2018-04-05
Da oggi nuove etichette sui cibi, ma sono già vecchie
Entra in vigore l'obbligo di indicare lo stabilimento di lavorazione per i prodotti agroalimentari (eccetto il vino). L'Europa però a giugno è pronta a bocciare le nostre norme. Per la felicità di tutti coloro che fanno affaroni con il finto made in Italy.Se il buongiorno per l'agroalimentare italiano si vede dal Martina c'è poco da stare allegri. Il ministro prorogato per l'agricoltura, che in realtà si occupa della rianimazione del Pd, si è fatto bello negli anni e soprattutto nei mesi scorsi dei suoi decreti rivolti a salvaguardare il made in Italy con le etichette dove è obbligatoria l'indicazione di origine del prodotto e delle materie prime agricole. Lo ha fatto con grave sprezzo della lobby degli spaghetti, affermando che la pasta italiana deve informare il consumatore se i grani con cui è prodotta sono o no coltivati in Italia, lo ha ripetuto col riso dimenticandosi che da anni l'Ente Risi ha varato il marchio «riso italiano», lo ha fatto con i pomodori, lo ha fatto con l'extravergine di oliva, con il latte e le mozzarelle.Ovunque si sia aperto un fronte di crisi agricolo e un contenzioso tra agricoltori e trasformatori, Maurizio Martina ci ha messo una pezza, anzi un'etichetta. A suggerirglielo la Coldiretti, che quando c'è da comunicare non è seconda a nessuno. Ed ecco la nuova, strabiliante iniziativa. Da oggi sarà obbligatorio indicare in Italia per tutti i prodotti agroalimentari l'indirizzo dello stabilimento di produzione se diverso da quello di confezionamento. Per capirci: quelli che si fanno fare le pizze surgelate dalla Svila di Visso, una delle imprese riemerse dal terremoto, e poi le inscatolano con i loro marchi, devono anche indicare chi e dove ha prodotto la pizza. Questo riguarda soprattutto le cosiddette private label, cioè i prodotti che i supermercati vengono a primo prezzo e col loro marchio. I confezionatori però hanno tempo 180 giorni per mettersi in regola e hanno diritto a esaurire le vecchie etichette. Ma con tutta probabilità le nuove non serviranno. In perfetto stile renziano anche il ministro per l'agricoltura - del resto non si diventa reggenti del Pd se non si ha una certa stoffa e una inclinazione spiccata all'iperbole - ha fatto il gioco delle tre carte. Pardon, delle tre etichette. L'Europa che delle fughe in avanti dell'Italia in fatto di identificazione dei prodotti non è affatto soddisfatta - ci sono in ballo i miliardi della lobby agroalimentare del Nord, assai più cari a Bruxelles della salute dei consumatori - sta per varare un nuovo regolamento. Si pensava che sarebbe uscito a settembre, ma molti dicono che i commissari - significa: Nestlè, Unilever, Kraft, General Mils, Kellog's, Mondelez, British Food e Danone: un aggregato da 280 miliardi di fatturato - hanno fretta di fermare la «deriva populista» italiana che vuole etichettare tutto all'origine, e così è probabile che il 20 giugno esca il nuovo regolamento comunitario in fatto di etichette. Di fatto spazza via le cose promesse e fatte da Maurizio Martina. Il nuovo regolamento europeo doveva entrare in vigore già quattro anni fa, ma le multinazionali del cibo lo hanno giudicato indigesto. Doveva esserci anche una consultazione popolare sulle nuove regole, ma la democrazia mal s'accorda con il cibo. Diceva Otto von Bismarck: meno la gente sa di come si fanno le leggi e di come son fatte le salsicce, meglio è per tutti. L'Europa si è adeguata e per sterilizzare le etichette all'italiana entro giugno escono le nuove norme europee che saranno cogenti dall'aprile del 2019. Ma cosa dirà il nuovo regolamento europeo? Che l'obbligo di indicare l'origine e dunque anche gli stabilimenti di produzione non solo non vale - ed è un'ovvietà - per Dop e Igp, ma anche per tutti quei prodotti che sono venduti con un marchio che consente di definire di per sé natura e origine del prodotto. Un caso? Se si chiama Parmalat: che bisogno c'è di dire al consumatore da dove la Lactalis (colosso bianco francese) ha comprato il latte che sta nella bottiglia? Di fatto è il via libera dell'Europa all'imitazione dei prodotti italiani. Perché basterà avere un marchio con la bandierina tricolore per stabilire che a priori la provenienza è italiana. Esultano i nostri pastai industriali, che contro l'origine del grano in etichetta hanno fatto il diavolo a quattro, ma esultano soprattutto i colossi dell'agroalimentare che negli ultimi tempi hanno fatto incetta di marchi italiani. Così come nonostante l'etichetta d'origine alla Martina il prezzo dei pomodori è crollato perché arrivano quelli del Camerun, il riso continua a triangolarsi dalla Cambogia, l'olio arriva senza dazi dalla Tunisia e sul grano la competizione è micidiale, per non dire del latte che si continua vendere a 25 centesimi al litro dunque sottocosto a anche l'ultima norma non servirà a nulla, se non a far lavorare le tipografie. Il danno per l'economia italiana è stimabile in circa 80 miliardi di euro, ma guai a dirlo al Mipaaf dove, se fai notare che i decreti sull'obbligo di etichettatura di latte, pomodori, olio, pasta e riso non sono mai stati presentati a Bruxelles, si adombrano.Per non dire della Coldiretti, che continua a parlare dell'obbligo dell'etichettatura di origine come una vittoria. Più o meno come quella di Pirro. Ma consolatevi perché da oggi dovreste trovare sulle scatole anche l'indirizzo dello stabilimento che ha prodotto la vostra confettura, il tonno, i pelati, il cacio e l'extravergine. Dovreste perché lo stesso decreto concede deroghe a non finire e per il vino quest'obbligo di fatto non esiste. Per l'appunto: beviamoci su!
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