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2024-11-18
Quanto è forte l’esercito di Kim Jong-un?
(Getty Images)
Le truppe nordcoreane recentemente dispiegate per aiutare la Russia nella sua guerra con l’Ucraina sono finite subito sotto il fuoco di Kiev, ha dichiarato martedì scorso un funzionario ucraino. È la prima volta che si afferma che le unità di Pyongyang siano state colpite a seguito di un dispiegamento che ha dato al conflitto un nuovo aspetto, mentre ci si sta avvicinando ai 1.000 giorni dall’inizio del conflitto. Su Telegram Andrii Kovalenko, capo della sezione contro-disinformazione del Consiglio di sicurezza ucraino, ha scritto che «le prime truppe nordcoreane sono già state bombardate nella regione di Kursk». Ma che impatto possono avere nel conflitto?
I soldati nordcoreani mandati frettolosamente in Ucraina, con qualche centinaio di ufficiali e di alcuni generali, secondo alcuni resoconti sono giovanissimi, non sono mai usciti dalla Corea del Nord, e fatta eccezione per il veloce addestramento russo non hanno nessuna esperienza sul campo. Inoltre non conoscono il terreno e la lingua. Un po’ come accaduto con le truppe cubane massacrate dagli ucraini non appena giunte al fronte. Si racconta che i nordcoreani appena arrivati al fronte abbiano scoperto le meraviglie di internet (vietato in patria), e in particolare i siti porno, un fatto che li distrae e molto dalle faccende belliche. Visto tutto il contesto è difficile non concordare con quegli analisti che prevedono che i soldati arrivati da Pyongyang non siano altro che «carne da cannone».
Con circa 1,3 milioni di effettivi, l’Esercito popolare coreano (Kpa) è uno dei più grandi eserciti del mondo, preceduto solo da Paesi molto più grandi come la Cina e gli Stati Uniti. Ma non va dimenticato che la Corea del Nord è una delle società più militarizzate del pianeta, dove tutti gli uomini di età compresa tra i 17 e i 30 anni devono arruolarsi per il servizio militare che dura dai 3 ai 12 anni. Secondo i dati dell’Istituto internazionale per gli studi strategici (Iiss), la Corea del Nord ha anche circa 600.000 riservisti e 5,7 milioni di riservisti della Guardia rossa operaia e contadina, oltre a molte unità non armate.
Il Kpa è diviso in esercito, aeronautica, marina e forze strategiche, che sono armate con missili balistici che possono essere dotati di testate nucleari. Si stima che l’aeronautica abbia circa 110.000 effettivi e la marina 60.000. La Corea del Nord è uno dei nove Paesi al mondo che possiedono armi nucleari, e a questo proposito lo scorso 30 ottobre il ministro della Difesa sudcoreano Kim Jong-hyun durante un incontro al Pentagono ha affermato: «È molto probabile che la Corea del Nord chieda alla Russia tecnologie avanzate legate alle armi nucleari in cambio dell’invio di truppe a supporto nella guerra contro l’Ucraina». Secondo il ministro sudcoreano, Pyongyang potrebbe richiedere a Mosca il trasferimento di tecnologie per le armi nucleari tattiche, per lo sviluppo di missili balistici intercontinentali nordcoreani, per satelliti di riconoscimento e per sottomarini nucleari. Kim Jong-hyun ha espresso le sue preoccupazioni al segretario alla Difesa americano Lloyd Austin. Nulla di particolarmente innovativo perché questo accordo ricalcherebbe quello tra Russia e Iran, secondo cui Mosca ha condiviso tecnologie nucleari con Teheran in cambio di armi e supporto militare per la sua guerra all’Ucraina. La Corea del Nord sostiene che il proprio arsenale di armi nucleari e missili balistici sia essenziale per difendersi dalle minacce provenienti dagli Stati Uniti e dai suoi alleati, con cui ha combattuto durante la guerra di Corea del 1950-1953. Il leader nordcoreano ha fatto iscrivere nel 2023 nella Costituzione il fatto che la Corea del Nord è ormai una potenza nucleare e ha chiarito a più riprese che il dato di fatto del possesso dell’arma nucleare per Pyongyang non è più questione su cui trattare alcunché perché «si tratta di un dato irreversibile». La notizia non può che preoccupare anche gli Stati Uniti, e in tal senso sarà interessante capire che postura adotterà la nuova amministrazione guidata da Donald Trump, che nel precedente mandato era riuscito a disinnescare, anche se temporaneamente, la minaccia nordcoreana.
La maggior parte dell’esercito nordcoreano è posizionata nei pressi della Zona demilitarizzata (Dmz) di 248 chilometri, che separa la Corea del Nord dalla Corea del Sud. Per compensare alcune carenze percepite, il Kpa ha puntato sulle cosiddette capacità asimmetriche, includendo forze per operazioni speciali, armi di distruzione di massa (armi chimiche e biologiche) e l’artiglieria che punta a Seoul. Secondo la Corea del Sud, l’esercito nordcoreano comprende anche 6.800 specialisti di guerra informatica impegnati nello sviluppo di nuove tecnologie per potenziare le temute capacità cyber nordcoreane. La martellante propaganda del leader nordcoreano Kim Jong-un ha più volte mostrato che la Corea del Nord ha costruito una serie di missili che, a suo dire, possono essere dotati di bombe nucleari, da armi tattiche a corto raggio a enormi missili balistici intercontinentali (Icbm) con una gittata tale da raggiungere qualsiasi punto degli Stati Uniti. Il Kpa dispone di un’enorme quantità di equipaggiamento militare convenzionale, anche se in gran parte molto vecchio e di fatto inservibile. Ad esempio i carri armati di epoca sovietica come il T-34, modelli cinesi e carri armati di produzione nazionale come il Chonma-ho o il Songun-ho.
