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2025-04-27
Spiragli su Gaza. Proposta di Hamas: «Ostaggi liberi con 5 anni di tregua»
Ansa
Ieri mattina, in pieno Shabbat (il giorno di riposo ebraico), i principali media hanno riportato la seguente notizia: «Hamas propone liberazione di tutti ostaggi e 5 anni tregua, in cambio della fine della guerra a Gaza». Con il passare delle ore è emerso che la proposta - annunciata alla stampa e non al governo israeliano - arriva da «un alto funzionario della milizia islamica, protetto dall’anonimato», che ha parlato con l’agenzia France presse. Il gruppo jihadista, senza prendersi la paternità dell’iniziativa, nel pomeriggio ha poi precisato: «L’unico pacchetto comprende un cessate il fuoco permanente, il ritiro dell’occupazione dall’intera Striscia di Gaza, la ricostruzione e la fine dell’assedio. Hamas è pronta per un cessate il fuoco a lungo termine di cinque anni, con garanzie regionali e internazionali. Una volta concordato il quadro, la situazione tornerà ad essere quella precedente al 2 marzo. Immediatamente dopo l’accordo, le operazioni militari cesseranno, l’occupazione si ritirerà e gli aiuti entreranno in conformità con il protocollo umanitario».
Poi il gruppo jihadista ha aggiunto: «La visione di Hamas prevede la formazione di un comitato locale di tecnocrati indipendenti per amministrare Gaza con pieni poteri e doveri. Il comitato di gestione di Gaza sarà conforme alla proposta egiziana per il comitato di sostegno alla comunità». È evidente che per le famiglie degli ostaggi notizie come queste riaccendono la speranza che l’incubo presto finisca. Tuttavia, non è la prima volta che arrivano notizie di questo tipo che alla fine purtroppo si rivelano ingannevoli. Ora bisognerà capire cosa c’è nelle more di questa proposta senza dimenticare che Israele e gli Stati Uniti hanno più volte ribadito che i leader di Hamas devono lasciare la Striscia di Gaza (si tratta di una concessione importante), devono deporre tutte le armi e non possono in alcun modo nominare o suggerire «un comitato locale di tecnocrati indipendenti per amministrare Gaza con pieni poteri e doveri». Inoltre, come è ben noto ad Hamas, le Idf continueranno a presidiare il corridoio Filadelfia, quello di Netzarim e il nuovo corridoio Morag, che separa la città meridionale di Rafah dal resto dell’enclave palestinese, per evitare che i resti dell’organizzazione possano ricevere armi e missili, in modo da ricostituire le proprie brigate per attaccare di nuovo lo Stato ebraico. Le Idf hanno annunciato che si stanno preparando ad ampliare significativamente la loro offensiva contro Hamas nella Striscia di Gaza se le trattative per il rilascio degli ostaggi con il gruppo terroristico continueranno ad arenarsi. Sul campo, ieri negli scontri a Gaza sono stati uccisi un soldato dell’esercito israeliano e un agente di polizia.
Se tra Hamas e Israele qualcosa - forse - potrebbe succedere attraverso in colloqui in corso in Egitto, Paese che si è assunto la guida del negoziato al posto del Qatar, sono incerti gli esiti del negoziato tra Usa e Iran sul nucleare. Ieri il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi ha dichiarato che «permangono divergenze» con gli Usa nei negoziati sul nucleare (il terzo round si è tenuto sabato in Oman). «Ci sono ancora differenze a livello macro e nei dettagli», ha detto Araghchi, sottolineando anche «di continuare a essere cauti sui negoziati», mentre un alto funzionario dell’amministrazione Trump ha dichiarato al Times of Israel che il terzo round di colloqui sul nucleare tra Stati Uniti e Iran durato oltre quattro ore «è stato positivo e produttivo». Il prossimo round di colloqui è previsto il 3 maggio probabilmente in Europa.
La notizia della giornata però è arrivata proprio dall’Iran dove una violentissima esplosione ha colpito il porto di Shahid Rajay, nei pressi di Bandar Abbas, nel Sud del Paese. Le cause dell’incidente restano al momento sconosciute. Secondo le prime informazioni, si contano almeno cinque vittime e oltre 700 feriti, ma il bilancio è in continuo aggiornamento. Il porto di Shahid Rajai, snodo fondamentale per il commercio iraniano, si trova a oltre 1.000 chilometri a Sud di Teheran, nei pressi della città di Bandar Abbas, affacciata sullo strategico Stretto di Hormuz. Secondo l’agenzia ufficiale Irna, Shahid Rajai è il principale porto commerciale dell’Iran, da dove transita oltre il 70% delle merci del Paese. Lo scalo si affaccia sullo Stretto di Hormuz, il corridoio marittimo attraverso cui passa circa un quinto della produzione mondiale di petrolio. Meno di un mese fa erano circolate notizie sull’arrivo della nave Jiran, proveniente dalla Cina e carica di sostanze chimiche destinate alla produzione di carburante per razzi. A bordo c’erano circa 2.000 tonnellate di perclorato di sodio, successivamente stoccate nel porto di Rajai a Bandar Abbas. Questo dettaglio ha sollevato interrogativi sulle possibili cause della violenta esplosione avvenuta ieri. Come ha ricordato Iran International, le autorità della Repubblica islamica hanno confermato che l’esplosione è stata provocata da sostanze chimiche, senza però fornire ulteriori dettagli. Non è ancora chiaro se l’incidente sia collegato ai materiali importati dalla Cina per la produzione di carburante per razzi. Il Financial Times aveva già rivelato che le navi Jiran e Golban avevano trasferito dalla Cina all’Iran oltre 1.000 tonnellate ciascuna di perclorato di sodio. Secondo il quotidiano i destinatari finali del carico erano i pasdaran, il Corpo delle guardie della rivoluzione islamica, alimentando sospetti sul collegamento tra queste spedizioni e l’esplosione di Bandar Abbas.
