2018-05-16
L'Italia vince il premio delle tasse dannose
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Il nostro fisco è tra i tre più pesanti d'Europa sullo «svapo». Siamo stati i primi nel 2014 a mettere imposte sui liquidi per sigaretta elettronica e ora il centro studi Epicenter boccia l'approccio paternalista del nostro Paese. Lo Stato ci rende meno liberi e allo stesso tempo colpisce quella che per la comunità scientifica è un'alternativa assai meno dannosa al tabacco combusto.Quando - e più capita, più capiterà - la Bestia è affamata, non guarda in faccia a nessuno. Capita, infatti, che l'Italia venga bocciata sulle politiche dello «svapo»: ventunesima su 30 Paesi europei analizzati (i 28 dell'Ue, più la Norvegia e la Svizzera). E a incidere maggiormente sulla performance negativa del nostro Paese è anzitutto l'eccessivo peso del fisco sul settore delle sigarette elettroniche. Nella classifica degli Stati che si distinguono per un approccio protezionista in maniera di «svapo» emersa dal Nanny state index, l'annuale report elaborato dall'European policy information center (Epicenter), il nostro Paese ha ricevuto il maggior punteggio, cioè il peggiore secondo i criteri dell'indice, proprio per la mole di tasse che colpiscono il settore. Venti punti. Come noi soltanto Svizzera e Norvegia, i due Paesi extra Ue. Poco sopra, con 19 punti, c'è il Portogallo, che nella classifica generale è ventiseiesimo. Il Paese in cui lo Stato ficca meno il naso nel settore del fumo elettronico (oltre che le mani nei portafogli dei suoi cittadini) è la Svezia. Seguono, a pari merito Repubblica Ceca, Germania, Paesi Bassi e Regno Unito. I peggiori sono, invece, Svizzera, Norvegia, Ungheria e Finlandia. Se in Italia le cose vanno male anzitutto per le tasse, risultati meno negativi si registrano invece per quanto riguarda la possibilità di utilizzare prodotti da «svapo» nei luoghi pubblici, i divieti sul prodotto e la pubblicità. Anche se, si legge nel rapporto, nel gennaio 2018 il governo «ha creato di fatto un monopolio di Stato per la vendita delle sigarette elettroniche, vietato le vendite transfrontaliere e proibito tutte le vendite online».La definizione nanny state fu coniata da Iain Macleod, esponente del Partito conservatore britannico e cancelliere (l'omologo del nostro ministro del Tesoro) di Sua Maestà nel 1970. Era il 1965, al governo c'erano i laburisti guidati dal premier Harold Wilson e Macleod era il cancelliere ombra, ossia il responsabile dell'Economia dell'opposizione. In un articolo pubblicato sullo Spectator, il settimanale di riferimento del mondo conservatore britannico, utilizzò l'espressione per attaccare le politiche paternalistiche del governo di sinistra sui trasporti. Più di recente, dai banchi dei conservatori britannici a Westminster, s'è alzata la voce del deputato Will Quince, che ha utilizzato la definizione per criticare la nuova tassa sulle bevande gassate e zuccherate. Un'imposta che, secondo la Bestia, dovrebbe disincentivare il consumo e proteggere i cittadini. Ma questo sembra piuttosto il modo per giustificare, in nome della salute dei britannici, nuove tasse e quindi altra benzina da bruciare nella macchina statale.Se oggi l'Italia è al ventunesimo posto su 30, il nostro Paese può vantare un triste record. Nel 2014 è stato il primo Stato in Europa a introdurre una tassazione sui liquidi da «svapo» per far fronte alla diminuzione delle entrate erariali derivanti dalle sigarette tradizionali. E la tassa negli anni ha conosciuto un aumento fino a quasi 0,40 euro a millilitro. Così facendo, lo Stato italiano ha limitato il settore del fumo elettronico riducendo il numero dei fumatori che hanno scelto le sigarette elettroniche. Peccato che la comunità scientifica sia ormai ampiamente concorde sul fatto che le sigarette elettroniche siano almeno del 95% meno dannose delle tradizionali. In questo modo non soltanto lo Stato italiano tassa ma lo fa contraddicendo il principio del nanny state, che giustifica le imposte in nome della salute dei suoi cittadini. Anzi, in Europa meno dello 0,5% di chi non ha mai fumato utilizza le sigarette elettroniche, e molti fumatori hanno scelto le e-cig come sostituito permanente del tabacco combusto. Non è un caso, quindi, se in un mercato di riferimento, come quello britannico, la percentuale di fumatori sia diminuita a ritmi particolarmente veloci dal 2012, anno in cui le sigarette elettroniche diventano definitivamente un prodotto di consumo ampiamente diffuso, dopo anni di stasi.Il report di Epicenter è un «ritratto molto fedele alla realtà» secondo Umberto Roccatti. Il presidente di Anafe, l'Associazione nazionale produttori fumo elettronico aderente a Confindustria, ha lanciato un appello alle forze politiche e al prossimo governo per invertire questa tendenza, «a cominciare anzitutto dal fattore fiscale ormai insostenibile per un settore capace di generare sviluppo economico e occupazionale, ma in grado anche di rappresentare una valida alternativa per la riduzione del rischio».