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2025-04-27
Spiragli su Gaza. Proposta di Hamas: «Ostaggi liberi con 5 anni di tregua»
Ansa
Ieri mattina, in pieno Shabbat (il giorno di riposo ebraico), i principali media hanno riportato la seguente notizia: «Hamas propone liberazione di tutti ostaggi e 5 anni tregua, in cambio della fine della guerra a Gaza». Con il passare delle ore è emerso che la proposta - annunciata alla stampa e non al governo israeliano - arriva da «un alto funzionario della milizia islamica, protetto dall’anonimato», che ha parlato con l’agenzia France presse. Il gruppo jihadista, senza prendersi la paternità dell’iniziativa, nel pomeriggio ha poi precisato: «L’unico pacchetto comprende un cessate il fuoco permanente, il ritiro dell’occupazione dall’intera Striscia di Gaza, la ricostruzione e la fine dell’assedio. Hamas è pronta per un cessate il fuoco a lungo termine di cinque anni, con garanzie regionali e internazionali. Una volta concordato il quadro, la situazione tornerà ad essere quella precedente al 2 marzo. Immediatamente dopo l’accordo, le operazioni militari cesseranno, l’occupazione si ritirerà e gli aiuti entreranno in conformità con il protocollo umanitario».
Poi il gruppo jihadista ha aggiunto: «La visione di Hamas prevede la formazione di un comitato locale di tecnocrati indipendenti per amministrare Gaza con pieni poteri e doveri. Il comitato di gestione di Gaza sarà conforme alla proposta egiziana per il comitato di sostegno alla comunità». È evidente che per le famiglie degli ostaggi notizie come queste riaccendono la speranza che l’incubo presto finisca. Tuttavia, non è la prima volta che arrivano notizie di questo tipo che alla fine purtroppo si rivelano ingannevoli. Ora bisognerà capire cosa c’è nelle more di questa proposta senza dimenticare che Israele e gli Stati Uniti hanno più volte ribadito che i leader di Hamas devono lasciare la Striscia di Gaza (si tratta di una concessione importante), devono deporre tutte le armi e non possono in alcun modo nominare o suggerire «un comitato locale di tecnocrati indipendenti per amministrare Gaza con pieni poteri e doveri». Inoltre, come è ben noto ad Hamas, le Idf continueranno a presidiare il corridoio Filadelfia, quello di Netzarim e il nuovo corridoio Morag, che separa la città meridionale di Rafah dal resto dell’enclave palestinese, per evitare che i resti dell’organizzazione possano ricevere armi e missili, in modo da ricostituire le proprie brigate per attaccare di nuovo lo Stato ebraico. Le Idf hanno annunciato che si stanno preparando ad ampliare significativamente la loro offensiva contro Hamas nella Striscia di Gaza se le trattative per il rilascio degli ostaggi con il gruppo terroristico continueranno ad arenarsi. Sul campo, ieri negli scontri a Gaza sono stati uccisi un soldato dell’esercito israeliano e un agente di polizia.
Se tra Hamas e Israele qualcosa - forse - potrebbe succedere attraverso in colloqui in corso in Egitto, Paese che si è assunto la guida del negoziato al posto del Qatar, sono incerti gli esiti del negoziato tra Usa e Iran sul nucleare. Ieri il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi ha dichiarato che «permangono divergenze» con gli Usa nei negoziati sul nucleare (il terzo round si è tenuto sabato in Oman). «Ci sono ancora differenze a livello macro e nei dettagli», ha detto Araghchi, sottolineando anche «di continuare a essere cauti sui negoziati», mentre un alto funzionario dell’amministrazione Trump ha dichiarato al Times of Israel che il terzo round di colloqui sul nucleare tra Stati Uniti e Iran durato oltre quattro ore «è stato positivo e produttivo». Il prossimo round di colloqui è previsto il 3 maggio probabilmente in Europa.
