paese e non si può che esserne amareggiati.Come innumerevoli volte abbiamo ripetuto, quando un malato chiede di essere aiutato a suicidarsi è un fallimento per l’intera società che non ha saputo dare una risposta positiva in difesa della vita di una persona sofferente. La medicina palliativa è nata ed esiste per questo: dare una risposta concreta di lenimento al «dolore globale», ma purtroppo - nonostante la legge 38/2010 - è un servizio ancora carente sul territorio. Nel 2023 un caro amico e collega, nella mia regione, la Lombardia, affetto da Sla, ha compiuto l’identico percorso della giornalista. Dunque, tutto ciò sta a indicare inequivocabilmente che - dopo la sentenza della Consulta del 2019 - in Italia (purtroppo per noi che vogliamo difendere la vita fragile e vulnerabile) è possibile adire alla morte assistita. C’è quindi bisogno di una legge ad hoc?Per il movimento culturale e politico a favore del suicidio assistito, la risposta è sì: ci vuole una legge che garantisca il percorso di accesso in tempi brevi alla morte. Anche solo questa affermazione dichiarata pubblicamente dovrebbe togliere ogni dubbio - se ancora ce ne fosse bisogno - circa l’assurdità giuridica e sociale di trasformare la morte in un diritto. I «pro choice» dell’aborto e dell’utero in affitto, ora, stanno tentando di ampliare il loro nefasto orizzonte verso l’eliminazione di un essere umano sofferente. Al contrario, c’è chi sostiene - comunque - la necessità di una legge che, all’opposto, ponga dei limiti a pratiche di suicidio assistito ed eutanasia.Al di là delle buone intenzioni e della buona fede, e apprezzando un lavoro solerte in al senso, è fin troppo semplice prevedere - e dobbiamo ripeterlo fino allo sfinimento - che accadrà quanto è accaduto in tutti - sottolineo - tutti gli Stati che hanno legiferato sul tema: si parte da pochi selezionati e particolari casi e, nel giro di poco tempo, si giunge alla morte assistita per «vita compiuta» come sta accadendo in Olanda. Over 75, senza alcuna necessità di giustificazione, possono usufruire della morte per mano dello Stato. Un esempio per tutti: Belgio, 23 casi nel 2004 (data della legge pro morte assistita), 3.423 casi nel 2023.Si aggiunga che, vista l’insistenza e la dura campagna che il movimento radicale sta portando avanti - un inciso: fossimo noi altrettanto caparbi e determinati nel difendere la vita! - è certo che si troveranno casi da sottoporre alla Corte per far annullare paletti (peraltro molto deboli e difficili da difendere) che si tentasse di porre a difesa della vita. Non è stato, forse, così con la legge 194? Siamo partiti dai pochi eccezionali casi di Seveso (intossicazione da diossina) per ottenere 64 aborti per malformazioni fetali (attenzione: non uno dei bimbi abortiti risultò malformato!); siamo partiti dalla necessità di abortire per violenza sessuale e stupro, e siamo arrivati ai sei milioni e oltre di aborti dei nostri giorni.Chi chiede a gran voce - ora anche con un nuovo tentativo di disegno di legge popolare, nonostante la precedente bocciatura - una legge è perché sa che gutta cavat lapidem: fatta le legge, pronti i ricorsi in nome di uguaglianza dei diritti, non discriminazione, libertà di autodeterminazione. Inoltre, una eventuale legge avrebbe il significato di un’ammissione nel nostro ordinamento di una fattispecie di «morte provocata legale» con valore universale, cioè che entra a fare parte stabilmente della cultura e della vita del popolo italiano.La sentenza 242/19, purtroppo, ha aperto una porta che non possiamo chiudere, ma almeno evitiamo di renderla legge universale e lasciamo che ogni singolo caso venga affrontato singolarmente (si perdoni l’assonanza) secondo le regole fissate nella sentenza stessa. Ci saranno, certamente, tribunali accondiscendenti, ma ci saranno anche tribunali contrari, caso per caso, senza riferimento a una legge dello Stato. Come si suol dire, evitiamo che il «tacon» possa diventare peggio del «buso».
Nel riquadro: Ferdinando Ametrano, ad di CheckSig (IStock)
Francesca Albanese (Ansa)