Secondo il «Libro bianco della Difesa 2022» dell’esercito sudcoreano, le unità corazzate e meccanizzate del Kpa hanno più di 6.900 carri armati e veicoli corazzati mentre l’aeronautica militare ha in dotazione oltre 400 aerei da combattimento, 80 bombardieri leggeri e più di 200 aerei da trasporto. Ma anche qui molti dei suoi velivoli risalgono all’era sovietica, e si pensa che alcuni abbiano dai 40 agli 80 anni, utili quindi per un museo piuttosto che per i moderni teatri di guerra. La forza navale dell’Esercito popolare coreano (Kpanf) dispone di circa 470 navi di superficie, tra cui navi con missili guidati, torpediniere, piccole navi da pattugliamento e imbarcazioni di supporto al fuoco. Inoltre, Pyongyang dispone di circa 70 sottomarini, tra cui navi di classe Romeo di progettazione sovietica e sottomarini nano. Negli ultimi anni, la Corea del Nord ha potenziato la sua marina con nuove armi nucleari, tra cui un drone subacqueo, navi da guerra e il suo primo sottomarino missilistico operativo. Per comprendere con i numeri come si stia armando la Corea del Nord basta leggere le cifre del World Factbook della Cia, che afferma che tra il 2010 e il 2020 le spese militari di Pyongyang hanno rappresentato circa il 20-30% del Pil all’anno e nel gennaio scorso il regime ha dichiarato di voler spendere quasi il 16% della spesa statale per la difesa. Tutto questo rappresenta una minaccia globale.
«Pyongyang esigerà un tributo da Mosca»
Kim Jong-un è spesso descritto dai media occidentali come un dittatore feroce, ma allo stesso tempo come una macchietta. Ma cosa si nasconde dietro al leader del Paese più chiuso e isolato al mondo? Ne parliamo con Nicola Cristadoro, analista di Limes.
Dopo l’invio di migliaia di soldati in Russia (Bloomberg parla di 100.000 potenziali), la Corea del Nord ha appena ha ratificato un patto di difesa reciproca con Mosca. Come si pone la Cina di fronte a tale alleanza?
«La guerra costa, sia in termini economici sia in termini di risorse umane e, per quanto riguarda i primi, “l’economia di guerra” imposta dal Cremlino per sostenere lo sforzo bellico in Ucraina probabilmente non è sufficiente. A metà del giugno di quest’anno, la Russia si sarebbe offerta di vendere a Pechino una parte del suo Estremo Oriente, il territorio che circonda il fiume Tumen. Questa iniziativa consentirebbe alla Cina di espandere il proprio commercio, attraverso lo sfruttamento del fiume come arteria di navigazione e garantirebbe alla Russia un significativo introito per finanziare la guerra. Il timore della Corea del Nord è che la possibilità per la Cina di navigare sul Tumen limiti gli investimenti cinesi nei suoi porti. Tuttavia, il sostegno indiretto della Cina ai trasferimenti di armi di Pyongyang alla Russia, cui è seguito un afflusso di prodotti agricoli e petrolio in Corea del Nord, potrebbe rendere la Corea più disponibile a un compromesso. Sebbene sia la Cina che la Corea del Nord abbiano dei benefici, l’impegno di Pechino e di Pyongyang nel sostegno offerto alla Russia è differente».
Nessun asse tra Pechino, Pyongyang e Mosca, dunque.
«Le relazioni tra Russia, Cina e Corea del Nord appaiono più come una serie di transazioni bilaterali reciprocamente vantaggiose, piuttosto che una solida partnership o alleanza trilaterale. Mentre l’espansione bilaterale della cooperazione della Russia con la Cina e la Corea del Nord deve destare preoccupazione, la dimensione trilaterale non dovrebbe essere sopravvalutata. Né Mosca né Pechino sono disposte a riconoscere tout court l’esistenza di un asse trilaterale con Pyongyang».
Nel 2019 si è verificato un inizio di distensione tra Corea del Nord e Usa, con l’incontro in Vietnam tra Kim e Trump. Con il ritorno del repubblicano alla Casa Bianca, quali prospettive intravede nei rapporti tra i due Paesi?
«Donald Trump non è un genio della politica estera, se non nella ricerca della coerenza con il suo slogan “America first”. Detto ciò, non si deve trascurare il ruolo di Elon Musk. Come sta facendo cambiare idea a Trump sulla politica commerciale nei confronti della Cina, può suggerirgli anche una cauta apertura verso la Corea del Nord, qualora ne intravedesse la convenienza».
La Corea del Nord resisterebbe alle minacce esterne senza la minaccia rappresentata dal suo arsenale atomico?
«Diversi analisti russi vedono la creazione di un asse tra Russia, Cina e Corea del Nord come una risposta inevitabile a quella che viene percepita come una forma di espansione della Nato nella regione indopacifica. Per contro, Vitaly Sovin, esperto del Valdai discussion club di Mosca, ha affermato che il sodalizio tra Mosca, Pechino e Pyongyang potrebbe esistere a prescindere, in quanto la Corea del Nord ha già le capacità militari per difendere la sua sovranità. Va detto che la tensione nella penisola coreana è giunta al suo punto più alto da anni, con il ritmo dei test missilistici voluti da Kim da un lato, e delle esercitazioni militari combinate che coinvolgono Stati Uniti, Corea del Sud e Giappone dall’altro. L’aspetto più controverso in questo gioco delle parti è proprio legato all’arma atomica. Le divergenze tra Cina e Russia sul programma atomico della Corea del Nord sono sostanziali. La Cina imputa l’assertività nucleare della Corea del Nord nei confronti della Corea del Sud alla rottura delle relazioni diplomatiche tra le parti interessate per cause politiche esterne, eredità della Guerra Fredda. Tale assertività, però, secondo Pechino giustificherebbe gli Stati Uniti al preoccupante dispiegamento di ulteriori risorse strategiche con capacità nucleare nella regione indopacifica. La Russia, invece, non ha scrupoli riguardo al programma nucleare di Pyongyang e getta benzina sul fuoco».