La notizia della giornata però è arrivata proprio dall’Iran dove una violentissima esplosione ha colpito il porto di Shahid Rajay, nei pressi di Bandar Abbas, nel Sud del Paese. Le cause dell’incidente restano al momento sconosciute. Secondo le prime informazioni, si contano almeno cinque vittime e oltre 700 feriti, ma il bilancio è in continuo aggiornamento. Il porto di Shahid Rajai, snodo fondamentale per il commercio iraniano, si trova a oltre 1.000 chilometri a Sud di Teheran, nei pressi della città di Bandar Abbas, affacciata sullo strategico Stretto di Hormuz. Secondo l’agenzia ufficiale Irna, Shahid Rajai è il principale porto commerciale dell’Iran, da dove transita oltre il 70% delle merci del Paese. Lo scalo si affaccia sullo Stretto di Hormuz, il corridoio marittimo attraverso cui passa circa un quinto della produzione mondiale di petrolio. Meno di un mese fa erano circolate notizie sull’arrivo della nave Jiran, proveniente dalla Cina e carica di sostanze chimiche destinate alla produzione di carburante per razzi. A bordo c’erano circa 2.000 tonnellate di perclorato di sodio, successivamente stoccate nel porto di Rajai a Bandar Abbas. Questo dettaglio ha sollevato interrogativi sulle possibili cause della violenta esplosione avvenuta ieri. Come ha ricordato Iran International, le autorità della Repubblica islamica hanno confermato che l’esplosione è stata provocata da sostanze chimiche, senza però fornire ulteriori dettagli. Non è ancora chiaro se l’incidente sia collegato ai materiali importati dalla Cina per la produzione di carburante per razzi. Il Financial Times aveva già rivelato che le navi Jiran e Golban avevano trasferito dalla Cina all’Iran oltre 1.000 tonnellate ciascuna di perclorato di sodio. Secondo il quotidiano i destinatari finali del carico erano i pasdaran, il Corpo delle guardie della rivoluzione islamica, alimentando sospetti sul collegamento tra queste spedizioni e l’esplosione di Bandar Abbas.
Possibile che mentre in Oman si discuteva, «qualcuno» abbia voluto mandare agli iraniani un chiaro messaggio.
India e Pakistan ordinano ai cittadini di abbandonare il Paese «nemico»
Non si placano le tensioni tra India e Pakistan dopo l’attentato di martedì scorso nel Kashmir indiano dove hanno perso la vita 26 persone. Le due potenze nucleari, dopo quattro anni di relativa tranquillità, sono tornate a scambiarsi colpi d’arma da fuoco lungo il confine che divide di fatto l’area indiana da quella pakistana nel Kashmir. Venerdì notte, così come giovedì, l’esercito indiano ha reso noto di aver risposto al fuoco «ingiustificato» delle truppe pakistane. Nessuno dei due Paesi ha segnalato la presenza di vittime.
E questo è solo l’ultimo atto di una serie di rappresaglie scoppiate questa settimana. New Delhi, che ritiene Islamabad responsabile dell’attentato, ha sospeso il trattato delle acque dell’Indo (Iwt) che dal 1960 regola la condivisione delle acque del fiume e dei suoi affluenti tra India e Pakistan. Dall’altra parte, Islamabad, che nega ogni coinvolgimento del Paese nell’attacco terroristico, ha chiuso lo spazio aereo alle compagnie aeree indiane imponendo tratte più lunghe per i voli aerei, ma anche un aumento dei costi del carburante per Air India e Indigo.
La decisione indiana sull’Iwt, senza precedenti, mette in seria difficoltà il Pakistan dal punto di vista idrico ed energetico. Quindi mentre il ministro delle Risorse idriche indiano, C. R. Paatil, ha sentenziato su X: «Faremo in modo che nemmeno una goccia d’acqua del fiume Indo raggiunga il Pakistan», è arrivata ieri la risposta diretta del premier pakistano.
Shehbaz Sharif, durante la cerimonia di fine corso dell’accademia militare di Kakul, ha dichiarato che ogni tentativo di «fermare, ridurre o deviare il flusso delle acque spettanti al Pakistan sarà affrontato con tutta la forza e determinazione necessarie», con le truppe pakistane che «restano pienamente capaci e pronte a difendere la sovranità e l’integrità territoriale del Paese». Ma il leader pakistano si è detto favorevole a «un’indagine neutrale» per scoprire gli autori del massacro, biasimando l’India di aver portato avanti «accuse infondate». Anche il ministro degli Interni del Pakistan, Mohsin Naqvi, ha spiegato che il Paese «è totalmente pronto a collaborare con qualsiasi investigatore neutrale per garantire che sia scoperta la verità e che sia fatta giustizia».
