2022-05-03
Gli esperti Usa bocciano la guerra di Biden
Dopo Jeffrey Sachs, anche «Foreign Policy» critica il presidente: «Renderà globale il conflitto». E l’inglese «Economist» mette in guardia sul pericolo nucleare. Intanto il blocco anti Occidente si compatta attorno a Mosca e Pechino: Xi Jinping è pronto persino ad andare a Riad.In fin dei conti, è la forza dell’Occidente: il pluralismo. Nonostante il conformismo mediatico e la mostrificazione del dissenso, persino nel Paese capofila della guerra santa alla Russia si levano voci discordanti. E influenti. È il caso di Foreign Policy, prestigiosa rivista statunitense di relazioni internazionali, sul cui sito campeggia l’editoriale di Michael Hirsh, molto critico con la «fase finale» della strategia di Joe Biden: non aver previsto, cioè, alcuna vera fase finale del conflitto. L’autore sottolinea che il tentativo di indebolire la Russia annichilendone il potenziale bellico, come ha proclamato il capo del Pentagono, Lloyd Austin, «potrebbe trasformare la guerra in Ucraina in una guerra mondiale». «Altri esperti», ricorda Hirsh, «hanno espresso la preoccupazione che gli Stati Uniti e i loro alleati occidentali stiano, in effetti, oltrepassando le stesse linee rosse che avevano fin qui evitato» di superare. Basti constatare lo slittamento nella retorica della Casa Bianca: all’inizio dell’«operazione speciale» di Mosca, Washington sbandierava il rifiuto d’istituire la no fly zone come la prova che la Nato non avrebbe permesso un allargamento delle ostilità. Ora, non si fa che parlare di nuovi finanziamenti a Kiev e di inviare armi pesanti. L’intenzione è costringere all’angolo Vladimir Putin, ma a quel punto «egli potrà solo combattere o arrendersi». E se, come probabile, continuasse a lottare, ci andrebbe giù pesante. A tal proposito, è illuminante l’analisi dell’Economist. Il settimanale inglese riconosce che i fiaschi dell’esercito di Mosca, le cui capacità erano state evidentemente sovrastimate, «lascia una potenza dotata di armamenti nucleari con qualcosa da dimostrare». La deludente performance delle truppe in Ucraina, paradossalmente, è un incentivo a diventare «più brutali», a imbastire «aggressioni sconsiderate», mentre i rischi di «calcoli sbagliati e intensificazione» della guerra si fanno «più insidiosi che mai, se le forze convenzionali della Russia sono deboli». Messo alle corde, lo zar potrebbe decidersi per l’inaudita opzione atomica? L’ipotesi pare ancora lunare. Eppure, ricorda Hirsch su Foreign Policy, va presa sul serio. Anche perché «Biden non ha detto quale sarebbe la risposta Usa se Putin dislocasse armi nucleari. In più, nessuna delle due parti ha definito regole chiare, nel contesto post guerra fredda, per lo schieramento» di quelle testate. E, riconosce l’Economist, a differenza che sul campo, nei settori atomico, biologico e chimico, Mosca «è indiscutibilmente ancora una superpotenza». Dopodiché, rimane la possibilità, discussa pure su queste colonne, che alla furia verbale di Biden e compagnia tenga dietro, tramite canali riservati, il tentativo di negoziare con il nemico un futuro accordo. Il Tesoro americano dubita sia opportuno un embargo totale sul gas russo; a Sleepy Joe lo zar torna utile per riaprire il dialogo con l’Iran; e circolano indiscrezioni sulle «mappe segrete», con cui Stati Uniti e Federazione Russa starebbero ridisegnando i confini ucraini. Sarebbe, questa, una significativa divaricazione dall’oltranzismo britannico. Se ne avverte qualche avvisaglia proprio nel pezzo del periodico di Londra, il quale insiste sull’obiettivo della vittoria totale e ammonisce sulle trappole di una vietnamizzazione del Donbass. Che comunque resta una delle eventualità contemplate dalla Casa Bianca: impantanare Putin - benché ciò aumenti le probabilità di un incidente bellico - e impelagare l’Europa vassalla.Nel frattempo, a denunciare gli azzardi degli statunitensi, s’è aggiunto l’economista Jeffrey Sachs, sentito da Federico Fubini per il Corsera. Tutti e tre - intervistato, giornalista e quotidiano - non passibili di simpatie per Mosca. Il prof della Columbia, voluto da papa Francesco alla Pontificia accademia delle scienze sociali, ha invocato «una via diplomatica», ha definito «tipica arroganza e miopia americana» l’idea che la Nato possa sconfiggere l’avversario e ha rimproverato i politici Usa di voler proseguire una guerra per procura, combattendo «fino all’ultimo ucraino». Secondo Sachs, sarebbero dunque gli Stati Uniti quelli «più riluttanti» alla pace: «Non hanno mai dato un segno di compromesso», ha lamentato. E l’amministrazione Biden «ha manutenuto un silenzio di tomba», quando Volodymyr Zelensky ha aperto alla neutralità di Kiev.Che le rimostranze e le preoccupazioni degli osservatori non derivino da eccessi di prudenza, lo testimoniano i sommovimenti dei Paesi non allineati, che ormai lambiscono nazioni prima ancorate al blocco occidentale. I legami tra i Brics si stanno rafforzando. La Cina consolida intese con Azerbaijan e Arabia Saudita, irritata dalle ambiguità di Biden sugli avversari sciiti di Teheran. A maggio, addirittura, Xi Jinping potrebbe riservare a Mohammed Bin Salman l’onore della sua prima visita in terra straniera dallo scoppio della pandemia. È ancora da definire il posizionamento dell’India; Boris Johnson, siglando con Narendra Nodi un patto per la difesa e la sicurezza, ha provato proprio a frenarne lo scivolamento nell’orbita sinorussa. Come nota Hirsch, lo scenario che si delinea è quello di «una guerra fredda globale prolungata non solo con la Russia, ma anche con la Cina», che è poi la nostra vera rivale strategica. La deriva sarebbe perniciosa: non è saggio mettersi a combattere contemporaneamente con due grandi potenze - o tre, se si aggiungesse Nuova Delhi). E infatti, negli anni Settanta, gli americani perseguirono la distensione con Pechino in chiave antisovietica. All’epoca, l’artefice della politica Usa era l’accorto Henry Kissinger. Adesso, i fenomeni che bacchettavano l’intemperante Donald Trump, gli «adulti» della Casa Bianca, in quale abisso ci stanno trascinando?
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