Qual è l’obiettivo principale di Kim Jong-un? Come possiamo definire la sua strategia geopolitica?
«Kim Jong-un prosegue nel solco tracciato da suo padre Kim Jong-il. Al centro, c’è l’eterno problema delle relazioni con la Corea del Sud e il suo alleato: gli Stati Uniti. Kim ha sempre cercato una “sponda” per legittimare la sua dittatura, consolidare il ruolo del suo Paese nella geopolitica dell’Estremo Oriente e alleviare gli effetti delle sanzioni economiche cui la Corea del Nord è soggetta. Una sponda rilevante gli è stata offerta dalla Russia, alla ricerca del consenso di nuovi e vecchi alleati all’indomani dell’invasione dell’Ucraina. Da subito Kim Jong-un ha offerto a Putin dapprima il proprio sostegno diplomatico e, successivamente, una cospicua fornitura di munizionamento. In cambio la Russia, insieme alla Cina, ha bloccato gli sforzi guidati dagli Stati Uniti al Consiglio di Sicurezza, mirati a rafforzare le sanzioni contro la Corea del Nord. Il “tributo” offerto a Putin da Kim con l’invio di migliaia di militari nordcoreani a ripianare le perdite russe per la prosecuzione della controffensiva nella regione di Kursk è clamoroso. I media hanno riferito di almeno cinque formazioni di 2.000-3.000 soldati ciascuna e integrate nelle unità russe. L’aspetto inquietante deriva dalla decisione di inviare i propri soldati a combattere, e a morire, come tributo “ex ante”».
Un «credito» da vantare successivamente, dunque.
«Sì, quando lo riterrà opportuno. Stiamo assistendo a un’inversione di tendenza rispetto a quanto accaduto con la Siria e con la Cecenia. All’inizio dell’invasione in Ucraina, la Siria avrebbe dovuto fornire un robusto contingente da affiancare alle truppe russe. La situazione in cui versa il Paese non lo ha consentito. E i mercenari siriani addestrati dai mercenari del Gruppo Wagner si sono dissolti quando si è dissolto il Gruppo nel giugno 2023. I “Kadyrovtsy” ceceni, al contrario, hanno risposto numerosi alla chiamata alle armi. In entrambi i casi, versato o meno, si tratta di un tributo “ex post”, un riconoscimento per un sostegno o un premio (nel caso di Kadyrov) già ricevuto. C’è da domandarsi quale sarà il “sostegno” che chiederà Kim in cambio dei suoi 10.000 soldati».
«Ai soldati però manca esperienza sul campo»
Lara Ballurio è una giornalista ed esperta di Russia che ha vissuto a lungo a Mosca.
Come è stata spiegata ai russi la presenza delle truppe nordcoreane al fronte con l’Ucraina?
«La propaganda russa si è dovuta inventare un bel racconto, ma non è certo la prima volta che riesce a girare la frittata. L’arrivo delle truppe nordcoreane è stato presentato come una dimostrazione di “solidarietà tra popoli fratelli” contro l’Occidente decadente. I media di Stato l’hanno descritto come un “nobile gesto” di Kim Jong-un per sostenere Mosca in una lotta epica contro la Nato, dipinta come una moderna Armageddon. Ovviamente, nessuno ha spiegato che, dietro questa “solidarietà”, esiste un vero e proprio patto di scambio, sancito persino dalla Duma: truppe in cambio di petrolio, grano e soprattutto tecnologie militari avanzate. Ma si sa, in Russia le domande sulle amicizie di Putin, specie se includono la Corea del Nord, non si fanno. Qualcuno ci crede davvero? Chissà. Tra la tv di Stato e la disperazione quotidiana, molti preferiscono non indagare troppo».
Come viene recepita dai soldati russi la presenza dei soldati nordcoreani che non parlano russo e che non hanno mai combattuto una guerra?
«La situazione è surreale. Immaginatevi di essere un soldato russo al fronte, stanco di una guerra infinita, con poche risorse e il desiderio di tornare a casa, se mai ci riuscirà. Ora, oltre ai tuoi compagni che bestemmiano in diverse lingue del Caucaso, ti trovi accanto soldati nordcoreani che non parlano russo e che sono stati costretti a essere lì, magari arrivati in Russia con visti studenteschi e promesse di istruzione. Tra i russi serpeggia sarcasmo: “Abbiamo chiesto rinforzi e ci mandano questi?”. È risaputo che i nordcoreani sono addestrati più a sfilare in parata che a fronteggiare missili e droni. La mancanza di comunicazione complica tutto: mentre provi a spiegare che il nemico arriva da Nord, è già tardi. Per molti soldati russi, la presenza dei nordcoreani sa di disperazione: Mosca sta raschiando il fondo se deve affidarsi a truppe senza vera esperienza sul campo».
