2025-08-13
L’Europa che «premia» Hamas rimane inflessibile con il Cremlino
Le mosse diplomatiche di alcuni Stati dell’Unione sono contraddittorie e non propedeutiche alla pace. A Est si nega la realtà delle conquiste di Vladimir, però in Medio Oriente si spinge per lo Stato di Palestina.Ogni guerra e ogni pace sono diverse. La logica, però, è sempre la stessa. E allora bisognerebbe che in Europa qualcuno spiegasse perché sarebbe inconcepibile «premiare» Vladimir Putin, concedendogli l’annessione dei territori ucraini occupati, mentre sarebbe non solo auspicabile, ma addirittura necessario, riconoscere lo Stato della Palestina, «premiando» Hamas per il massacro del 7 ottobre.Certo, le premesse giuridiche sono diverse: esiste una risoluzione dell’Onu che prevede la costituzione di un’entità statuale araba indipendente, mentre non esiste alcun documento che legittimi le annessioni russe nel Donbass, avvenute in violazione del diritto internazionale. Giova ricordare che il piano adottato dall’Assemblea generale nel 1947 - la risoluzione 181 - fu respinto proprio dalla parte palestinese. Ma il punto vero è politico e militare. Quelle di Mosca sono conquiste che, sul terreno, nessuna potenza né coalizione occidentale sono in grado di rimettere in discussione. L’Ue può spingere affinché un eventuale accordo non includa una riconfigurazione de iure dei confini; tuttavia, la situazione di fatto non può essere ribaltata neppure prolungando lo sfibrante sforzo degli ucraini al fronte. Nessuno dei Paesi coinvolti, a cominciare dagli Usa, ha intenzione di rischiare una guerra globale.Al contrario, l’assetto del Medio Oriente è ben lungi dal consentire di compiere un gesto che alla fine è poco più che simbolico, nonché motivato da ben altre ragioni che la salvezza degli abitanti di Gaza, falcidiati dalle bombe di Benjamin Netanyahu. Come ha sottolineato due giorni fa il nostro ministro degli Esteri, Antonio Tajani, c’è tanto lavoro da fare prima di scalzare gli estremisti islamici. La soluzione a due Stati, caldeggiata dall’Ue ancorché con qualche timidezza, sembra persino meno realistica dell’ambizioso progetto trumpiano di ridisegnare gli equilibri della regione, facendo leva sul patto di Abramo con i sauditi. Ad oggi, la Palestina è meno di una «espressione geografica», per usare l’etichetta che il diplomatico austriaco Klemens von Metternich appiccicò nel XIX secolo all’Italia; essa somiglia, semmai, a un’aspirazione dello spirito, a un’utopia politica, quando non al feticcio della sinistra radicale sedotta dal sogno di eliminare lo Stato ebraico, che ora inizia a concepire, con un’overdose di fantasia, come il «laboratorio della destra internazionale». Né gli israeliani né i palestinesi sono disposti a patteggiare. Non stiamo a soppesare la validità dei rispettivi rancori; basti ammettere che tale è la condizione attuale. Se ci si aggiungono le parole del segretario di Stato americano, Marco Rubio, secondo cui i negoziati tra Israele e Hamas sarebbero saltati per colpa del riconoscimento della Palestina da parte della Francia, si comprende poi la gravità del cortocircuito sul «premio»: «premiare» Putin dovrebbe portare a un cessate il fuoco, tentare di «premiare» gli islamisti potrebbe aver addirittura aggravato la guerra.C’è un’unica via d’uscita dalla contraddizione: trattare Putin e Netanyahu alla stregua di criminali di guerra, non a caso entrambi oggetto di un mandato d’arresto da parte della Corte penale internazionale. In quest’ottica, ciascuno dei due dovrebbe essere punito: l’uno, con il rifiuto di qualunque compromesso; l’altro, con la piena tutela accordata allo Stato di cui egli sta massacrando la popolazione. Il limite di un’ipotesi del genere è che anche le nazioni più ostili a Israele, che hanno da poco dichiarato di voler riconoscere la Palestina, ribadiscono che lo Stato ebraico ha il diritto di difendersi, benché non con i metodi inaccettabili che sta applicando a Gaza. Al contrario, né la Spagna né la Francia né la Svezia (che fece il passo pro Pal undici anni fa) attribuiscono all’«operazione speciale» dello zar il carattere di missione di difesa dall’espansione a Est della Nato.La conclusione del ragionamento non è che sia sbagliato in sé riconoscere lo Stato palestinese e che, all’opposto, si dovrebbe servire il Donbass a Putin su un piatto d’argento. L’idea è che si dovrebbe battere qualsiasi strada utile a propiziare una tregua. In Medio Oriente, così come in Ucraina. Con senso della giustizia, ma pure con senso della realtà. La pace è un lavoro sporco. Chi ha paura di macchiarsi si faccia da parte.
George Soros e Howard Rubin (Getty Images)