2024-08-18
Sull’energia la Ue tradisce i Trattati
Non garantisce la tenuta del sistema, non diversifica le fonti d’approvvigionamento e si è legata allo zar. Un suicidio che, con il Green deal, è causa della crisi industriale.Le ultime notizie relative al sabotaggio del gasdotto Nord Stream, con gli inquirenti tedeschi che ricercano un cittadino ucraino, mettono in luce ancora una volta il disastro energetico che l’Unione europea ha provocato.Un fallimento che parte da lontano, dalla creazione del mercato olandese del Title transfer facility, Ttf. Questo era un mercato regionale, creato nel 2003 dall’operatore Gasunie, in cui gli operatori si scambiavano quantità di gas all’ingrosso, grazie alla produzione di gas olandese, al gas dal Nord Europa e, in seguito, alla presenza di un grande terminale di rigassificazione.Nel tempo, la produzione di gas in Olanda è diminuita, ma il Ttf è stato spinto a diventare un riferimento di mercato per tutta Europa. Oggi, anche se il gas non transita fisicamente dall’Olanda, molti contratti, anche di lungo termine, hanno prezzi indicizzati alle quotazioni che si registrano ogni giorno sul Ttf.Perché questa scelta? Perché l’Ue voleva un proprio mercato interno del gas, con proprie dinamiche. Per fare questo, però, era necessario staccare i prezzi del gas dal petrolio e dal dollaro. Sino a che il Ttf non ha preso piede, infatti, i prezzi del gas erano costruiti con indicizzazioni a panieri di diversi tipi di petrolio, utilizzando medie dei prezzi sui tre, sei, nove o dodici mesi precedenti. Queste medie lunghe avevano il pregio di smorzare la volatilità e rendere prevedibili i prezzi, ma per Bruxelles avevano un difetto: essendo una consuetudine tra Paesi esportatori e compagnie, questi accordi bilaterali impedivano la creazione di una piazza europea e, soprattutto, erano in dollari. L’Unione voleva il proprio mercato spot e future, lo voleva finanziarizzato per dargli liquidità e lo voleva quotato in euro, per spingere la propria moneta.Quando vi è stata la crisi del gas a partire dal 2021, che non era di liquidità, in primis, ma di concentrazione dell’offerta, il mercato Ttf si è mostrato esposto e non ha resistito, portando al disastro dei prezzi cui abbiamo assistito. La concentrazione dell’offerta era il tallone d’Achille del mercato europeo. Il problema non era (e non è) che l’Europa deve importare gas: il problema è che l’Ue non ha diversificato le sue fonti quando era il momento di farlo.La vicenda del Nord Stream è emblematica. Per avere il Nord Stream, preteso a tutti i costi dalla Germania e da essa imposto in sede europea, l’Ue ha detto no a progetti alternativi che avrebbero consentito una diversificazione delle fonti e dunque un minore rischio geopolitico per tutti. Il gasdotto Galsi dall’Algeria è un esempio di diversificazione che avrebbe giovato a tutta l’Europa, ma per la Germania aveva due difetti: non era sotto il suo diretto controllo e favoriva l’Italia, primo Paese di approdo del gasdotto. Con l’avvio del gasdotto Nord Stream 1 che collegava la Russia direttamente alla Germania, invece, considerato che altri Paesi dell’Unione già importavano ingenti quantitativi di gas dalla stessa Russia, l’Unione si è trovata a dipendere dal gas di Vladimir Putin per oltre il 50% dei propri fabbisogni. Se non bastasse, il Nord Stream 2 avrebbe aumentato ancora tale dipendenza: se avviato, il Nord Stream 1+2 avrebbe portato in Germania 110 miliardi di metri cubi di gas all’anno, pari a quasi due volte l’intero consumo italiano, e avrebbe reso Putin il vero dominus dell’energia europea.A prescindere dal nome del fornitore (potrebbe anche essere San Marino o il Vaticano), una esposizione così enorme a una sola fonte è un suicidio. Infatti, alla prima turbativa abbiamo visto come è andata. La crisi del gas in Europa è stata innescata dalle tensioni sul Nord Stream 2. Il progetto era frenato da resistenze politiche atlantiche. Per indurre pressione sull’avvio del gasdotto, Gazprom, dall’aprile 2021, smette di vendere gas spot sul mercato europeo e non riempie gli stoccaggi di cui disponeva in Germania. Nell’autunno 2021 a Berlino qualcuno comincia ad accorgersi degli stoccaggi vuoti e nasce la prima ondata di rialzi. A dicembre 2021, a Nord Stream 2 ancora fermo, i prezzi erano già detonati e il resto è ormai storia. A seguito della crisi del gas, in Ue gli Stati sono intervenuti con sostegni per non meno di 800 miliardi di euro (stima Bruegel Institute), con esplosione dei debiti pubblici (di alcuni) e deindustrializzazione conclamata.Il disastro sul gas è solo un capitolo del racconto horror. L’altro grande capitolo è la transizione energetica. Dal dicembre 2019 l’Europa è prigioniera del Green deal, una quarantina tra direttive e regolamenti tesi ad azzerare l’uso degli idrocarburi per sostituirli con fonti rinnovabili e a elettrificare i consumi energetici. Una spinta che parte ancora dalla Germania, anche prima di quella data. Il risultato è che l’Europa sta arricchendo la Cina, patria delle auto elettriche e degli apparecchi industriali per la loro generazione (pannelli solari, pale eoliche). Gli incentivi necessari alle fonti rinnovabili ammontano in tutta Europa a centinaia di miliardi e pesano sui cittadini. L’aumento dei prezzi dell’energia conseguente alle incertezze sui mercati sta lentamente deindustrializzando il continente, dove la domanda di energia è in calo.La politica energetica degli ultimi 20 anni dell’Ue è un fallimento storico ed è nettamente contraria persino ai trattati europei. L’articolo 194 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea dice, infatti, che l’Ue deve innanzitutto garantire la sicurezza dell’approvvigionamento energetico: evidentemente non lo ha fatto.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)