Possibile che mentre in Oman si discuteva, «qualcuno» abbia voluto mandare agli iraniani un chiaro messaggio.
India e Pakistan ordinano ai cittadini di abbandonare il Paese «nemico»
Non si placano le tensioni tra India e Pakistan dopo l’attentato di martedì scorso nel Kashmir indiano dove hanno perso la vita 26 persone. Le due potenze nucleari, dopo quattro anni di relativa tranquillità, sono tornate a scambiarsi colpi d’arma da fuoco lungo il confine che divide di fatto l’area indiana da quella pakistana nel Kashmir. Venerdì notte, così come giovedì, l’esercito indiano ha reso noto di aver risposto al fuoco «ingiustificato» delle truppe pakistane. Nessuno dei due Paesi ha segnalato la presenza di vittime.
E questo è solo l’ultimo atto di una serie di rappresaglie scoppiate questa settimana. New Delhi, che ritiene Islamabad responsabile dell’attentato, ha sospeso il trattato delle acque dell’Indo (Iwt) che dal 1960 regola la condivisione delle acque del fiume e dei suoi affluenti tra India e Pakistan. Dall’altra parte, Islamabad, che nega ogni coinvolgimento del Paese nell’attacco terroristico, ha chiuso lo spazio aereo alle compagnie aeree indiane imponendo tratte più lunghe per i voli aerei, ma anche un aumento dei costi del carburante per Air India e Indigo.
La decisione indiana sull’Iwt, senza precedenti, mette in seria difficoltà il Pakistan dal punto di vista idrico ed energetico. Quindi mentre il ministro delle Risorse idriche indiano, C. R. Paatil, ha sentenziato su X: «Faremo in modo che nemmeno una goccia d’acqua del fiume Indo raggiunga il Pakistan», è arrivata ieri la risposta diretta del premier pakistano.
Shehbaz Sharif, durante la cerimonia di fine corso dell’accademia militare di Kakul, ha dichiarato che ogni tentativo di «fermare, ridurre o deviare il flusso delle acque spettanti al Pakistan sarà affrontato con tutta la forza e determinazione necessarie», con le truppe pakistane che «restano pienamente capaci e pronte a difendere la sovranità e l’integrità territoriale del Paese». Ma il leader pakistano si è detto favorevole a «un’indagine neutrale» per scoprire gli autori del massacro, biasimando l’India di aver portato avanti «accuse infondate». Anche il ministro degli Interni del Pakistan, Mohsin Naqvi, ha spiegato che il Paese «è totalmente pronto a collaborare con qualsiasi investigatore neutrale per garantire che sia scoperta la verità e che sia fatta giustizia».
E dopo giorni di silenzio, il Resistance front (Trf), che è per l’India l’autore dell’attentato nonché un gruppo terroristico, ha ufficialmente negato la sua partecipazione. Nel comunicato si legge: «Qualsiasi attribuzione di questo atto al Trf è falsa, affrettata e parte di una campagna orchestrata per diffamare la resistenza del Kashmir». Intanto, secondo il Times of India, il Bharatiya janata party (Bjp) avrebbe puntato il dito contro l’esercito pakistano sostenendo che la smentita derivi dai timori suscitati dalla ferma risposta indiana.
L’India quindi continua a insistere sul fatto che due dei tre sospettati dell’attacco terroristico siano cittadini pakistani. E stando a quanto riportato sempre dal Times of India, ieri sono stati arrestati due presunti complici dei terroristi nel distretto di Kulgam, situato nel Kashmir meridionale, con la polizia e l’esercito indiano che hanno trovato anche un deposito di armi e di munizioni. Le Forze della sicurezza indiane, nella caccia agli attentatori, hanno rafforzato le misure di sicurezza ma hanno anche proseguito i controlli a tappeto: hanno distrutto le abitazioni dei presunti militanti e hanno perquisito le case di oltre 60 individui sospettati di aver fornito supporto.
