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2024-09-14
Usiamo Sogin per il ritorno al nucleare
La vera sfida per l'Italia sarebbe impegnarsi nel nucleare (iStock)
Bruxelles prospetta nuovi tagli alle forniture del gas russo. Stop ai tubi che passano per l’Ucraina. Da chi ci forniremo? Quanto pagheremo. Domande che non hanno risposta, purtroppo. E nel frattempo la Commissione Ursula bis non indietreggia dal pallino rinnovabili. Eppure il mondo si spinge sempre di più nella direzione del nucleare.
Un recente report della «World nuclear association» spiega che in questo momento ci sono 60 centrali nucleari in costruzione e altre 110 sono progettate sulla carta. La Cina da sola ne cuba 70. Segue la Russia, l’India, la Corea, il Giappone. In Europa? La Gran Bretagna ne sta costruendo 2 e altri due sono in via di finanziamento. Poi tra Francia, Slovacchia, Ungheria, Polonia e Romania se ne possono contare soltanto nove. Di cui in costruzione una, quella francese. È una situazione assurda che andrebbe subito affrontata e ribaltata. L’Europa è in totale deficit energetico. Se non c’è controllo della filiera energetica non c’è futuro nemmeno per il manifatturiero. Un rapporto presentato da Snam e Rystad energy, già raccontata dalla Verità lancia l’allarme sulle forniture di metano: fra sei anni il mondo sarà in deficit per l’aumento dei consumi e gli scarsi investimenti. «I mercati globali del gas rimangono in uno stato di equilibrio fragile, con una crescita limitata dell’offerta mentre la domanda aumenta costantemente, con un incremento dell’1,5% nel 2023 e un’accelerazione prevista al 2,1% entro la fine del 2024». A tirare la locomotiva l’Asia, mentre il Nord America e il Medio Oriente sono in testa alle esportazioni. Se la domanda continuerà a rafforzarsi, il deficit sarà ancora più marcato. Per questo serve il nucleare.
L’energia che produce è a basso costo e ormai sicura. L’Italia nonostante le difficoltà dell’Europa dovrebbe non solo affrontare il tema concretamente (va detto che molte cose si stanno muovendo) e come primo passaggio dovrebbe creare un doppio binario. Uno tecnologico e l’altro pratico di approvvigionamento.
Il nucleare di quarta generazione è sulla bocca di molti. Il che è una ottima notizia. Significa che il nostro Paese si pone come player all’avanguardia. Basti pensare a Newcleo e alle sperimentazioni in atto che potrebbero garantire centrali su piattaforme offshore capaci di fornire tanta energia quanto 200 pale eoliche. Mancano le autorizzazioni e l’iter burocratico è tutto da costruire. Chiaramente puntare alle acque internazionali è una scelta molto intelligente. Nel frattempo però oltre a lavorare per la sovranità tecnologica non si dovrebbe escludere qualcosa di più veloce e immediato. Prima del nucleare di quarta generazione potremmo puntare a quello di terzo. Ci sono tecnologie anglosassoni, come quelle di Rolls Royce che ha già ricevuto le prime omologazioni per Smr. Alisa per smal modular reactor. In Italia, posto che andrebbero aggiornate le autorità in grado di certificare e omologare, abbiamo Sogin. L’azienda di Stato ha passato anni difficili, di inchieste e di ritardi. Ma dopo il referendum di quasi 40 anni fa, il legislatore di è concentrato sul decommissiong di ciò che è stato spento. Si tratta però della stessa tecnologia che si può usare per i reattori in uso. Non solo, si tratta degli stessi livelli di conoscenza dell’atomo imposti dagli organismi internazionali. Recentemente l’ad Gian Luca Artizzu ha vergato un intervento sulla rivista Formiche facendo la lista della tecnologia che l’azienda ha in pancia e soprattutto delle professionalità disponibili. Ci è sembrato un intervento più che opportuno. Basta pensare a Sogin con lo sguardo rivolto al passato. Adesso bisogna guardare avanti. E sarebbe il caso di rimetterla al centro del dibattito politico, universitario e di investimenti.
