2020-07-23
Europarlamento freddo sull’intesa «Non la accetteremo così com’è»
Eurodeputati seccati per essere stati scavalcati: «Non metteremo un timbro su un fatto già compiuto». Oggi in Aula una risoluzione per migliorare il testo, condivisa dagli stessi che in patria si spellano le mani.Fatta l'intesa politica, ora tocca fare il bilancio europeo. L'estenuante trattativa mandata avanti dal Consiglio ha portato sì al raggiungimento di un accordo, ma occorrono ulteriori step per concretizzare gli sforzi dei leader continentali. E la strada rischia di rivelarsi più ripida e scivolosa di quanto si potrebbe pensare. Come prima cosa, la palla passa ora al Parlamento europeo, chiamato a discutere le decisioni del Consiglio. E a Bruxelles, dove oggi è in programma una seduta plenaria straordinaria sull'argomento, il clima si preannuncia rovente. Parlando con i giornalisti, il presidente dell'europarlamento David Sassoli ha spiegato che «la proposta è sul tavolo, ma noi vogliamo migliorarla». Nel mirino ci sono i tagli a ricerca, salute e politiche giovanili deliberati dal Consiglio e da Sassoli definiti «ingiustificabili».Nel comunicato stampa diffuso a margine del Consiglio, pur salutando con favore il raggiungimento dell'intesa, il team impegnato nei negoziati per il budget e per la riforma delle risorse proprie muove alcune importanti critiche. Contestata la decisione da parte degli Stati di abbandonare la «soluzione ponte», che avrebbe permesso di erogare immediatamente gli aiuti. Negativo poi il giudizio sul bilancio a lungo termine dell'Ue, sulla scelta di fare un passo indietro sul tema della «rule of law» (la possibilità di condizionare i finanziamenti europei al rispetto dei principi democratici), nonché sulla decisione di confermare gli sconti sul bilancio (cosiddetti «rebate»). «Per quanto perfettamente prevedibile, oggi il Parlamento europeo esprime rammarico per un accordo che non tiene in considerazione la sua posizione su punti che ha sempre considerato cruciali, come le nuove risorse proprie o il rispetto della stato di diritto», dichiara alla Verità l'eurodeputato Marco Zanni, presidente del gruppo Identità e democrazia, «spiace constatare che le stesse forti resistenze non siano state avanzate per il taglio dei fondi all'agricoltura, uno dei settori che per primi, sulla base di quanto presente nel piano dell'Ue, vedrà una riduzione sensibile dei finanziamenti». Per Zanni, «le riforme strutturali in stile Troika decise a Bruxelles inizieranno da qui e per di più verranno messe in atto utilizzando le stesse risorse che l'Italia, contributore netto, verserà al bilancio europeo». Nel testo di risoluzione condiviso dalle principali forze politiche (le stesse che, in patria, commentano invece trionfalmente e senza sfumature l'accordo trovato al Consiglio) che verrà votato oggi, gli eurodeputati sollevano numerose questioni in merito all'intesa raggiunta negli scorsi giorni. «Le conclusioni raggiunte dal Consiglio rappresentano niente di più che un accordo politico tra i capi di Stato e di governo: il Parlamento non accetta l'accordo così com'è ed è pronto a impegnarsi immediatamente in negoziati costruttivi con il Consiglio per migliorare la proposta», si legge in un punto del documento. «Il Parlamento non si limiterà a mettere un timbro su un fatto già compiuto, ed è pronto a negare il proprio consenso al Quadro finanziario pluriennale (Qfp, cioè il budget, ndr) fino a quando non si sarà giunti a un accordo definito soddisfacente nei negoziati tra il Consiglio e il Parlamento». Parole di fuoco che farebbero presagire un durissimo muro contro muro. Tuttavia, le armi in possesso del Parlamento europeo rischiano di essere spuntate ancora prima che si dia inizio a un'eventuale battaglia. Non mancano, prima di tutto, le controversie di natura tecnica. Nel testo di risoluzione in discussione alla plenaria di oggi, gli europarlamentari si lamentano del fatto che la base legale scelta - cioè l'articolo 122 del Tfue - «non conferiscono un ruolo chiaro ai membri eletti del Parlamento europeo». Alcuni giuristi, poi, contestano la natura del Recovery fund, affermando che esso rappresenta un primo step per la condivisione del debito a livello comunitario, oggi esplicitamente vietata dai trattati. Secondo la professoressa Päivi Leino dell'Università di Helsinki, la Commissione «elude le scomode questioni giuridiche» in merito alla natura di Next generation Eu, ed esiste in futuro la possibilità che questo argomento possa diventare oggetto di ricorso alla Corte di giustizia europea.L'altro problema è invece di natura politica. Come annunciato nel comunicato stampa, il Parlamento sarebbe pronto a mettere il veto alla proposta di Qfp avanzata dal Consiglio. Se ciò dovesse avvenire, dal 1° gennaio 2021 si entrerebbe in una fase di «bilancio provvisorio» dell'Unione europea, durante la quale verrebbe replicato lo schema del precedente budget (cioè 2014-2020). Gli eurodeputati criticano anche la proposta di riforma dell'aumento di risorse proprie. La revoca del massimale per le risorse proprie, però, è funzionale alla partenza di Next generation Eu. Nonostante sul tema il Parlamento sia chiamato a svolgere un ruolo meramente consultivo, un eventuale ostruzionismo su questo punto rischierebbe di ritardare l'attivazione del Recovery fund, o quanto meno ridurne la dotazione. L'assemblea si troverebbe perciò a doversi giustificare per aver bloccato lo strumento di ripresa. Tradotto, complice l'urgenza di far fronte alle conseguenze della pandemia, di fatto il Parlamento si trova con le mani legate.Superati questi scogli, l'iter prevede che ogni Paese debba ratificare in base alle proprie norme l'aumento delle risorse proprie (articolo 311 Tfue) e, nel caso voglia accedere ai finanziamenti, presentare a Bruxelles il cosiddetto «recovery plan». Tutto ciò, si badi bene, non prima del 2021. Speriamo solo che per la nostra economia non sia già troppo tardi.