E dopo giorni di silenzio, il Resistance front (Trf), che è per l’India l’autore dell’attentato nonché un gruppo terroristico, ha ufficialmente negato la sua partecipazione. Nel comunicato si legge: «Qualsiasi attribuzione di questo atto al Trf è falsa, affrettata e parte di una campagna orchestrata per diffamare la resistenza del Kashmir». Intanto, secondo il Times of India, il Bharatiya janata party (Bjp) avrebbe puntato il dito contro l’esercito pakistano sostenendo che la smentita derivi dai timori suscitati dalla ferma risposta indiana.
L’India quindi continua a insistere sul fatto che due dei tre sospettati dell’attacco terroristico siano cittadini pakistani. E stando a quanto riportato sempre dal Times of India, ieri sono stati arrestati due presunti complici dei terroristi nel distretto di Kulgam, situato nel Kashmir meridionale, con la polizia e l’esercito indiano che hanno trovato anche un deposito di armi e di munizioni. Le Forze della sicurezza indiane, nella caccia agli attentatori, hanno rafforzato le misure di sicurezza ma hanno anche proseguito i controlli a tappeto: hanno distrutto le abitazioni dei presunti militanti e hanno perquisito le case di oltre 60 individui sospettati di aver fornito supporto.
Intanto, sia New Delhi sia Islamabad hanno ordinato ai propri connazionali di tornare nei rispettivi Paesi d’origine abbandonando lo Stato «nemico». E ieri hanno fatto ritorno in India oltre 300 cittadini, mentre 75 pakistani che si trovavano in territorio indiano sono tornati in Pakistan.
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Colloqui di pace al Cairo. Sul campo, uccisi poliziotto e soldato israeliani. In Iran esplode un porto: morti e 700 feriti.India e Pakistan ordinano ai cittadini di abbandonare il Paese «nemico». Arrestati due complici dei terroristi colpevoli dell’attentato in Kashmir.Lo speciale contiene due articoli.Ieri mattina, in pieno Shabbat (il giorno di riposo ebraico), i principali media hanno riportato la seguente notizia: «Hamas propone liberazione di tutti ostaggi e 5 anni tregua, in cambio della fine della guerra a Gaza». Con il passare delle ore è emerso che la proposta - annunciata alla stampa e non al governo israeliano - arriva da «un alto funzionario della milizia islamica, protetto dall’anonimato», che ha parlato con l’agenzia France presse. Il gruppo jihadista, senza prendersi la paternità dell’iniziativa, nel pomeriggio ha poi precisato: «L’unico pacchetto comprende un cessate il fuoco permanente, il ritiro dell’occupazione dall’intera Striscia di Gaza, la ricostruzione e la fine dell’assedio. Hamas è pronta per un cessate il fuoco a lungo termine di cinque anni, con garanzie regionali e internazionali. Una volta concordato il quadro, la situazione tornerà ad essere quella precedente al 2 marzo. Immediatamente dopo l’accordo, le operazioni militari cesseranno, l’occupazione si ritirerà e gli aiuti entreranno in conformità con il protocollo umanitario». Poi il gruppo jihadista ha aggiunto: «La visione di Hamas prevede la formazione di un comitato locale di tecnocrati indipendenti per amministrare Gaza con pieni poteri e doveri. Il comitato di gestione di Gaza sarà conforme alla proposta egiziana per il comitato di sostegno alla comunità». È evidente che per le famiglie degli ostaggi notizie come queste riaccendono la speranza che l’incubo presto finisca. Tuttavia, non è la prima volta che arrivano notizie di questo tipo che alla fine purtroppo si rivelano ingannevoli. Ora bisognerà capire cosa c’è nelle more di questa proposta senza dimenticare che Israele e gli Stati Uniti hanno più volte ribadito che i leader di Hamas devono lasciare la Striscia di Gaza (si tratta di una concessione importante), devono deporre tutte le armi e non possono in alcun modo nominare o suggerire «un comitato locale di tecnocrati indipendenti per amministrare Gaza con pieni poteri e doveri». Inoltre, come è ben noto ad Hamas, le Idf