L’atomo di Stato esce dalle secche. Oltre alle dismissioni nuovi progetti
La nuova gestione di Sogin, la società statale specializzata nel decommissioning degli impianti nucleari italiani e nella gestione dei rifiuti radioattivi, funziona. Il 5 settembre scorso l’assemblea degli azionisti ha approvato il bilancio 2023, il primo del nuovo consiglio di amministrazione insediato nell’agosto scorso, guidato dal presidente Carlo Massagli e dall’amministratore delegato Gian Luca Artizzu. Il bilancio d’esercizio di Sogin chiude infatti con un utile pari a 1,2 milioni di euro (nel 2022 l’utile era un terzo in meno) mentre il valore della produzione si attesta a circa 212,9 milioni di euro, in diminuzione rispetto ai circa 276,9 milioni di euro realizzato nel 2022 che, tuttavia, presentava un dato eccezionale e non ricorrente dovuto alle attività legate alla gestione del ciclo del combustibile. L’Ebitda si attesta su circa 19,1 milioni di euro (nel 2022 era pari a 21,8 milioni di euro). Anche Nucleco, la società controllata del gruppo, chiude con un utile pari a 2,4 milioni di euro (- 0,51 milioni nel 2022) e il valore della produzione è pari a circa 39,8 milioni di euro, in aumento rispetto all’anno precedente (30,5 milioni nel 2022).
I risultati complessivi vedono, dunque, il gruppo Sogin (con l’aggiunta delle società controllate) ritornare all’utile di esercizio, pari a 3,6 milioni. Sono numeri che fanno ben sperare per il futuro di una società pubblica che potrebbe diventare strategica in questa fase di rilancio dell’energia nucleare da parte dell’esecutivo. Dopo gli anni della gestione Pd e Movimento 5 stelle, quindi, la società ricomincia a funzionare. Del resto gli ultimi anni erano stati molto problematici, tra indagini della Guardia di finanza e il commissariamento dell’ex presidente Luigi Perri e dell’ex amministratore delegato Emanuele Fontani, nominati ai tempi dell’ultimo governo Conte. Per di più il 2023 non è stato un anno semplice, dovuto al cambio di governance e anche a una nuova organizzazione interna. Ad aiutare è di sicuro la ripresa del settore, con nuovi sondaggi che dicono che gli italiani sarebbero favorevoli a un ritorno al nucleare. Secondo un sondaggio Swg della scorsa pimavera, quasi sei cittadini su dieci sarebbero a favore dell’implementazione delle nuove tecnologie nucleari in Italia. Per di più, per quanto riguarda le attività legate al Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi e al Parco tecnologico (Dnpt) a dicembre 2023 c’è stata la pubblicazione dell’elenco delle Aree idonee con conseguente decreto (a febbraio 2024) che ha introdotto la possibilità delle autocandidature. Sogin potrebbe insomma rappresentare un tassello importante in questo percorso di rilancio del nucleare italiano. «Sogin è una società ricca di preziose competenze tecniche da valorizzare, anche in vista del ritorno al nucleare in Italia», spiega a La Verità Giuseppe Zollino, professore di tecnica ed tconomia dell’Energia e di Impianti Nucleari, responsabile Energia e Ambiente di Azione. «Lo so per esperienza diretta, avendola presieduta ormai dieci anni fa. E per le prime linee all’altezza, sotto tutti i profili. Il bilancio tornato all’utile è un’ottima notizia». Anzi, aggiunge Zollino, «non è l’unica cosa da sottolineare. Senza entrare nei dettagli di quanto accaduto negli ultimi anni, credo sia da apprezzare e incoraggiare il meritorio impegno dell’attuale vertice nel ripulire e riorganizzare la società. Mi auguro che completino il processo al più presto. Non dimentichiamo infatti che è in capo a Sogin la fondamentale mission di progettare e costruire il Deposito nazionale per i rifiuti a bassa attività. Credo che una Sogin trasparente, affidabile e credibile sia condizione necessaria, certo non sufficiente, per centrare l’obiettivo», I numeri positivi non hanno scoraggiato il Partito democratico dall’attaccare il governo di centrodestra, accusando l’esecutivo Meloni di voler rilanciare il nucleare ma di non sapere «nemmeno a gestire in maniera seria ed efficace la messa insicurezza dei rifiuti radioattivi presenti attualmente nel nostro Paese», hanno scritto in una nota congiunta i dem Marco Simiani e Vinicio Peluffo, sostenendo che l’amministratore delegato fosse stato persino nominato nonostante presunte indagini a suo carico. Dichiarazioni che Sogin ha bollato come «assolutamente false» e «prive di ogni fondamento».