Intanto, sia New Delhi sia Islamabad hanno ordinato ai propri connazionali di tornare nei rispettivi Paesi d’origine abbandonando lo Stato «nemico». E ieri hanno fatto ritorno in India oltre 300 cittadini, mentre 75 pakistani che si trovavano in territorio indiano sono tornati in Pakistan.
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Colloqui di pace al Cairo. Sul campo, uccisi poliziotto e soldato israeliani. In Iran esplode un porto: morti e 700 feriti.India e Pakistan ordinano ai cittadini di abbandonare il Paese «nemico». Arrestati due complici dei terroristi colpevoli dell’attentato in Kashmir.Lo speciale contiene due articoli.Ieri mattina, in pieno Shabbat (il giorno di riposo ebraico), i principali media hanno riportato la seguente notizia: «Hamas propone liberazione di tutti ostaggi e 5 anni tregua, in cambio della fine della guerra a Gaza». Con il passare delle ore è emerso che la proposta - annunciata alla stampa e non al governo israeliano - arriva da «un alto funzionario della milizia islamica, protetto dall’anonimato», che ha parlato con l’agenzia France presse. Il gruppo jihadista, senza prendersi la paternità dell’iniziativa, nel pomeriggio ha poi precisato: «L’unico pacchetto comprende un cessate il fuoco permanente, il ritiro dell’occupazione dall’intera Striscia di Gaza, la ricostruzione e la fine dell’assedio. Hamas è pronta per un cessate il fuoco a lungo termine di cinque anni, con garanzie regionali e internazionali. Una volta concordato il quadro, la situazione tornerà ad essere quella precedente al 2 marzo. Immediatamente dopo l’accordo, le operazioni militari cesseranno, l’occupazione si ritirerà e gli aiuti entreranno in conformità con il protocollo umanitario». Poi il gruppo jihadista ha aggiunto: «La visione di Hamas prevede la formazione di un comitato locale di tecnocrati indipendenti per amministrare Gaza con pieni poteri e doveri. Il comitato di gestione di Gaza sarà conforme alla proposta egiziana per il comitato di sostegno alla comunità». È evidente che per le famiglie degli ostaggi notizie come queste riaccendono la speranza che l’incubo presto finisca. Tuttavia, non è la prima volta che arrivano notizie di questo tipo che alla fine purtroppo si rivelano ingannevoli. Ora bisognerà capire cosa c’è nelle more di questa proposta senza dimenticare che Israele e gli Stati Uniti hanno più volte ribadito che i leader di Hamas devono lasciare la Striscia di Gaza (si tratta di una concessione importante), devono deporre tutte le armi e non possono in alcun modo nominare o suggerire «un comitato locale di tecnocrati indipendenti per amministrare Gaza con pieni poteri e doveri». Inoltre, come è ben noto ad Hamas, le Idf continueranno a presidiare il corridoio Filadelfia, quello di Netzarim e il nuovo corridoio Morag, che separa la città meridionale di Rafah dal resto dell’enclave palestinese, per evitare che i resti dell’organizzazione possano ricevere armi e missili, in modo da ricostituire le proprie brigate per attaccare di nuovo lo Stato ebraico. Le Idf hanno annunciato che si stanno preparando ad ampliare significativamente la loro offensiva contro Hamas nella Striscia di Gaza se le trattative per il rilascio degli ostaggi con il gruppo terroristico continueranno ad arenarsi. Sul campo, ieri negli scontri a Gaza sono stati uccisi un soldato dell’esercito israeliano e un agente di polizia. Se tra Hamas e Israele qualcosa - forse - potrebbe succedere attraverso in colloqui in corso in Egitto, Paese che si è assunto la guida del negoziato al posto del Qatar, sono incerti gli esiti del negoziato tra Usa e Iran sul nucleare. Ieri il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi ha dichiarato che «permangono divergenze» con gli Usa nei negoziati sul nucleare (il terzo round si è tenuto sabato in Oman). «Ci sono ancora differenze a livello macro e nei dettagli», ha detto Araghchi, sottolineando anche «di continuare a essere cauti sui negoziati», mentre un alto funzionario dell’amministrazione Trump ha dichiarato al Times of Israel che il terzo round di colloqui sul nucleare tra Stati Uniti e Iran durato oltre quattro ore «è stato positivo e produttivo». Il prossimo round di colloqui è previsto il 3 maggio probabilmente in Europa.La notizia della giornata però è arrivata proprio dall’Iran dove una violentissima esplosione ha colpito il porto di Shahid Rajay, nei pressi di Bandar Abbas, nel Sud del Paese. Le cause dell’incidente restano al momento sconosciute. Secondo le prime informazioni, si contano almeno cinque vittime e oltre 700 feriti, ma il bilancio è in continuo aggiornamento. Il porto di Shahid Rajai, snodo fondamentale per il commercio iraniano, si trova a oltre 1.000 chilometri a Sud di Teheran, nei pressi della città di Bandar Abbas, affacciata sullo strategico Stretto di Hormuz. Secondo l’agenzia ufficiale Irna, Shahid Rajai è il principale porto commerciale dell’Iran, da dove transita oltre il 70% delle merci del Paese. Lo scalo si affaccia sullo Stretto di Hormuz, il corridoio marittimo attraverso cui passa circa un quinto della produzione mondiale di petrolio. Meno di un mese fa erano circolate notizie sull’arrivo della nave Jiran, proveniente dalla Cina e carica di sostanze chimiche