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Tra i più grandi al mondo (1,3 milioni di effettivi), può contare su armi nucleari e biologiche. Ma è carente in veicoli e aerei.L’analista Nicola Cristadoro: «Con l’invio di migliaia di militari da usare contro Kiev, lo Stato asiatico ora vanta un credito con Putin, che riscuoterà quando sarà opportuno. Non esiste un asse a tre con la Cina e il Cremlino: sono più relazioni bilaterali con transazioni vantaggiose».La giornalista Lara Ballurio: «I russi sanno che sono truppe da parata non abituate alla guerra».Lo speciale contiene tre articoli.Le truppe nordcoreane recentemente dispiegate per aiutare la Russia nella sua guerra con l’Ucraina sono finite subito sotto il fuoco di Kiev, ha dichiarato martedì scorso un funzionario ucraino. È la prima volta che si afferma che le unità di Pyongyang siano state colpite a seguito di un dispiegamento che ha dato al conflitto un nuovo aspetto, mentre ci si sta avvicinando ai 1.000 giorni dall’inizio del conflitto. Su Telegram Andrii Kovalenko, capo della sezione contro-disinformazione del Consiglio di sicurezza ucraino, ha scritto che «le prime truppe nordcoreane sono già state bombardate nella regione di Kursk». Ma che impatto possono avere nel conflitto? I soldati nordcoreani mandati frettolosamente in Ucraina, con qualche centinaio di ufficiali e di alcuni generali, secondo alcuni resoconti sono giovanissimi, non sono mai usciti dalla Corea del Nord, e fatta eccezione per il veloce addestramento russo non hanno nessuna esperienza sul campo. Inoltre non conoscono il terreno e la lingua. Un po’ come accaduto con le truppe cubane massacrate dagli ucraini non appena giunte al fronte. Si racconta che i nordcoreani appena arrivati al fronte abbiano scoperto le meraviglie di internet (vietato in patria), e in particolare i siti porno, un fatto che li distrae e molto dalle faccende belliche. Visto tutto il contesto è difficile non concordare con quegli analisti che prevedono che i soldati arrivati da Pyongyang non siano altro che «carne da cannone». Con circa 1,3 milioni di effettivi, l’Esercito popolare coreano (Kpa) è uno dei più grandi eserciti del mondo, preceduto solo da Paesi molto più grandi come la Cina e gli Stati Uniti. Ma non va dimenticato che la Corea del Nord è una delle società più militarizzate del pianeta, dove tutti gli uomini di età compresa tra i 17 e i 30 anni devono arruolarsi per il servizio militare che dura dai 3 ai 12 anni. Secondo i dati dell’Istituto internazionale per gli studi strategici (Iiss), la Corea del Nord ha anche circa 600.000 riservisti e 5,7 milioni di riservisti della Guardia rossa operaia e contadina, oltre a molte unità non armate. Il Kpa è diviso in esercito, aeronautica, marina e forze strategiche, che sono armate con missili balistici che possono essere dotati di testate nucleari. Si stima che l’aeronautica abbia circa 110.000 effettivi e la marina 60.000. La Corea del Nord è uno dei nove Paesi al mondo che possiedono armi nucleari, e a questo proposito lo scorso 30 ottobre il ministro della Difesa sudcoreano Kim Jong-hyun durante un incontro al Pentagono ha affermato: «È molto probabile che la Corea del Nord chieda alla Russia tecnologie avanzate legate alle armi nucleari in cambio dell’invio di truppe a supporto nella guerra contro l’Ucraina». Secondo il ministro sudcoreano, Pyongyang potrebbe richiedere a Mosca il trasferimento di tecnologie per le armi nucleari tattiche, per lo sviluppo di missili balistici intercontinentali nordcoreani, per satelliti di riconoscimento e per sottomarini nucleari. Kim Jong-hyun ha espresso le sue preoccupazioni al segretario alla Difesa americano Lloyd Austin. Nulla di particolarmente innovativo perché questo accordo ricalcherebbe quello tra Russia e Iran, secondo cui Mosca ha condiviso tecnologie nucleari con Teheran in cambio di armi e supporto militare per la sua guerra all’Ucraina. La Corea del Nord sostiene che il proprio arsenale di armi nucleari e missili balistici sia essenziale per difendersi dalle minacce provenienti dagli Stati Uniti e dai suoi alleati, con cui ha combattuto durante la guerra di Corea del 1950-1953. Il leader nordcoreano ha fatto iscrivere nel 2023 nella Costituzione il fatto che la Corea del Nord è ormai una potenza nucleare e ha chiarito a più riprese che il dato di fatto del possesso dell’arma nucleare per Pyongyang non è più questione su cui trattare alcunché perché «si tratta di un dato irreversibile». La notizia non può che preoccupare anche gli Stati Uniti, e in tal senso sarà interessante capire che postura adotterà la nuova amministrazione guidata da Donald Trump, che nel precedente mandato era riuscito a disinnescare, anche se temporaneamente, la minaccia nordcoreana.La maggior parte dell’esercito nordcoreano è posizionata nei pressi della Zona demilitarizzata (Dmz) di 248 chilometri, che separa la Corea del Nord dalla Corea del Sud. Per compensare alcune carenze percepite, il Kpa ha puntato sulle cosiddette capacità asimmetriche, includendo forze per operazioni speciali, armi di distruzione di massa (armi chimiche e biologiche) e l’artiglieria che punta a Seoul. Secondo la Corea del Sud, l’esercito nordcoreano comprende anche 6.800 specialisti di guerra informatica impegnati nello sviluppo di nuove tecnologie per potenziare le temute capacità cyber nordcoreane. La martellante propaganda del leader nordcoreano Kim Jong-un ha più volte mostrato che la Corea del Nord ha costruito una serie di missili che, a suo dire, possono essere