La società, infatti, ha voluto precisare come «l’amministratore delegato di Sogin non» fosse «affatto indagato al momento della sua nomina», ma che anzi «era stato» solo «sentito dalla Guardia di finanza in qualità di persona informata sui fatti relativi ad un procedimento che non lo riguardava, né risulta mai essere stato indagato». Ma soprattutto la società insiste sull’infondatezza delle accuse sulla mancata messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi, «come attestato da continui e costanti riconoscimenti da parte di organismi terzi di livello internazionale e nazionale e che occorre smentire con forza dato il carattere allarmistico delle stesse».
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Le tecnologie avanzate fanno passi da gigante, ma l’energia a basso costo serve subito. L’Italia dovrebbe tentare la via già rodata dei reattori di terza generazione. La società pubblica specializzata nel decommissioning degli impianti è a una svolta. Indagini della Guardia di finanza e commissariamento degli ex dirigenti alle spalle. Approvato il bilancio con un utile di 1,2 milioni.Lo speciale contiene due articoli Bruxelles prospetta nuovi tagli alle forniture del gas russo. Stop ai tubi che passano per l’Ucraina. Da chi ci forniremo? Quanto pagheremo. Domande che non hanno risposta, purtroppo. E nel frattempo la Commissione Ursula bis non indietreggia dal pallino rinnovabili. Eppure il mondo si spinge sempre di più nella direzione del nucleare. Un recente report della «World nuclear association» spiega che in questo momento ci sono 60 centrali nucleari in costruzione e altre 110 sono progettate sulla carta. La Cina da sola ne cuba 70. Segue la Russia, l’India, la Corea, il Giappone. In Europa? La Gran Bretagna ne sta costruendo 2 e altri due sono in via di finanziamento. Poi tra Francia, Slovacchia, Ungheria, Polonia e Romania se ne possono contare soltanto nove. Di cui in costruzione una, quella francese. È una situazione assurda che andrebbe subito affrontata e ribaltata. L’Europa è in totale deficit energetico. Se non c’è controllo della filiera energetica non c’è futuro nemmeno per il manifatturiero. Un rapporto presentato da Snam e Rystad energy, già raccontata dalla Verità lancia l’allarme sulle forniture di metano: fra sei anni il mondo sarà in deficit per l’aumento dei consumi e gli scarsi investimenti. «I mercati globali del gas rimangono in uno stato di equilibrio fragile, con una crescita limitata dell’offerta mentre la domanda aumenta costantemente, con un incremento dell’1,5% nel 2023 e un’accelerazione prevista al 2,1% entro la fine del 2024». A tirare la locomotiva l’Asia, mentre il Nord America e il Medio Oriente sono in testa alle esportazioni. Se la domanda continuerà a rafforzarsi, il deficit sarà ancora più marcato. Per questo serve il nucleare. L’energia che produce è a basso costo e ormai sicura. L’Italia nonostante le difficoltà dell’Europa dovrebbe non solo affrontare il tema concretamente (va detto che molte cose si stanno muovendo) e come primo passaggio dovrebbe creare un doppio binario. Uno tecnologico e l’altro pratico di approvvigionamento. Il nucleare di quarta generazione è sulla bocca di molti. Il che è una ottima notizia. Significa che il nostro Paese si pone come player all’avanguardia. Basti pensare a Newcleo e alle sperimentazioni in atto che potrebbero garantire centrali su piattaforme offshore capaci di fornire tanta energia quanto 200 pale eoliche. Mancano le autorizzazioni e l’iter burocratico è tutto da costruire. Chiaramente puntare alle acque internazionali è una scelta molto intelligente. Nel frattempo però oltre a lavorare per la sovranità tecnologica non si dovrebbe escludere qualcosa di più veloce e immediato. Prima del nucleare di quarta generazione potremmo puntare a quello di terzo. Ci sono tecnologie anglosassoni, come quelle di Rolls Royce che ha già ricevuto le prime omologazioni per Smr. Alisa per smal modular reactor. In Italia, posto che andrebbero aggiornate le autorità in grado di certificare e omologare, abbiamo Sogin. L’azienda di Stato ha passato anni difficili, di inchieste e di ritardi. Ma dopo il referendum di quasi 40 anni fa, il legislatore di è concentrato sul decommissiong di ciò che è stato spento. Si tratta però della stessa tecnologia che si può usare per i reattori in uso. Non solo, si tratta degli stessi livelli di conoscenza dell’atomo imposti dagli organismi internazionali. Recentemente l’ad Gian Luca Artizzu ha vergato un intervento sulla rivista Formiche facendo la lista della tecnologia che l’azienda ha in pancia e soprattutto delle professionalità disponibili. Ci è sembrato un intervento più che opportuno. Basta pensare a Sogin con lo sguardo rivolto al passato. Adesso bisogna guardare avanti. E sarebbe il caso di rimetterla al centro del dibattito politico, universitario e di investimenti. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/energia-nucleare-italia-2669203234.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="latomo-di-stato-esce-dalle-secche-oltre-alle-dismissioni-nuovi-progetti" data-post-id="2669203234" data-published-at="1726271242" data-use-pagination="False"> L’atomo di Stato esce dalle secche. Oltre alle dismissioni nuovi progetti La nuova gestione di Sogin, la società statale specializzata nel decommissioning degli impianti nucleari italiani e nella gestione dei rifiuti radioattivi, funziona. Il 5 settembre scorso l’assemblea degli azionisti ha approvato il bilancio 2023, il primo del nuovo consiglio di amministrazione insediato nell’agosto scorso, guidato dal presidente Carlo Massagli e dall’amministratore delegato Gian Luca Artizzu. Il bilancio d’esercizio di Sogin chiude infatti con un utile pari a 1,2 milioni di euro (nel 2022 l’utile era un terzo in meno) mentre il valore della produzione si attesta a circa 212,9 milioni di euro, in diminuzione rispetto ai circa 276,9 milioni di euro realizzato nel 2022 che, tuttavia, presentava un dato eccezionale e non ricorrente dovuto alle attività legate alla gestione del ciclo del combustibile. L’Ebitda si attesta su circa 19,1 milioni di euro (nel 2022 era pari a 21,8 milioni di euro). Anche Nucleco, la società controllata del gruppo, chiude con un utile pari a 2,4 milioni di euro (- 0,51 milioni nel 2022) e il valore della produzione è pari a circa 39,8 milioni di euro, in aumento rispetto all’anno precedente (30,5 milioni nel 2022). I risultati complessivi vedono, dunque, il gruppo Sogin (con l’aggiunta delle società controllate) ritornare all’utile di esercizio, pari a 3,6 milioni. Sono numeri che fanno ben sperare per il futuro di una società pubblica che potrebbe diventare strategica in questa fase di rilancio dell’energia nucleare da parte dell’esecutivo. Dopo gli anni della gestione Pd e Movimento 5 stelle, quindi, la società ricomincia a funzionare. Del resto gli ultimi anni erano stati molto problematici, tra indagini della Guardia di finanza e il commissariamento dell’ex presidente Luigi Perri e dell’ex amministratore delegato Emanuele Fontani, nominati ai tempi dell’ultimo governo Conte. Per di più il 2023 non è stato un anno semplice, dovuto al cambio di governance e anche a una nuova organizzazione interna. Ad aiutare è di sicuro la ripresa del settore, con nuovi sondaggi che dicono che gli italiani sarebbero favorevoli a un ritorno al nucleare. Secondo un sondaggio Swg della scorsa pimavera, quasi sei cittadini su dieci sarebbero a favore dell’implementazione delle nuove tecnologie nucleari in Italia. Per di più, per quanto riguarda le attività legate al Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi e al Parco tecnologico (Dnpt) a dicembre 2023 c’è stata la pubblicazione dell’elenco delle Aree idonee con conseguente decreto (a febbraio 2024) che ha introdotto la possibilità delle autocandidature. Sogin potrebbe insomma rappresentare un tassello importante in questo percorso di rilancio del nucleare italiano. «Sogin è una società ricca di preziose competenze tecniche da valorizzare, anche in vista del ritorno al nucleare in Italia», spiega a La Verità Giuseppe Zollino, professore di tecnica ed tconomia dell’Energia e di Impianti Nucleari, responsabile Energia e Ambiente di Azione. «Lo so per esperienza diretta, avendola presieduta ormai dieci anni fa. E per le prime linee all’altezza, sotto tutti i profili. Il bilancio tornato all’utile è un’ottima notizia». Anzi, aggiunge Zollino, «non è l’unica cosa da sottolineare. Senza entrare nei dettagli di quanto accaduto negli ultimi anni, credo sia da apprezzare e incoraggiare il meritorio impegno dell’attuale