destinate alla produzione di carburante per razzi. A bordo c’erano circa 2.000 tonnellate di perclorato di sodio, successivamente stoccate nel porto di Rajai a Bandar Abbas. Questo dettaglio ha sollevato interrogativi sulle possibili cause della violenta esplosione avvenuta ieri. Come ha ricordato Iran International, le autorità della Repubblica islamica hanno confermato che l’esplosione è stata provocata da sostanze chimiche, senza però fornire ulteriori dettagli. Non è ancora chiaro se l’incidente sia collegato ai materiali importati dalla Cina per la produzione di carburante per razzi. Il Financial Times aveva già rivelato che le navi Jiran e Golban avevano trasferito dalla Cina all’Iran oltre 1.000 tonnellate ciascuna di perclorato di sodio. Secondo il quotidiano i destinatari finali del carico erano i pasdaran, il Corpo delle guardie della rivoluzione islamica, alimentando sospetti sul collegamento tra queste spedizioni e l’esplosione di Bandar Abbas. Possibile che mentre in Oman si discuteva, «qualcuno» abbia voluto mandare agli iraniani un chiaro messaggio.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/esplosione-porto-iran-gaza-hamas-2671850069.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="india-e-pakistan-ordinano-ai-cittadini-di-abbandonare-il-paese-nemico" data-post-id="2671850069" data-published-at="1745755631" data-use-pagination="False"> India e Pakistan ordinano ai cittadini di abbandonare il Paese «nemico» Non si placano le tensioni tra India e Pakistan dopo l’attentato di martedì scorso nel Kashmir indiano dove hanno perso la vita 26 persone. Le due potenze nucleari, dopo quattro anni di relativa tranquillità, sono tornate a scambiarsi colpi d’arma da fuoco lungo il confine che divide di fatto l’area indiana da quella pakistana nel Kashmir. Venerdì notte, così come giovedì, l’esercito indiano ha reso noto di aver risposto al fuoco «ingiustificato» delle truppe pakistane. Nessuno dei due Paesi ha segnalato la presenza di vittime. E questo è solo l’ultimo atto di una serie di rappresaglie scoppiate questa settimana. New Delhi, che ritiene Islamabad responsabile dell’attentato, ha sospeso il trattato delle acque dell’Indo (Iwt) che dal 1960 regola la condivisione delle acque del fiume e dei suoi affluenti tra India e Pakistan. Dall’altra parte, Islamabad, che nega ogni coinvolgimento del Paese nell’attacco terroristico, ha chiuso lo spazio aereo alle compagnie aeree indiane imponendo tratte più lunghe per i voli aerei, ma anche un aumento dei costi del carburante per Air India e Indigo. La decisione indiana sull’Iwt, senza precedenti, mette in seria difficoltà il Pakistan dal punto di vista idrico ed energetico. Quindi mentre il ministro delle Risorse idriche indiano, C. R. Paatil, ha sentenziato su X: «Faremo in modo che nemmeno una goccia d’acqua del fiume Indo raggiunga il Pakistan», è arrivata ieri la risposta diretta del premier pakistano. Shehbaz Sharif, durante la cerimonia di fine corso dell’accademia militare di Kakul, ha dichiarato che ogni tentativo di «fermare, ridurre o deviare il flusso delle acque spettanti al Pakistan sarà affrontato con tutta la forza e determinazione necessarie», con le truppe pakistane che «restano pienamente capaci e pronte a difendere la sovranità e l’integrità territoriale del Paese». Ma il leader pakistano si è detto favorevole a «un’indagine neutrale» per scoprire gli autori del massacro, biasimando l’India di aver portato avanti «accuse infondate». Anche il ministro degli Interni del Pakistan, Mohsin Naqvi, ha spiegato che il Paese «è totalmente pronto a collaborare con qualsiasi investigatore neutrale per garantire che sia scoperta la verità e che sia fatta giustizia». E dopo giorni di silenzio, il Resistance front (Trf), che è per l’India l’autore dell’attentato nonché un gruppo terroristico, ha ufficialmente negato la sua partecipazione. Nel comunicato si legge: «Qualsiasi attribuzione di questo atto al Trf è falsa, affrettata e parte di una campagna orchestrata per diffamare la resistenza del Kashmir». Intanto, secondo il Times of India, il Bharatiya janata party (Bjp) avrebbe puntato il dito contro l’esercito pakistano sostenendo che la smentita derivi dai timori suscitati dalla ferma risposta indiana. L’India quindi continua a insistere sul fatto che due dei tre sospettati dell’attacco terroristico siano cittadini pakistani. E stando a quanto riportato sempre dal Times of India, ieri sono stati arrestati due presunti complici dei terroristi nel distretto di Kulgam, situato nel Kashmir meridionale, con la polizia e l’esercito indiano che hanno trovato anche un deposito di armi e di munizioni. Le Forze della sicurezza indiane, nella caccia agli attentatori, hanno rafforzato le misure di sicurezza ma hanno anche proseguito i controlli a tappeto: hanno distrutto le abitazioni dei presunti militanti e hanno perquisito le case di oltre 60 individui sospettati di aver fornito supporto. Intanto, sia New Delhi sia Islamabad hanno ordinato ai propri connazionali di tornare nei rispettivi Paesi d’origine abbandonando lo Stato «nemico». E ieri hanno fatto ritorno in India oltre 300 cittadini, mentre 75 pakistani che si trovavano in territorio indiano sono tornati in Pakistan.