dotati di bombe nucleari, da armi tattiche a corto raggio a enormi missili balistici intercontinentali (Icbm) con una gittata tale da raggiungere qualsiasi punto degli Stati Uniti. Il Kpa dispone di un’enorme quantità di equipaggiamento militare convenzionale, anche se in gran parte molto vecchio e di fatto inservibile. Ad esempio i carri armati di epoca sovietica come il T-34, modelli cinesi e carri armati di produzione nazionale come il Chonma-ho o il Songun-ho. Secondo il «Libro bianco della Difesa 2022» dell’esercito sudcoreano, le unità corazzate e meccanizzate del Kpa hanno più di 6.900 carri armati e veicoli corazzati mentre l’aeronautica militare ha in dotazione oltre 400 aerei da combattimento, 80 bombardieri leggeri e più di 200 aerei da trasporto. Ma anche qui molti dei suoi velivoli risalgono all’era sovietica, e si pensa che alcuni abbiano dai 40 agli 80 anni, utili quindi per un museo piuttosto che per i moderni teatri di guerra. La forza navale dell’Esercito popolare coreano (Kpanf) dispone di circa 470 navi di superficie, tra cui navi con missili guidati, torpediniere, piccole navi da pattugliamento e imbarcazioni di supporto al fuoco. Inoltre, Pyongyang dispone di circa 70 sottomarini, tra cui navi di classe Romeo di progettazione sovietica e sottomarini nano. Negli ultimi anni, la Corea del Nord ha potenziato la sua marina con nuove armi nucleari, tra cui un drone subacqueo, navi da guerra e il suo primo sottomarino missilistico operativo. Per comprendere con i numeri come si stia armando la Corea del Nord basta leggere le cifre del World Factbook della Cia, che afferma che tra il 2010 e il 2020 le spese militari di Pyongyang hanno rappresentato circa il 20-30% del Pil all’anno e nel gennaio scorso il regime ha dichiarato di voler spendere quasi il 16% della spesa statale per la difesa. Tutto questo rappresenta una minaccia globale.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/esercito-nord-corea-2669925841.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="pyongyang-esigera-un-tributo-da-mosca" data-post-id="2669925841" data-published-at="1731945159" data-use-pagination="False"> «Pyongyang esigerà un tributo da Mosca» Kim Jong-un è spesso descritto dai media occidentali come un dittatore feroce, ma allo stesso tempo come una macchietta. Ma cosa si nasconde dietro al leader del Paese più chiuso e isolato al mondo? Ne parliamo con Nicola Cristadoro, analista di Limes. Dopo l’invio di migliaia di soldati in Russia (Bloomberg parla di 100.000 potenziali), la Corea del Nord ha appena ha ratificato un patto di difesa reciproca con Mosca. Come si pone la Cina di fronte a tale alleanza? «La guerra costa, sia in termini economici sia in termini di risorse umane e, per quanto riguarda i primi, “l’economia di guerra” imposta dal Cremlino per sostenere lo sforzo bellico in Ucraina probabilmente non è sufficiente. A metà del giugno di quest’anno, la Russia si sarebbe offerta di vendere a Pechino una parte del suo Estremo Oriente, il territorio che circonda il fiume Tumen. Questa iniziativa consentirebbe alla Cina di espandere il proprio commercio, attraverso lo sfruttamento del fiume come arteria di navigazione e garantirebbe alla Russia un significativo introito per finanziare la guerra. Il timore della Corea del Nord è che la possibilità per la Cina di navigare sul Tumen limiti gli investimenti cinesi nei suoi porti. Tuttavia, il sostegno indiretto della Cina ai trasferimenti di armi di Pyongyang alla Russia, cui è seguito un afflusso di prodotti agricoli e petrolio in Corea del Nord, potrebbe rendere la Corea più disponibile a un compromesso. Sebbene sia la Cina che la Corea del Nord abbiano dei benefici, l’impegno di Pechino e di Pyongyang nel sostegno offerto alla Russia è differente». Nessun asse tra Pechino, Pyongyang e Mosca, dunque. «Le relazioni tra Russia, Cina e Corea del Nord appaiono più come una serie di transazioni bilaterali reciprocamente vantaggiose, piuttosto che una solida partnership o alleanza trilaterale. Mentre l’espansione bilaterale della cooperazione della Russia con la Cina e la Corea del Nord deve destare preoccupazione, la dimensione trilaterale non dovrebbe essere sopravvalutata. Né Mosca né Pechino sono disposte a riconoscere tout court l’esistenza di un asse trilaterale con Pyongyang». Nel 2019 si è verificato un inizio di distensione tra Corea del Nord e Usa, con l’incontro in Vietnam tra Kim e Trump. Con il ritorno del repubblicano alla Casa Bianca, quali prospettive intravede nei rapporti tra i due Paesi? «Donald Trump non è un genio della politica estera, se non nella ricerca della coerenza con il suo slogan “America first”. Detto ciò, non si deve trascurare il ruolo di Elon Musk. Come sta facendo cambiare idea a Trump sulla politica commerciale nei confronti della Cina, può suggerirgli anche una cauta apertura verso la Corea del Nord, qualora ne intravedesse la convenienza». La Corea del Nord resisterebbe alle minacce esterne senza la minaccia rappresentata dal suo arsenale atomico? «Diversi analisti russi vedono la creazione di un asse tra Russia, Cina e Corea del Nord come una risposta inevitabile a quella che viene percepita come una forma di espansione della Nato nella regione indopacifica. Per contro, Vitaly Sovin, esperto del Valdai discussion club di Mosca, ha affermato che il sodalizio tra Mosca, Pechino e Pyongyang potrebbe esistere a prescindere, in quanto la Corea del Nord ha già le capacità militari per difendere la sua sovranità. Va detto che la tensione nella penisola