vertice nel ripulire e riorganizzare la società. Mi auguro che completino il processo al più presto. Non dimentichiamo infatti che è in capo a Sogin la fondamentale mission di progettare e costruire il Deposito nazionale per i rifiuti a bassa attività. Credo che una Sogin trasparente, affidabile e credibile sia condizione necessaria, certo non sufficiente, per centrare l’obiettivo», I numeri positivi non hanno scoraggiato il Partito democratico dall’attaccare il governo di centrodestra, accusando l’esecutivo Meloni di voler rilanciare il nucleare ma di non sapere «nemmeno a gestire in maniera seria ed efficace la messa insicurezza dei rifiuti radioattivi presenti attualmente nel nostro Paese», hanno scritto in una nota congiunta i dem Marco Simiani e Vinicio Peluffo, sostenendo che l’amministratore delegato fosse stato persino nominato nonostante presunte indagini a suo carico. Dichiarazioni che Sogin ha bollato come «assolutamente false» e «prive di ogni fondamento». La società, infatti, ha voluto precisare come «l’amministratore delegato di Sogin non» fosse «affatto indagato al momento della sua nomina», ma che anzi «era stato» solo «sentito dalla Guardia di finanza in qualità di persona informata sui fatti relativi ad un procedimento che non lo riguardava, né risulta mai essere stato indagato». Ma soprattutto la società insiste sull’infondatezza delle accuse sulla mancata messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi, «come attestato da continui e costanti riconoscimenti da parte di organismi terzi di livello internazionale e nazionale e che occorre smentire con forza dato il carattere allarmistico delle stesse».
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Il Gourmet Bus è un progetto di Enit Spa dedicato alla cucina italiana e alle eccellenze del Made in Italy. La prima tappa del bus, che ha coinvolto circa 430 partecipanti tra istituzioni ed esperti del settore accolti dai miglior chef italiani, è stata Parigi, a seguire Bruxelles, Londra, Berlino, Stoccolma, Monaco e Vienna. L’altroieri è arrivato a Roma mettendo in vetrina la nostra cucina e le tipicità regionali attraverso degustazioni a bordo, seguendo un percorso panoramico e un’esperienza itinerante di enogastronomia e cultura.
«Roma è la tappa simbolica di un percorso che celebra la nostra tradizione. Ribadiamo così il valore universale delle nostre eccellenze, espressioni dell’identità nazionale. Iniziative come questa di Enit sono fondamentali per rafforzare il legame tra tradizione e innovazione», ha proseguito Santanchè. Secondo Ivana Jelinic, ad di Enit che ha lanciato l’iniziativa, «il turismo enogastronomico negli ultimi anni è diventato un vero traino. I viaggiatori internazionali sono disposti a investire per scoprire le tipicità italiane, creando valore, occupazione e crescita economica a beneficio delle comunità locali. Il Bus Gourmet Italia è nato proprio con la volontà di esportare le eccellenze Made in Italy nel mondo».
In effetti, nel 2024 il mercato globale della ristorazione italiana ha raggiunto un valore pari a 251 miliardi di euro, corrispondente al 19% del mercato mondiale della ristorazione. Nello stesso anno i soggiorni motivati dall’interesse per cibo e vino sono cresciuti del 176% rispetto agli anni precedenti. L’enogastronomia è dunque un fattore decisivo nella scelta dell’Italia come destinazione turistica internazionale: Enit ha rilevato circa 2,4 milioni di presenze riconducibili al turismo enogastronomico. Quanto all’impatto economico diretto, la spesa dei turisti stranieri per esperienze, prodotti e servizi legati al food & wine tourism è stimata in 363 milioni di euro e l’export agroalimentare ha raggiunto il record storico di 69,1 miliardi di euro, segnando una crescita dell’8% rispetto all’anno precedente. Con buona pace dei francesi? «Rispetto alla Francia che non ha tantissime destinazione turistiche, noi siamo l’Italia dagli ottomila campanili, abbiamo le aree interne, le isole più belle, i 5.600 borghi dove si produce il 95% delle nostre eccellenze enogastronomiche», ha spiegato Santanchè. «Sa qual è la differenza tra l’Italia e la Francia? I francesi. Perché i francesi si stringono sempre intorno alla loro bandiera, non parlano mai male della loro nazione: dovremmo farlo anche noi. Io un po’ li invidio».