Monterosa ski
Dopo un’estate da record, con presenze in crescita del 2% e incassi saliti del 3%, il sipario si alza ora su Monterosa Ski. In scena uno dei comprensori più autentici dell’arco alpino, da vivere fino al 19 aprile (neve permettendo) con e senza gli sci ai piedi, tra discese impeccabili, panorami che tolgono il fiato e quella calda accoglienza che da sempre distingue questo spicchio di territorio che si muove tra Valle d’Aosta e Piemonte, abbracciando le valli di Ayas e Gressoney e la Valsesia.
Protagoniste assolute dell’inverno al via, le novità.
A Gressoney-Saint-Jean il baby snow park Sonne è fresco di rinnovo e pronto ad accogliere i piccoli sciatori con aree gioco più ampie, un nuovo tapis roulant per prolungare il divertimento delle discese su sci, slittini e gommoni, e una serie di percorsi con gonfiabili a tema Walser per celebrare le tradizioni della valle. Poco più in alto, a Gressoney-La-Trinité, vede la luce la nuova pista di slittino Murmeltier, progetto ambizioso che ruota attorno a 550 metri di discesa serviti dalla seggiovia Moos, illuminazione notturna, innevamento garantito e la possibilità di scivolare anche sotto le stelle, ogni mercoledì e sabato sera.
Da questa stagione, poi, entra pienamente in funzione la tecnologia bluetooth low energy, che consente di usare lo skipass digitale dallo smartphone, senza passare dalla biglietteria. Basta tenerlo in tasca per accedere agli impianti, riducendo così plastica e attese e promuovendo una montagna più smart e sostenibile, dove la tecnologia è al servizio dell’esperienza.
Sul fronte di costi e promozioni, fioccano agevolazioni e formule pensate per andare incontro a tutte le tasche e per far fronte alle imprevedibili condizioni meteorologiche. A partire da sci gratuito per bambini sotto gli otto anni, a sconti del 30 e del 20 per cento rispettivamente per i ragazzi tra gli 8 e i 16 anni e i giovani tra i 16 e i 24 anni , per arrivare a voucher multiuso per i rimborsi skipass in caso di chiusura degli impianti . «Siamo più che soddisfatti di poter ribadire la solidità di una destinazione che sta affrontando le sfide di questi anni con lungimiranza. Su tutte, l’imprevedibilità delle condizioni meteo che ci condiziona in modo determinante e ci spinge a migliorare le performance delle infrastrutture e delle modalità di rimborso, come nel caso dei voucher», dice Giorgio Munari, amministratore delegato di Monterosa Spa.
Introdotti con successo l’inverno scorso, i voucher permettono ai titolari di skipass giornalieri o plurigiornalieri, in caso di chiusure parziali o totali del comprensorio, di avere crediti spendibili in acquisti non solo di nuovi skipass e biglietti per impianti, ma anche in attività e shopping presso partner d’eccellenza, che vanno dal Forte di Bard alle Terme di Champoluc, fino all’avveniristica Skyway Monte Bianco, passando per ristoranti di charme e botteghe artigiane.
Altra grande novità della stagione, questa volta dal respiro internazionale, l’ingresso di Monterosa Ski nel circuito Ikon pass, piattaforma americana che raccoglie oltre 60 destinazioni sciistiche nel mondo.
«Non si tratta solo di un’inclusione simbolica», commenta Munari, «ma di entrare concretamente nei radar di sciatori di Stati Uniti, Canada, Giappone o Australia che, già abituati a muoversi tra mete sciistiche di fama mondiale, avranno ora la possibilità di scoprire anche il nostro comprensorio». Comprensorio che ha tanto da offrire.