continueranno a presidiare il corridoio Filadelfia, quello di Netzarim e il nuovo corridoio Morag, che separa la città meridionale di Rafah dal resto dell’enclave palestinese, per evitare che i resti dell’organizzazione possano ricevere armi e missili, in modo da ricostituire le proprie brigate per attaccare di nuovo lo Stato ebraico. Le Idf hanno annunciato che si stanno preparando ad ampliare significativamente la loro offensiva contro Hamas nella Striscia di Gaza se le trattative per il rilascio degli ostaggi con il gruppo terroristico continueranno ad arenarsi. Sul campo, ieri negli scontri a Gaza sono stati uccisi un soldato dell’esercito israeliano e un agente di polizia. Se tra Hamas e Israele qualcosa - forse - potrebbe succedere attraverso in colloqui in corso in Egitto, Paese che si è assunto la guida del negoziato al posto del Qatar, sono incerti gli esiti del negoziato tra Usa e Iran sul nucleare. Ieri il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi ha dichiarato che «permangono divergenze» con gli Usa nei negoziati sul nucleare (il terzo round si è tenuto sabato in Oman). «Ci sono ancora differenze a livello macro e nei dettagli», ha detto Araghchi, sottolineando anche «di continuare a essere cauti sui negoziati», mentre un alto funzionario dell’amministrazione Trump ha dichiarato al Times of Israel che il terzo round di colloqui sul nucleare tra Stati Uniti e Iran durato oltre quattro ore «è stato positivo e produttivo». Il prossimo round di colloqui è previsto il 3 maggio probabilmente in Europa.La notizia della giornata però è arrivata proprio dall’Iran dove una violentissima esplosione ha colpito il porto di Shahid Rajay, nei pressi di Bandar Abbas, nel Sud del Paese. Le cause dell’incidente restano al momento sconosciute. Secondo le prime informazioni, si contano almeno cinque vittime e oltre 700 feriti, ma il bilancio è in continuo aggiornamento. Il porto di Shahid Rajai, snodo fondamentale per il commercio iraniano, si trova a oltre 1.000 chilometri a Sud di Teheran, nei pressi della città di Bandar Abbas, affacciata sullo strategico Stretto di Hormuz. Secondo l’agenzia ufficiale Irna, Shahid Rajai è il principale porto commerciale dell’Iran, da dove transita oltre il 70% delle merci del Paese. Lo scalo si affaccia sullo Stretto di Hormuz, il corridoio marittimo attraverso cui passa circa un quinto della produzione mondiale di petrolio. Meno di un mese fa erano circolate notizie sull’arrivo della nave Jiran, proveniente dalla Cina e carica di sostanze chimiche destinate alla produzione di carburante per razzi. A bordo c’erano circa 2.000 tonnellate di perclorato di sodio, successivamente stoccate nel porto di Rajai a Bandar Abbas. Questo dettaglio ha sollevato interrogativi sulle possibili cause della violenta esplosione avvenuta ieri. Come ha ricordato Iran International, le autorità della Repubblica islamica hanno confermato che l’esplosione è stata provocata da sostanze chimiche, senza però fornire ulteriori dettagli. Non è ancora chiaro se l’incidente sia collegato ai materiali importati dalla Cina per la produzione di carburante per razzi. Il Financial Times aveva già rivelato che le navi Jiran e Golban avevano trasferito dalla Cina all’Iran oltre 1.000 tonnellate ciascuna di perclorato di sodio. Secondo il quotidiano i destinatari finali del carico erano i pasdaran, il Corpo delle guardie della rivoluzione islamica, alimentando sospetti sul collegamento tra queste spedizioni e l’esplosione di Bandar Abbas. Possibile che mentre in Oman si discuteva, «qualcuno» abbia voluto mandare agli iraniani un chiaro messaggio.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/esplosione-porto-iran-gaza-hamas-2671850069.