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L’allarme sul nuovo capitolo - quello che riguarda le bottiglie da spumante o da vini da invecchiare e l’olio extravergine d’oliva (che teme come la peste la luce del sole) - è stato lanciato dal presidente del Coreve, il consorzio italiano per il riciclo del vetro che detiene il record europeo, con l’81% di vetro «circolare», pari a 2,1 milioni di tonnellate nel 2024 (ben sei punti sopra le quote massime richieste da Bruxelles). Che dice: vogliono cancellare le bottiglie scure per il Prosecco. Spiega il presidente Gianni Scotti che tutto nasce dall’idea di Germania e Danimarca d’imporre in Ue solo le bottiglie da birra. S’attaccano al fatto che i lettori ottici, quando devono selezionare una bottiglia scura, la scambiano per ceramica e non la mandano alla fusione, abbassando il tetto delle quantità riciclate. «Abbiamo dimostrato», spiega Scotti, che le nostre macchine arrivano a scartare meno dell’1% del vetro. Speriamo di convincere l’Europa che le indicazioni che vengono da loro sono obsolete». E anche Assovetro, il cui presidente è Marco Ravasi e che usa il rottame di vetro, si dice preoccupata per la piega che sta prendendo Bruxelless. La speranza è l’ultima dea, ma la concorrenza interna all’Ue può molto di più. Gli attacchi al vino da parte dei Paesi del Nord, che lamentano il fatto che sulla birra c’è una (minima) accisa e sul vino no, si ripetono a ondate. Prima l’Irlanda ha imposto le etichette con scritto «il vino fa male», violando i trattati, ma Ursula von der Leyen ha dato loro ragione; poi la Commissione ha approvato il Beca (documento anti cancro che deve passare dall’Eurocamera) per ipertassare il vino, restringerne la vendita e abolirne la promozione; ora si passa dal vetro. Tutto a danno dei Paesi mediterranei, ignorando che in premessa, nel regolamento sugli imballaggi, c’è scritto: «Imballaggi appropriati sono indispensabili per proteggere i prodotti».
Senza bottiglie scure non si può fare la rifermentazione in bottiglia. Solo Cristal in Champagne usa bottiglie bianche, ma tenute al buio. Lo stesso vale per il metodo classico italiano (sempre di rifermentazione in bottiglia si parla), ma anche per gli spumanti fatti in autoclave (il Prosecco appunto). Per avere un’idea, s’imbottigliano 300 milioni di Champagne, gli italiani tappano un miliardo di bottiglie, gli spagnoli 250 milioni. Va bene solo ai tedeschi che fanno tante bollicine ma così leggere che, comunque, non passerebbero l’anno e dunque non hanno bisogno di protezione dal sole, né di contenere le pressioni di rifermentazione. Il caso dei vetri confermerà invece agli inglesi che la Brexit è stata una mano santa. Sono i più forti consumatori di spumanti al mondo, ma sono anche coloro i quali li hanno resi possibile e ora ne producono di ottimi (ad esempio Bolney).
Il metodo di rifermentazione fu codificato da due marchigiani: Andrea Bacci (De naturalis vinorum historia del 1599) e Francesco Scacchi (1622, De Salubri potu dissertatio) mettono a punto la tecnica, tant’è che si potrebbe parale di un metodo Scacchi. Dom Pierre Pérignon arriva sessant’anni dopo. Ma i due italiani hanno un limite: le bottiglie di vetro soffiato scoppiano. In rifermentazione si arriva fino a 6 atmosfere di pressione. Però nel 1652 sir Kelem Digby cambiò tutto. Giorgio I aveva impedito di tagliare alberi per alimentare i forni vetrai, cosi Digby usò il carbone. Questo gli consentì di alzare le fusioni e mescolare carbonio alla pasta vitrea: nacque l’iper-resistente «English Bottle». Gli inglesi, primi clienti dei vini francesi, fecero con il vetro la fortuna dello Champagne. E questo spiega perché le bottiglie sono pesanti e scure (fino a 9 etti per il metodo classico, 700 grammi quelle da Prosecco, mezzo chilo quelle da vino, anche se l’italiana Verallia ha prodotto la Borgne Aire di soli tre etti). Ma l’Europa non lo sa o fa finta. Perché attraverso le bottiglie (produrre un chilo di vetro vergine vale 500 grammi di CO2, ma nel 2024 l’Italia col riciclo ha risparmiato quasi 1 milione di tonnellate di anidride carbonica, 358.000 tonnellate di petrolio e 3,8 milioni tonnellate di materiali) ha capito che può frenare la crescita di alcuni Paesi. Solo che ora dovranno spiegarlo ai vigneron francesi, che da mesi protestano e hanno già estirpato 12.000 ettari di vigna. Ci sta che a Bruxelles dalle cantine arrivi un messaggio in bottiglia: o lasciate perdere, o i trattori che il 18 stanno per circondare palazzo Berlaymont sono solo un aperitivo.