Sotto lo sguardo dei maestosi 4.000 del Rosa, sfilano discese sfidanti anche per i più esperti sul carosello principale Monterosa Ski 3 Valli - 29 impianti per 52 piste fino a 2.971 metri di quota - e percorsi più soft, adatti a principianti e bambini, nella ski area satellite di Antagnod, Brusson, Gressoney-Saint-Jean, Champorcher e Alpe di Mera; fuoripista da urlo nel regno imbiancato di Monterosa freeride paradise e tracciati di sci alpinismo d’eccezione - Monterosa Ski è il primo comprensorio di sci alpinismo in Italia. Il tutto accompagnato da panorami e paesaggi strepitosi e da un’accoglienza made in Italy che conquista a colpi di stile e atmosfere genuine. Info: www.monterosaski.eu.
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Dal foyer della Prima domina il nero scelto da vip e istituzioni. Tra abiti couture, la presenza di Pierfrancesco Favino, Mahmood, Achille Lauro e Barbara Berlusconi - appena nominata nel cda - spiccano le assenze ufficiali. Record d’incassi per Šostakovič.
Non c’è dubbio che un’opera dirompente e sensuale, che vede tradimenti e assassinii, censurata per la sua audacia e celebrata per la sua altissima qualità musicale come Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Dmítrij Šostakóvič, abbia influenzato la scelta di stile delle signore presenti.
«Quando preparo gli abiti delle mie clienti per la Prima della Scala, tengo sempre conto del tema dell’opera», spiega Lella Curiel, sessanta prime al suo attivo e stilista per antonomasia della serata più importante del Piermarini. Così ogni volta la Prima diventa un grande esperimento sociale, di eleganza ma anche di mise inopportune. Da sempre, la platea ingioiellata e in smoking, si divide tra chi è qui per la musica e chi per mostrarsi mentre finge di essere qui intendendosene. Sul piazzale, lo show comincia ben prima del do di petto. Le signore scendono dalle auto con la stessa espressione di chi affronta un red carpet improvvisato: un occhio al gradino e uno ai fotografi. Sono tiratissime, ma anche i loro accompagnatori non sono da meno, alcuni dei quali con abiti talmente aderenti che sembrano più un atto di fede che un capo sartoriale.
È il festival del «chi c’è», «chi manca» ma tutti partecipano con disinvoltura allo spettacolo parallelo: quello dei saluti affettuosi, che durano esattamente il tempo di contare quanti carati ha l’altro. Mancano sì il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio, il presidente del Senato e il presidente della Camera ma gli aficionados della Prima, e anche tanti altri, ci sono tutti visto che è stato raggiunto il record di biglietti venduti, quasi 3 milioni di euro d’incasso.
Sul palco d'onore, con il sindaco Beppe Sala e Chiara Bazoli (in nero Armani rischiarato da un corpetto in paillettes), il ministro della Cultura Alessandro Giuli, l’applaudita senatrice a vita Liliana Segre, il presidente di Regione Lombardia, Attilio Fontana accompagnato dalla figlia Cristina (elegantissima in nero di Dior), il presidente della Corte Costituzionale Giovanni Amoroso, i vicepresidenti di Camera e Senato Anna Ascani e Gian Marco Centinaio e il prefetto di Milano Claudio Sgaraglia. Nero imperante, quindi, nero di pizzo, di velluto, di chiffon ma sempre nero. Con un tocco di rosso come per l’abito di Maria Grazia compagna di Giuseppe Marotta («è un vestito di sartoria, non è firmato da nessun stilista»), con dettagli verdi scelti da Diana Bracco («sono molto rigorosa»). Tutto nero l’abito/cappotto di Andrée Ruth Shammah («metto sempre questo per la Prima con i gioielli colorati di mia mamma»). E così quello di Fabiana Giacomotti molto scollato sulla schiena («è di Balenciaga, l’ultima collezione di Demna»).
Ma esce dal coro Barbara Berlusconi, la più fotografata, in un prezioso abito di Armani dalle varie sfumature, dall’argento al rosso al blu («ho scelto questo abito che avevo già indossato per celebrarlo»), accompagnata da Lorenzo Guerrieri. Fresca di nomina nel cda della Scala (voluta da Fontana), si è soffermata con i giornalisti. «La scelta di Šostakovič - afferma - conferma che la Scala non è solo un luogo di memoria: è anche un teatro che ha il coraggio di proporre opere che fanno pensare, che interrogano il pubblico, lo sfidano, e che raccontano la complessità del nostro tempo. La Lady è un titolo "ruvido", forte, volutamente impegnativo, che non cerca il consenso facile. È un'opera intensa, profonda, scomoda, ma anche attualissima per i temi che propone». E aggiunge: «Mio padre amava l'opera e ho avuto il piacere di accompagnarlo parecchi anni fa a una Prima. Questo ruolo nel cda l'ho preso con grande impegno per aiutare la Scala a proseguire nel suo straordinario lavoro». Altra componente del cda, Melania Rizzoli, in nero vintage dell’amica Chiara Boni, arrivata con il figlio Alberto Rizzoli. In nero Ivana Jelinic, ad di Enit, agenzia nazionale del Turismo. In blu firmato Antonio Riva, Giulia Crespi moglie di Angelo, direttore della Pinacoteca di Brera. In beige Ilaria Borletti Buitoni con un completo confezionato dalla sarta su un suo disegno. Letteralmente accerchiati da giornalisti, fotografi e telecamere Pierfrancesco Favino con la moglie Anna Ferzetti, Mahmood in Versace («mi sento regale») e Achille Lauro che dice quanto sia importante che l’opera arrivi ai giovani. Debutto lirico per Giorgio Pasotti mentre è una conferma per Giovanna Salza in Armani e ospite abituale è l’artista Francesco Vezzoli.