coreana è giunta al suo punto più alto da anni, con il ritmo dei test missilistici voluti da Kim da un lato, e delle esercitazioni militari combinate che coinvolgono Stati Uniti, Corea del Sud e Giappone dall’altro. L’aspetto più controverso in questo gioco delle parti è proprio legato all’arma atomica. Le divergenze tra Cina e Russia sul programma atomico della Corea del Nord sono sostanziali. La Cina imputa l’assertività nucleare della Corea del Nord nei confronti della Corea del Sud alla rottura delle relazioni diplomatiche tra le parti interessate per cause politiche esterne, eredità della Guerra Fredda. Tale assertività, però, secondo Pechino giustificherebbe gli Stati Uniti al preoccupante dispiegamento di ulteriori risorse strategiche con capacità nucleare nella regione indopacifica. La Russia, invece, non ha scrupoli riguardo al programma nucleare di Pyongyang e getta benzina sul fuoco». Qual è l’obiettivo principale di Kim Jong-un? Come possiamo definire la sua strategia geopolitica? «Kim Jong-un prosegue nel solco tracciato da suo padre Kim Jong-il. Al centro, c’è l’eterno problema delle relazioni con la Corea del Sud e il suo alleato: gli Stati Uniti. Kim ha sempre cercato una “sponda” per legittimare la sua dittatura, consolidare il ruolo del suo Paese nella geopolitica dell’Estremo Oriente e alleviare gli effetti delle sanzioni economiche cui la Corea del Nord è soggetta. Una sponda rilevante gli è stata offerta dalla Russia, alla ricerca del consenso di nuovi e vecchi alleati all’indomani dell’invasione dell’Ucraina. Da subito Kim Jong-un ha offerto a Putin dapprima il proprio sostegno diplomatico e, successivamente, una cospicua fornitura di munizionamento. In cambio la Russia, insieme alla Cina, ha bloccato gli sforzi guidati dagli Stati Uniti al Consiglio di Sicurezza, mirati a rafforzare le sanzioni contro la Corea del Nord. Il “tributo” offerto a Putin da Kim con l’invio di migliaia di militari nordcoreani a ripianare le perdite russe per la prosecuzione della controffensiva nella regione di Kursk è clamoroso. I media hanno riferito di almeno cinque formazioni di 2.000-3.000 soldati ciascuna e integrate nelle unità russe. L’aspetto inquietante deriva dalla decisione di inviare i propri soldati a combattere, e a morire, come tributo “ex ante”». Un «credito» da vantare successivamente, dunque. «Sì, quando lo riterrà opportuno. Stiamo assistendo a un’inversione di tendenza rispetto a quanto accaduto con la Siria e con la Cecenia. All’inizio dell’invasione in Ucraina, la Siria avrebbe dovuto fornire un robusto contingente da affiancare alle truppe russe. La situazione in cui versa il Paese non lo ha consentito. E i mercenari siriani addestrati dai mercenari del Gruppo Wagner si sono dissolti quando si è dissolto il Gruppo nel giugno 2023. I “Kadyrovtsy” ceceni, al contrario, hanno risposto numerosi alla chiamata alle armi. In entrambi i casi, versato o meno, si tratta di un tributo “ex post”, un riconoscimento per un sostegno o un premio (nel caso di Kadyrov) già ricevuto. C’è da domandarsi quale sarà il “sostegno” che chiederà Kim in cambio dei suoi 10.000 soldati». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/esercito-nord-corea-2669925841.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="ai-soldati-pero-manca-esperienza-sul-campo" data-post-id="2669925841" data-published-at="1731945159" data-use-pagination="False"> «Ai soldati però manca esperienza sul campo» Lara Ballurio è una giornalista ed esperta di Russia che ha vissuto a lungo a Mosca. Come è stata spiegata ai russi la presenza delle truppe nordcoreane al fronte con l’Ucraina? «La propaganda russa si è dovuta inventare un bel racconto, ma non è certo la prima volta che riesce a girare la frittata. L’arrivo delle truppe nordcoreane è stato presentato come una dimostrazione di “solidarietà tra popoli fratelli” contro l’Occidente decadente. I media di Stato l’hanno descritto come un “nobile gesto” di Kim Jong-un per sostenere Mosca in una lotta epica contro la Nato, dipinta come una moderna Armageddon. Ovviamente, nessuno ha spiegato che, dietro questa “solidarietà”, esiste un vero e proprio patto di scambio, sancito persino dalla Duma: truppe in cambio di petrolio, grano e soprattutto tecnologie militari avanzate. Ma si sa, in Russia le domande sulle amicizie di Putin, specie se includono la Corea del Nord, non si fanno. Qualcuno ci crede davvero? Chissà. Tra la tv di Stato e la disperazione quotidiana, molti preferiscono non indagare troppo». Come viene recepita dai soldati russi la presenza dei soldati nordcoreani che non parlano russo e che non hanno mai combattuto una guerra? «La situazione è surreale. Immaginatevi di essere un soldato russo al fronte, stanco di una guerra infinita, con poche risorse e il desiderio di tornare a casa, se mai ci riuscirà. Ora, oltre ai tuoi compagni che bestemmiano in diverse lingue del Caucaso, ti trovi accanto soldati nordcoreani che non parlano russo e che sono stati costretti a essere lì, magari arrivati in Russia con visti studenteschi e promesse di istruzione. Tra i russi serpeggia sarcasmo: “Abbiamo chiesto rinforzi e ci mandano questi?”. È risaputo che i nordcoreani sono addestrati più a sfilare in parata che a fronteggiare missili e droni. La mancanza di comunicazione complica tutto: mentre provi a spiegare che il nemico arriva da Nord, è già tardi. Per molti soldati russi, la presenza dei nordcoreani sa di disperazione: Mosca sta raschiando il fondo se deve affidarsi a truppe senza vera esperienza sul campo».