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Maurizio Gasparri (Ansa)
Sono le 20.30, Andrea finisce il suo turno e sale negli spogliatoi, al piano superiore, per cambiarsi. Scendendo dalle scale si trova davanti ad un uomo armato che, forse in preda al panico, apre il fuoco. La pallottola gli buca la testa, da parte a parte, ma invece di ucciderlo lo manda in coma per mesi, riducendolo a un vegetale. La sua vita e quella dei suoi genitori si ferma quel giorno.
Lo Stato si dimentica di loro. Le indagini si concludono con un nulla di fatto. Non solo non hanno mai trovato chi ha sparato ma neppure il proiettile e la pistola da dove è partito il colpo. Questo perché in quel supermercato le telecamere non erano in funzione. Nel 2018 archiviano il caso. E rinvio dopo rinvio non è ancora stato riconosciuto alla famiglia alcun risarcimento in sede civile. Oggi Andrea ha 35 anni e forse neppure lo sa, ha bisogno di tutto, è immobile, si nutre con un sondino, passa le sue giornate tra il letto e la carrozzina. Per assisterlo, al mattino, la famiglia paga due persone. Hanno dovuto installare un ascensore in casa. E ricevono solo un indennizzo Inail che appena gli consente di provvedere alle cure.
Il senatore di Forza Italia, Maurizio Gasparri, membro della commissione Giustizia del Senato, è sconcertato: «Sono profondamente indignato per quanto accaduto a questa famiglia, Andrea e i suoi genitori meritano la giustizia che fino ad oggi gli è stata negata da lungaggini e burocrazia. Non si capisce il motivo di così tanti rinvii. Almeno si giunga a una sentenza e che Andrea abbia il risarcimento che merita dall’assicurazione. Anche il datore di lavoro ha le sue responsabilità e non possono non essere riconosciute dai giudici».
Il collega senatore di Forza Italia, nonché avvocato, Pierantonio Zanettin, anche lui membro della stessa commissione, propone «che lo Stato si faccia carico di un provvedimento ad hoc di solidarietà se la causa venisse persa. È patologico che ci siano tutti questi rinvii. Bisognerebbe capire cosa c’è sotto. Ci devono spiegare le ragioni. Comunque io mi metto a disposizione della famiglia e del legale. La giustizia ha l’obbligo di rispondere».
Ogni volta l’inizio del processo si sposta di sei mesi in sei mesi, quando va bene. L’ultima beffa qualche giorno fa quando la Corte d’Appello calendarizza un altro rinvio. L’avvocato della famiglia, Matteo Mion, non sa darsi una ragione: «Il motivo formale di tutti questi rinvii è il carico di lavoro che hanno nei tribunali, ma io credo più nell’inefficienza che nei complotti. In primo grado era il tribunale di Padova, adesso siamo in Corte di Appello a Venezia. Senza spiegazioni arriva una pec che ci informa dell’ennesimo rinvio. Ormai non li conto più. L’ultima volta il 4 dicembre, rinviati all’11 giugno 2026. La situazione è ingessata, non puoi che prenderne atto e masticare amaro».
In primo grado, il giudice Roberto Beghini, prova addirittura a negare che Andrea avesse diritto a un indennizzo Inail, sostenendo che quello non fosse un infortunio sul lavoro. Poi sentenzia che non c’è alcuna connessione, nemmeno indiretta, tra quanto successo ad Andrea e l’attività lavorativa che stava svolgendo, in quanto aveva già timbrato il cartellino, era quindi fuori dall’orario di lavoro, non era stata sottratta merce dal supermercato, né il ragazzo era stato rapinato personalmente. Per lui non è stata una rapina finita male. Nessuna merce sottratta, nessuna rapina. Il giudice Beghini insinua addirittura che potrebbe essere stato un regolamento di conti. Solo congetture, nessuna prova, nulla che possa far sospettare che qualcuno volesse fare del male al ragazzo. Giusto giovedì sera, alle 19.30, in un altro Prix market, stavolta a Bagnoli di Sopra (Padova), due banditi hanno messo a segno una rapina armati di pistola. Anche stavolta non c’erano le telecamere. Ed è il quarto colpo in nove giorni.