Poi, in 500, alla cena di gala firmata dallo chef 2 stelle Michelin nella storica Società del Giardino Davide Oldani. E così la Prima resta quel miracolo annuale in cui tutti, almeno per una sera, riescono a essere la versione più scintillante (e leggermente autoironica) di sé stessi.
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Guido Guidesi (Imagoeconomica)
Le Zis si propongono come aree geografiche o distretti tematici in cui imprese, startup e centri di ricerca possano operare in sinergia per stimolare l’innovazione, generare nuova occupazione qualificata, attrarre capitali, formare competenze avanzate e trattenere talenti. Nelle intenzioni della Regione, le nuove zone dovranno funzionare come poli stabili, riconosciuti e specializzati, ciascuno legato alle vocazioni produttive del proprio territorio. I progetti potranno riguardare settori differenti: manifattura avanzata, digitalizzazione, life science, agritech, energia, materiali innovativi, cultura tecnologica e altre filiere considerate strategiche.
La procedura di attivazione delle Zis è così articolata. La Fase 1, tramite manifestazione di interesse, permette ai soggetti coinvolti di presentare un Masterplan, documento preliminare in cui vengono indicati settore di specializzazione, composizione del partenariato, governance, spazi disponibili o da realizzare, laboratori, servizi tecnologici e prospetto di sostenibilità. La proposta dovrà inoltre includere la lettera di endorsement della Provincia competente. Ogni Provincia potrà ospitare fino a due Zis, senza limiti invece per le candidature interprovinciali. La dotazione economica disponibile per questa fase è pari a 1 milione di euro: il contributo regionale finanzia fino al 50% delle spese di consulenza per la stesura dei documenti necessari alla Fase 2, fino a un massimo di 100.000 euro per progetto.
La Fase 2 è riservata ai progetti ammessi dopo la valutazione iniziale. Con l’accompagnamento della Regione, i proponenti elaboreranno il Piano strategico definitivo, che dovrà disegnare una visione a lungo termine con orizzonte al 2050. Il programma di sviluppo indicherà le azioni operative: attrazione di nuove imprese e startup innovative, apertura o potenziamento di laboratori, creazione di infrastrutture digitali, percorsi formativi ad alta specializzazione, incubatori e servizi condivisi. Sarà inoltre definito un modello economico sostenibile e un sistema di monitoraggio basato su indicatori misurabili per valutare impatti occupazionali, tecnologici e competitivi.
I soggetti autorizzati alla presentazione delle candidature sono raggruppamenti pubblico-privati con imprese o startup come capofila. Possono partecipare enti pubblici, Comuni, Province, camere di commercio, università, centri di ricerca, enti formativi, fondazioni, associazioni e organizzazioni del terzo settore. Regione Lombardia avrà il ruolo di coordinatore e facilitatore. All’interno della direzione generale sviluppo economico sarà istituita una struttura dedicata al supporto dei territori: un presidio tecnico incaricato di orientare, assistere e valorizzare le progettualità, monitorando l’attuazione e la coerenza con gli obiettivi strategici.
Nel corso della presentazione istituzionale, l’assessore allo Sviluppo economico, Guido Guidesi, ha dichiarato: «Cambiamo per innovare. Le Zis saranno il connettore dei valori aggiunti di cui già disponiamo e che metteremo a sistema, ecosistemi settoriali che innovano in squadra tra aziende, ricerca, formazione, istituzioni e credito. Guardiamo al futuro difendendo il nostro sistema produttivo con l’obiettivo di consegnare opportunità ai giovani». Da Confindustria Lombardia è arrivata una valutazione positiva. Il presidente Giuseppe Pasini ha affermato: «Attraverso le Zis si intensifica il lavoro a favore delle imprese e dei territori. Apprezziamo la capacità di visione e la volontà di puntare sui giovani».
Ogni territorio svilupperà la propria specializzazione, puntando su filiere già forti o sulla creazione di nuovi segmenti tecnologici. Il percorso non prevede limiti settoriali ma richiede sostenibilità economica e capacità di generare ricadute occupazionali misurabili.
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Kennedy Jr (Ansa)
D’ora in avanti, le donne che risultano negative al test per l’epatite B potranno decidere, consultando il proprio medico, se vaccinare o no alla nascita il proprio bambino. I membri che hanno votato a favore delle nuove raccomandazioni hanno sostenuto che il rischio di contrarre il virus è basso, e che i vaccini dovrebbero essere personalizzati.