Friedrich Merz (Ansa)
Il dissenso della gioventù aveva provocato forti tensioni all’interno della maggioranza tanto da far rischiare la prima crisi di governo seria per Merz. Il via libera del parlamento tedesco, dunque, segna di fatto una crisi politica enorme e pure lo scollamento della democrazia tra maggioranza effettiva e maggioranza dopata. Come già era accaduto in Francia, la materia pensionistica è l’iceberg contro cui si schiantano i… Titanic: Macron prima, Merz adesso. Il presidente francese sulle pensioni ha visto la rottura dei suoi governi per l’incalzare di rivolte popolari e questo in carica guidato da Lecornu ha dovuto congelare la materia per non lasciarci le penne. Del resto in Europa non è il solo che naviga a vista, non curante della sfiducia nel Paese: in Spagna il governo Sánchez è in piena crisi di consensi per i casi di corruzione scoppiati nel partito e in casa, e pure l’accordo coi i catalani e coi baschi rischia di far deragliare l’esecutivo sulla finanziaria. In Olanda non c’è ancora un governo. In Belgio il primo ministro De Wever ha chiesto altro tempo al re Filippo per superare lo stallo sulla legge di bilancio che si annuncia lacrime e sangue. In Germania - dicevamo - il governo si è salvato per l’appoggio determinante della sinistra radicale, aprendo quindi un tema politico che lascerà strascichi dei quali beneficerà Afd, partito assai attrattivo proprio tra i giovani.
I tre voti con i quali Merz si è salvato peseranno tantissimo e manterranno acceso il dibattito proprio su una questione ancestrale: l’aumento del debito pubblico. «Questo disegno di legge va contro le mie convinzioni fondamentali, contro tutto ciò per cui sono entrato in politica», ha dichiarato a nome della Junge Union Gruppe Pascal Reddig durante il dibattito. Lui è uno dei diciotto che avrebbe voluto affossare la stabilizzazione previdenziale anche a costo di mandare sotto il governo: il gruppo dei giovani non aveva mai preso in considerazione l’idea di caricare sulle spalle delle future generazioni 115 miliardi di costi aggiuntivi a partire dal 2031.
E senza quei 18 sì, il governo sarebbe finito al tappeto. Quindi ecco la solita minestrina riscaldata della sopravvivenza politica a qualsiasi costo: l’astensione dai banchi dell’opposizione del partito di estrema sinistra Die Linke, per effetto della quale si è ridotto il numero di voti necessari per l'approvazione. E i giovani? E le loro idee?
Merz ha affermato che le preoccupazioni della Junge Union saranno prese in considerazione in una revisione più ampia del sistema pensionistico prevista per il 2026, che affronterà anche la spinosa questione dell'innalzamento dell'età pensionabile. Un bel modo per cercare di salvare il salvabile. Anche se ora arriva pure la tegola della riforma della leva: il parlamento tedesco ha infatti approvato la modernizzazione del servizio militare nel Paese, introducendo una visita medica obbligatoria per i giovani diciottenni e la possibilità di ripristinare la leva obbligatoria in caso di carenza di volontari. Un altro passo verso la piena militarizzazione, materia su cui l’opinione pubblica tedesca è in profondo disaccordo e che Afd sta cavalcando. Sempre che la democrazia non deciderà di fermare Afd…
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«The Rainmaker» (Sky)
The Rainmaker, versione serie televisiva, sarà disponibile su Sky Exclusive a partire dalla prima serata di venerdì 5 dicembre. E allora l'abisso immenso della legalità, i suoi chiaroscuri, le zone d'ombra soggette a manovre e interpretazioni personali torneranno protagonisti. Non a Memphis, dov'era ambientato il romanzo originale, bensì a Charleston, nella Carolina del Sud.
Il rainmaker di Grisham, il ragazzo che - fresco di laurea - aveva fantasticato sulla possibilità di essere l'uomo della pioggia in uno degli studi legali più prestigiosi di Memphis, è lontano dal suo corrispettivo moderno. E non solo per via di una città diversa. Rudy Baylor, stesso nome, stesso percorso dell'originale, ha l'anima candida del giovane di belle speranze, certo che sia tutto possibile, che le idee valgano più dei fatti. Ma quando, appena dopo la laurea in Giurisprudenza, si trova tirocinante all'interno di uno studio fra i più blasonati, capisce bene di aver peccato: troppo romanticismo, troppo incanto. In una parola, troppa ingenuità.
Rudy Baylor avrebbe voluto essere colui che poteva portare più clienti al suddetto studio. Invece, finisce per scontrarsi con un collega più anziano nel giorno dell'esordio, i suoi sogni impacchettati come fossero cosa di poco conto. Rudy deve trovare altro: un altro impiego, un'altra strada. E finisce per trovarla accanto a Bruiser Stone, qui donna, ben lontana dall'essere una professionista integerrima. Qui, i percorsi divergono.
The Rainmaker, versione serie televisiva, si discosta da The Rainmaker versione carta o versione film. Cambia la trama, non, però, la sostanza. Quel che lo show, in dieci episodi, vuole cercare di raccontare quanto complessa possa essere l'applicazione nel mondo reale di categorie di pensiero apprese in astratto. I confini sono labili, ciascuno disposto ad estenderli così da inglobarvi il proprio interesse personale. Quel che dovrebbe essere scontato e oggettivo, la definizione di giusto o sbagliato, sfuma. E non vi è più certezza. Nemmeno quella basilare del singolo, che credeva di aver capito quanto meno se stesso. Rudy Baylor, all'interno di questa serie, a mezza via tra giallo e legal drama, deve, dunque, fare quel che ha fatto il suo predecessore: smettere ogni sua certezza e camminare al di fuori della propria zona di comfort, alla ricerca perpetua di un compromesso che non gli tolga il sonno.