Ciò che è certo in questa storia è che il crimine è avvenuto all’interno del posto di lavoro dove Andrea era assunto, le telecamere erano spente e chi ha sparato è entrato dal retro dell’edificio attraverso un ingresso lasciato aperto. In un Paese normale i titolari del Prix, se non delle colpe dirette, avrebbero senz’altro delle responsabilità. «L’aspetto principale è l’assenza di misure di sicurezza del supermercato», conclude Mion, «che avrebbero tutelato il personale e che avrebbero consentito con buona probabilità di sapere chi ha sparato. C’è una responsabilità della sentenza primo grado, a mio avviso molto modesta».
Per il deputato di Forza Italia, Enrico Costa, ex viceministro della Giustizia e oggi membro della commissione Giustizia della Camera, «ancora una volta giustizia non è fatta. Il responsabile di quell’atto non è stato trovato, abbiamo un ragazzo con una lesione permanente e una famiglia disperata alla quale è cambiata la vita da un momento all’altro. È loro diritto avere un risarcimento e ottenere giustizia».
L’assicurazione della Prix Quality Spa, tace e si rifiuta di pagare. Sapete quanto hanno offerto ad Andrea? Cinquantamila euro. Ecco quanto vale la vita di un ragazzo.
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Beppe Sala (Ansa)
«Il Comune di Milano ha premiato la Cgil con l’Ambrogino, la più importante benemerenza civica. Quello che vorremmo capire è perché lo stesso riconoscimento non sia stato assegnato anche alla Cisl. O alla Uil. Insomma, a tutto il movimento sindacale confederale», afferma Abimelech. Il segretario della Cisl richiama il peso organizzativo del sindacato sul territorio e il ruolo svolto nei luoghi di lavoro e nei servizi ai cittadini: «È una risposta che dobbiamo ai nostri 185.000 iscritti, ai delegati e alle delegate che si impegnano quotidianamente nelle aziende e negli uffici pubblici, alle tantissime persone che si rivolgono ai nostri sportelli diffusi in tutta l’area metropolitana per chiedere di essere tutelate e assistite».
Nel merito delle motivazioni che hanno accompagnato il riconoscimento alla Cgil, Abimelech solleva una serie di interrogativi sul mancato coinvolgimento delle altre sigle confederali. «Abbiamo letto le motivazioni del premio alla Cgil e allora ci chiediamo: la Cisl non è un presidio democratico e di sostegno a lavoratori e lavoratrici? Non è interlocutrice cruciale per istituzioni e imprese, impegnata nel tutelare qualità del lavoro, salute pubblica e futuro del territorio?», dichiara.
Il segretario generale elenca le attività svolte dal sindacato sul piano dei servizi e della rappresentanza: «Non offre servizi essenziali, dai Caf al Patronato, agli sportelli legali? Non promuove modelli di sviluppo equi, sostenibili e inclusivi? Non è vitale il suo ruolo nel dibattito sulle dinamiche della politica economica e industriale?».
Nella dichiarazione trova spazio anche il recente trasferimento della sede della sigla milanese. «In queste settimane la Cisl ha lasciato la sua “casa” storica di via Tadino 23, inaugurata nel 1961 dall’arcivescovo Giovanni Battisti Montini, il futuro Papa Paolo VI, per trasferirsi in una più grande e funzionale in via Valassina 22», ricorda Abimelech, sottolineando le ragioni dell’operazione: «Lo ha fatto proprio per migliorare il suo ruolo di servizio e tutela per i cittadini e gli iscritti».
La presa di posizione si chiude con un interrogativo rivolto direttamente all’amministrazione comunale: «Dobbiamo pensare che per il Comune di Milano ci siano sindacati di serie A e di serie B? Dobbiamo pensare che per il Comune di Milano ci siano sindacati amici e nemici?». Al sindaco Sala non resta che conferire con Abimelech e metterlo a parte delle risposte ai suoi interrogativi.
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