2022-07-23
Erdogan ottiene l’accordo sul grano. Biden studia l’invio di caccia a Zelensky
Erdogan alla firma dell'accordo sul grano il 22 luglio 2022 (Ansa)
Sbloccato l’export dall’Ucraina: un altro trionfo per il sultano. Gli Usa pensano di far cadere il tabù e dare jet militari a Kiev.È il primo vero segnale di distensione che arriva dalla crisi ucraina. Ieri Kiev e Mosca hanno siglato a Istanbul un’intesa che, mediata da Turchia e Nazioni Unite, punta a sbloccare il grano attualmente stoccato nei porti ucraini. Per essere precisi, come sottolineato dal consigliere presidenziale ucraino Mykhailo Podolyak, si tratta di due accordi paralleli che Turchia e Onu hanno siglato rispettivamente con Ucraina e Russia. Se formalmente non si tratta quindi di un’intesa tra Mosca e Kiev, resta tuttavia il primo accordo (ancorché indiretto) tra i contendenti dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha affermato che l’intesa impedirà a miliardi di persone di dover affrontare il «pericolo della carestia». «Abbiamo svolto un intenso lavoro insieme alle Nazioni Unite e siamo stati in costante contatto con i rappresentanti di Russia e Ucraina», ha aggiunto, per poi proseguire: «Presto inizierà un nuovo flusso di spedizioni e questo porterà un sospiro di sollievo». Presente alla cerimonia della firma anche il segretario generale dell’Onu, António Guterres, che ha ringraziato il governo di Ankara per la sua «facilitazione e persistenza». Nel complesso, l’accordo si articola in vari punti. Secondo quanto rivelato da Reuters, prevede un «cessate il fuoco de facto per le navi» e l’istituzione di un centro di coordinamento congiunto con sede a Istanbul, che monitorerà il transito delle navi dal Mar Nero allo stretto del Bosforo. Da qui il grano sarà smistato sui mercati internazionali. La stessa fonte ha riportato che l’intesa entrerà in vigore tra poche settimane e che avrà una durata di 120 giorni con possibilità di rinnovo. A livello generale, si tratta di un indubbio passo avanti sul versante diplomatico. Tutto questo, sebbene la tensione resti considerevolmente alta. Il generale dell’aeronautica militare americana, Charles Q. Brown, ha recentemente aperto all’ipotesi di inviare all’Ucraina jet di realizzazione occidentale. Il Pentagono sta in questo senso valutando se avviare procedure di addestramento per i piloti ucraini: procedure che, se messe in atto, potrebbero tuttavia richiedere alcuni mesi. Washington si è mostrata finora restia a inviare caccia in sostegno di Kiev, temendo un’escalation: l’avanzata militare russa nel Donbass sta tuttavia portando alcuni pezzi dell’amministrazione di Joe Biden a riconsiderare questa posizione. Al momento, non sono comunque ancora state prese delle decisioni definitive sul tema. Dal canto suo, Vladimir Putin ha annunciato alcune settimane fa che potrebbe schierare già entro fine anno il nuovo Satan 2: missile balistico intercontinentale capace di trasportare oltre dieci testate nucleari e che ha una portata stimata tra le 6.200 e le 11.800 miglia. Non è chiaro se questa tensione potrà essere smorzata dall’accordo sul grano di ieri: un accordo che, al di là del processo diplomatico, avrà le sue principali ripercussioni sui Paesi del Medio Oriente e dell’Africa (le aree che, a causa della crisi alimentare, rischiano maggiormente sul piano umanitario e della stabilità politico migratoria). In tutto questo, si scorge un ulteriore fattore da sottolineare: la crescente centralità geopolitica che la Turchia sta riuscendo ad assumere. Oltre ai ringraziamenti dell’Onu, Ankara ha ottenuto, per questa intesa, anche l’apprezzamento - seppur cauto - degli Stati Uniti. «Accogliamo con favore l’annuncio di questo accordo in linea di principio, ma ciò su cui ci stiamo concentrando ora è ritenere la Russia responsabile per la sua attuazione», ha dichiarato il portavoce del Dipartimento di Stato americano Ned Price. Dall’altra parte, ieri, poche ore prima della firma, si è tenuto un incontro a Istanbul tra il ministro della Difesa turco, Hulusi Akar, e il suo omologo russo, Sergej Shoigu, presente in città - come il ministro delle Infrastrutture ucraino Oleksandr Kubrakov - per siglare gli accordi separati sul grano (in una cerimonia a cui ha partecipato pure il miliardario RomanAbramovich). Erdogan si è d’altronde ritagliato il ruolo di mediatore in considerazione degli ingenti interessi in ballo. La Turchia è un membro della Nato e vanta saldi rapporti con l’Ucraina. Dall’altra parte, il sultano si è progressivamente avvicinato al presidente russo. Non solo ha acquistato il controverso sistema missilistico S 400 ma è riuscito anche a mettere in piedi meccanismi di cooperazione su quei dossier rispetto a cui Ankara e Mosca nutrono interessi divergenti (si pensi alla Siria o alla Libia). È chiaro come, con la sua ben nota spregiudicatezza, Erdogan punti a massimizzare il proprio tornaconto geopolitico. Non solo la sua centralità è emersa martedì ai colloqui con Putin ed Ebrahim Raisi, ma la sua strategia è più complessa. Il sultano vuole rendersi indispensabile per chiunque, con l’obiettivo di mettere sotto pressione le sue controparti: lo abbiamo visto con il veto ricattatorio sull’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato e lo stiamo vedendo nei suoi attuali rapporti con il presidente russo. Erdogan sa che Putin ha bisogno di lui nel contesto della crisi ucraina. È proprio per questo che il sultano ha recentemente annunciato di voler intraprendere una nuova incursione militare in Siria, confidando nel fatto che, al netto dell’irritazione, il Cremlino non oserà opporsi in concreto. Il leader turco trae insomma la sua forza dal paradosso di essere riuscito a diventare indispensabile tanto per la Nato quanto per la Russia. La domanda è: fin quando sarà in grado di dare le carte?
Jose Mourinho (Getty Images)