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Ursula von der Leyen (Ansa)
Mentre l’Europa è strangolata da una crisi industriale senza precedenti, la Commissione europea offre alla casa automobilistica tedesca una tregua dalle misure anti-sovvenzioni. Questo armistizio, richiesto da VW Anhui, che produce il modello Cupra in Cina, rappresenta la chiusura del cerchio della de-industrializzazione europea. Attualmente, la VW paga un dazio anti-sovvenzione del 20,7 per cento sui modelli Cupra fabbricati in Cina, che si aggiunge alla tariffa base del 10 per cento. L’offerta di VW, avanzata attraverso la sua sussidiaria Seat/Cupra, propone, in alternativa al dazio, una quota di importazione annuale e un prezzo minimo di importazione, meccanismi che, se accettati da Bruxelles, esenterebbero il colosso tedesco dal pagare i dazi. Non si tratta di una congiuntura, ma di un disegno premeditato. Pochi giorni fa, la stessa Volkswagen ha annunciato come un trionfo di essere in grado di produrre veicoli elettrici interamente sviluppati e realizzati in Cina per la metà del costo rispetto alla produzione in Europa, grazie alle efficienze della catena di approvvigionamento, all’acquisto di batterie e ai costi del lavoro notevolmente inferiori. Per dare un’idea della voragine competitiva, secondo una analisi Reuters del 2024 un operaio VW tedesco costa in media 59 euro l’ora, contro i soli 3 dollari l’ora in Cina. L’intera base produttiva europea è già in ginocchio. La pressione dei sindacati e dei politici tedeschi per produrre veicoli elettrici in patria, nel tentativo di tutelare i posti di lavoro, si è trasformata in un calice avvelenato, secondo una azzeccata espressione dell’analista Justin Cox.
I dati sono impietosi: l’utilizzo medio della capacità produttiva nelle fabbriche di veicoli leggeri in Europa è sceso al 60% nel 2023, ma nei paesi ad alto costo (Germania, Francia, Italia e Regno Unito) è crollato al 54%. Una capacità di utilizzo inferiore al 70% è considerata il minimo per la redditività.
Il risultato? Centinaia di migliaia di posti di lavoro che rischiano di scomparire in breve tempo. Volkswagen, che ha investito miliardi in Cina nel tentativo di rimanere competitiva su quel mercato, sta tagliando drasticamente l’occupazione in patria. L’accordo con i sindacati prevede la soppressione di 35.000 posti di lavoro entro il 2030 in Germania. Il marchio VW sta già riducendo la capacità produttiva in Germania del 40%, chiudendo linee per 734.000 veicoli. Persino stabilimenti storici come quello di Osnabrück rischiano la chiusura entro il 2027.
Anziché imporre una protezione doganale forte contro la concorrenza cinese, l’Ue si siede al tavolo per negoziare esenzioni personalizzate per le sue stesse aziende che delocalizzano in Oriente.
Questa politica di suicidio economico ha molto padri, tra cui le case automobilistiche tedesche. Mercedes e Bmw, insieme a VW, fecero pressioni a suo tempo contro l’imposizione di dazi Ue più elevati, temendo che una guerra commerciale potesse danneggiare le loro vendite in Cina, il mercato più grande del mondo e cruciale per i loro profitti. L’Associazione dell’industria automobilistica tedesca (Vda) ha definito i dazi «un errore» e ha sostenuto una soluzione negoziata con Pechino.
La disastrosa svolta all’elettrico imposta da Bruxelles si avvia a essere attenuata con l’apertura (forse) alle immatricolazioni di motori a combustione e ibridi anche dopo il 2035, ma ha creato l’instabilità perfetta per l’ingresso trionfale della Cina nel settore. I produttori europei, combattendo con veicoli elettrici ad alto costo che non vendono come previsto (l’Ev più economico di VW, l’ID.3, costa oltre 36.000 euro), hanno perso quote di mercato e hanno dovuto ridimensionare obiettivi, profitti e occupazione in Europa. A tal riguardo, ieri il premier Giorgia Meloni, insieme ai leader di Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Bulgaria e Ungheria, in una lettera ai vertici Ue, ha esortato l’Unione ad abbandonare, una volta per tutte, il dogmatismo ideologico che ha messo in ginocchio interi settori produttivi, senza peraltro apportare benefici tangibili in termini di emissioni globali». Nel testo, si chiede di mantenere anche dopo il 2035 le ibride e di riconoscere i biocarburanti come carburanti a emissioni zero.
L’Ue, che sempre pretende un primato morale, ha in realtà creato le condizioni perfette per svuotare il continente di produzione industriale. Accettare esenzioni dai dazi sull’import dalle aziende che hanno traslocato in Cina è la beatificazione della delocalizzazione. L’Europa si avvia a diventare uno showroom per prodotti asiatici, con le sue fabbriche ridotte a ruderi. Paradossalmente, diverse case automobilistiche cinesi stanno delocalizzando in Europa, dove progettano di assemblare i veicoli e venderli localmente, aggirando così i dazi europei. La Great Wall Motors progetta di aprire stabilimenti in Spagna e Ungheria per assemblare i veicoli. Anche considerando i più alti costi del lavoro europei (16 euro in Ungheria, dato Reuters), i cinesi pensano di riuscire ad essere più competitivi dei concorrenti locali. Per convenienza, i marchi europei vanno in Cina e quelli cinesi vengono in Europa, insomma. A perderci sono i lavoratori europei.
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