Il gruppo di lavoro dell’Acip, rinnovato dallo scorso giugno dal segretario alla Salute Robert F. Kennedy Jr. ha suggerito di attendere almeno i 2 mesi di età per la prima dose. La vaccinazione continuerà a essere somministrata ai neonati di madri che risultano positive, o il cui stato di salute è sconosciuto. Il direttore facente funzioni dei Cdc, Jim O’Neill, ora dovrà decidere se adottare o meno queste raccomandazioni.
La commissione ha inoltre votato a favore della consultazione dei genitori con gli operatori sanitari, per sottoporre i figli a test sulla ricerca degli anticorpi contro l’epatite B prima di decidere se sia necessario somministrare altre dosi del vaccino. Attualmente, dopo la prima i bambini ricevono la seconda a 1-2 mesi di età e la terza tra i 6 e i 18 mesi.
Kennedy ha già limitato l’accesso ai vaccini contro il Covid-19 e raccomandato che i neonati vengano vaccinati separatamente contro la varicella. Susan Kressly, presidente dell’American academy of pediatrics, ha affermato che il cambiamento apportato dall’Acip renderà i bambini americani meno sicuri. «Esorto i genitori a parlare con il pediatra e a vaccinarsi contro l’epatite B alla nascita, indipendentemente dallo stato di salute della madre», è stato il suo appello.
Il presidente Donald Trump, invece, ha commentato soddisfatto l’esito della votazione. Con un post su Truth, venerdì sera aveva definito «un’ottima decisione porre fine alla raccomandazione sul vaccino contro l’epatite B per i neonati, la stragrande maggioranza dei quali non corre alcun rischio di contrarre una malattia che si trasmette principalmente per via sessuale o tramite aghi infetti. Il calendario vaccinale infantile americano richiedeva da tempo 72 “iniezioni” per bambini perfettamente sani, molto più di qualsiasi altro Paese al mondo e molto più del necessario. In effetti, è ridicolo! Molti genitori e scienziati hanno messo in dubbio, così come me, l’efficacia di questo “programma”».
Trump ha poi annunciato di avere appena firmato «un memorandum presidenziale che ordina al dipartimento della Salute e dei Servizi Umani di “accelerare” una valutazione completa dei calendari vaccinali di altri Paesi del mondo e di allineare meglio quello statunitense, in modo che sia finalmente radicato nel Gold Standard della scienza e del buon senso», ha concluso il presidente.
Prima del voto, questa settimana dodici ex dirigenti della Fda avevano contestato sul The New England journal of medicine la proposta di revisione delle approvazioni dei vaccini da parte dell’agenzia, sostenendo che i cambiamenti minacciano gli standard basati sulle prove, indeboliscono le pratiche di immunobridging (strategia scientifica e normativa che confronta i marcatori della risposta immunitaria indotti da un vaccino in diverse situazioni per stimare l’efficacia del vaccino) e rischiano di erodere la fiducia del pubblico.
A proposito della nota interna di Vinay Prasad, direttore della divisione vaccini della Food and drug administration (Fda), che dieci giorni ha sostenuto che «non meno di 10» dei 96 decessi infantili segnalati tra il 2021 e il 2024 al Vaers, il sistema federale di segnalazione degli eventi avversi da vaccino, erano «correlati» alle somministrazioni di dosi contro il Covid, i dodici si affannano a criticarla. «Prove sostanziali dimostrano che la vaccinazione può ridurre il rischio di malattie gravi e di ospedalizzazione in molti bambini e adolescenti», dichiarano. Dati che non risultano confermati da nessuno studio o revisione paritaria.
Sul continuo attacco alle scelte operate nel campo delle vaccinazioni dalla nuova amministrazione americana interviene il professor Francesco Cetta, ordinario di Chirurgia e docente di Intelligenza artificiale umanizzata presso lo Iassp (Istituto di alti studi strategici e politici). «Trump non è contro la scienza, come urla ad alta voce la sinistra nostrana», commenta. «Al contrario, pragmaticamente, per i problemi che non conosce, ha insediato nuove commissioni indipendenti di esperti, in grado di acclarare in tempi brevi, per quanto possibile, la verità su due argomenti particolarmente sensibili come le vaccinazioni e gli effetti dei cambiamenti climatici. E su che cosa si può fare in concreto per controllarli. Con quali costi e benefici per la comunità».
Il professore aggiunge: «Bisogna evitare le terapie a tappeto, indistintamente uguali per tutti, ma adattare ad ogni malato il suo trattamento come un “abito su misura”. In particolare, per alcune categorie come i bambini e le donne in gravidanza, bisogna valutare con attenzione vantaggi e svantaggi della somministrazione di ogni farmaco, incluso i vaccini, che determinano una perturbazione delle difese immunitarie individuali».
Considerazioni che dovrebbero essere fatte anche dal nostro ministero della Salute e dalle varie associazioni mediche che non ammettono revisioni dei metodi vaccinali.
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