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="india-e-pakistan-ordinano-ai-cittadini-di-abbandonare-il-paese-nemico" data-post-id="2671850069" data-published-at="1745755631" data-use-pagination="False"> India e Pakistan ordinano ai cittadini di abbandonare il Paese «nemico» Non si placano le tensioni tra India e Pakistan dopo l’attentato di martedì scorso nel Kashmir indiano dove hanno perso la vita 26 persone. Le due potenze nucleari, dopo quattro anni di relativa tranquillità, sono tornate a scambiarsi colpi d’arma da fuoco lungo il confine che divide di fatto l’area indiana da quella pakistana nel Kashmir. Venerdì notte, così come giovedì, l’esercito indiano ha reso noto di aver risposto al fuoco «ingiustificato» delle truppe pakistane. Nessuno dei due Paesi ha segnalato la presenza di vittime. E questo è solo l’ultimo atto di una serie di rappresaglie scoppiate questa settimana. New Delhi, che ritiene Islamabad responsabile dell’attentato, ha sospeso il trattato delle acque dell’Indo (Iwt) che dal 1960 regola la condivisione delle acque del fiume e dei suoi affluenti tra India e Pakistan. Dall’altra parte, Islamabad, che nega ogni coinvolgimento del Paese nell’attacco terroristico, ha chiuso lo spazio aereo alle compagnie aeree indiane imponendo tratte più lunghe per i voli aerei, ma anche un aumento dei costi del carburante per Air India e Indigo. La decisione indiana sull’Iwt, senza precedenti, mette in seria difficoltà il Pakistan dal punto di vista idrico ed energetico. Quindi mentre il ministro delle Risorse idriche indiano, C. R. Paatil, ha sentenziato su X: «Faremo in modo che nemmeno una goccia d’acqua del fiume Indo raggiunga il Pakistan», è arrivata ieri la risposta diretta del premier pakistano. Shehbaz Sharif, durante la cerimonia di fine corso dell’accademia militare di Kakul, ha dichiarato che ogni tentativo di «fermare, ridurre o deviare il flusso delle acque spettanti al Pakistan sarà affrontato con tutta la forza e determinazione necessarie», con le truppe pakistane che «restano pienamente capaci e pronte a difendere la sovranità e l’integrità territoriale del Paese». Ma il leader pakistano si è detto favorevole a «un’indagine neutrale» per scoprire gli autori del massacro, biasimando l’India di aver portato avanti «accuse infondate». Anche il ministro degli Interni del Pakistan, Mohsin Naqvi, ha spiegato che il Paese «è totalmente pronto a collaborare con qualsiasi investigatore neutrale per garantire che sia scoperta la verità e che sia fatta giustizia». E dopo giorni di silenzio, il Resistance front (Trf), che è per l’India l’autore dell’attentato nonché un gruppo terroristico, ha ufficialmente negato la sua partecipazione. Nel comunicato si legge: «Qualsiasi attribuzione di questo atto al Trf è falsa, affrettata e parte di una campagna orchestrata per diffamare la resistenza del Kashmir». Intanto, secondo il Times of India, il Bharatiya janata party (Bjp) avrebbe puntato il dito contro l’esercito pakistano sostenendo che la smentita derivi dai timori suscitati dalla ferma risposta indiana. L’India quindi continua a insistere sul fatto che due dei tre sospettati dell’attacco terroristico siano cittadini pakistani. E stando a quanto riportato sempre dal Times of India, ieri sono stati arrestati due presunti complici dei terroristi nel distretto di Kulgam, situato nel Kashmir meridionale, con la polizia e l’esercito indiano che hanno trovato anche un deposito di armi e di munizioni. Le Forze della sicurezza indiane, nella caccia agli attentatori, hanno rafforzato le misure di sicurezza ma hanno anche proseguito i controlli a tappeto: hanno distrutto le abitazioni dei presunti militanti e hanno perquisito le case di oltre 60 individui sospettati di aver fornito supporto. Intanto, sia New Delhi sia Islamabad hanno ordinato ai propri connazionali di tornare nei rispettivi Paesi d’origine abbandonando lo Stato «nemico». E ieri hanno fatto ritorno in India oltre 300 cittadini, mentre 75 pakistani che si trovavano in territorio indiano sono tornati in Pakistan.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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