- Tutti gli errori del governo: bonus e incentivi non toccano i prezzi, rimasti i più alti d’Europa. Stanziati 50 miliardi per l’idrogeno senza riaprire i pozzi di gas nazionale lasciati inutilizzati da anni.
- Il ministro Roberto Cingolani ha promesso che una di queste navi sarà pronta in primavera, ma non si sa ancora dove verrà collocata e mancano quindi tutte le autorizzazioni. Per Snam un conto da 350 milioni di dollari.
Tutti gli errori del governo: bonus e incentivi non toccano i prezzi, rimasti i più alti d’Europa. Stanziati 50 miliardi per l’idrogeno senza riaprire i pozzi di gas nazionale lasciati inutilizzati da anni.Il ministro Roberto Cingolani ha promesso che una di queste navi sarà pronta in primavera, ma non si sa ancora dove verrà collocata e mancano quindi tutte le autorizzazioni. Per Snam un conto da 350 milioni di dollari.Lo speciale contiene due articoliOggi in Italia una persona su quattro non riesce a pagare le bollette. Gli insoluti stanno aumentando giorno dopo giorno e, come se non bastasse, i distacchi per morosità sono cresciuti del 49,4% nel bimestre marzo - aprile. Uno scenario drammatico. E il governo in tutto questo cosa fa? Tanti decreti, agevolazioni, bonus, e tagli. Purtroppo senza alcun risultato. Il famoso decreto Bollette avrebbe dovuto salvare l’Italia dal lockdown energetico e dal crollo della nostra economia: al contrario, al 31 maggio l’Italia è la nazione europea con il più alto costo dell’energia. Nel nostro Paese la media è di 230,06 euro al megawattora (MWh), cifra che ci consegna una triste medaglia d’oro tra i campioni dell’energia a caro prezzo. La Germania che non ha intenzione di rinunciare al gas russo ha un costo dell’energia di 177,48 euro al MWh, la Francia - dove il nucleare fa da padrone - 197,43, in Gran Bretagna addirittura si arriva a 150,03.C’è da chiedersi a cosa sia servito prorogare anche per il terzo trimestre di questo 2022 il potenziamento del bonus su elettricità e gas. Oppure come mai gli oneri azzerati e il taglio dell’Iva fino al 30 giugno prossimo non abbiano prodotto alcun calo dei costi per famiglie e imprese. E ancora, potremmo domandarci che senso abbia estendere (sempre fino al 30 giugno) la rateizzazione delle bollette energetiche per le famiglie in difficoltà. Le toppe che sta mettendo il governo sono peggio dei buchi. La conferma che gli interventi «sartoriali» del nostro governo siano insufficienti arriva proprio dai numeri relativi al costo dell’energia. Abbiamo chiuso il mese di Maggio con un +16,5% rispetto alla Francia, un +22,9% rispetto alla Spagna, un +29,6% rispetto alla Germania e addirittura un +53,3% rispetto alla Gran Bretagna.Secondo le stime (da incubo) fatte da Arera, l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente, tra il 1° luglio 2021 e il 30 giugno 2022, il costo della bolletta elettrica di una famiglia media è stato di 948 euro, con un incremento record dell’83% rispetto ai 12 mesi equivalenti dell’anno precedente. Una stangata arrivata anche per la bolletta del gas: qui la spesa è stata di 1.652 euro, con un +71%.E viene da sorridere nell’ascoltare il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, che in un’audizione alle commissioni Bilancio e Finanze della Camera ha affermato: «Il governo è pronto a intervenire di nuovo, tempestivamente, per fronteggiare in maniera incisiva le ricadute che il deterioramento dell’attività economica, conseguente allo shock del conflitto russo ucraino, sta provocando su imprese e famiglie». Nemmeno l’altro grande problema degli italiani, ovvero il costo della benzina, è stato disinnescato. Il poco fatto non è servito. Nonostante il tanto decantato taglio delle accise di 25 centesimi sui carburanti - prima fino al 22 marzo, poi fino all’8 luglio -, la benzina hadi nuovo superato i 2 euro al litro, il Gpl va da 0,833 a 0,851 euro al litro e il prezzo medio del metano si colloca tra 1,720 e 1,931.La Germania, così come altre nazioni, ha detto chiaramente che non è in grado di fermare i flussi di gas russo, al cui stop seguirebbe il tracollo del sistema industriale. In Italia, invece, è prevalsa la propaganda rassicurante di far credere che si potesse facilmente sostituire il gas e il petrolio russo garantendo la continuità degli approvvigionamenti. Il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani ha più volte affermato che l’Italia in pochi mesi sarebbe stata in grado di rinunciare completamente al gas russo. L’ultima dichiarazione è di pochi giorni fa: «Nel secondo semestre del 2024 dovremmo essere in grado di poter dire: non prendiamo gas dalla Russia» in virtù del fatto che «sono stati siglati accordi con sei stati africani per circa 25 miliardi di metri cubi che vanno a rimpiazzare i 29-30 russi». Purtroppo le cose non sembrano essere così. In Algeria, ad esempio, non abbiamo registrato alcuna dichiarazione formale che impegni le autorità locali a fornirci volumi aggiuntivi di gas in tempi definiti e a prezzi in linea con quelli attuali. In Angola non ci sono giacimenti di gas. In Mozambico c’è un grande giacimento scoperto da Eni ma i lavori non procedeno come previsto. Quanto al Congo, i dati disponibili non mostrano l’esistenza di riserve certificate che possano garantire una produzione importante e duratura nel tempo e men che mai esportazioni di un certo rilievo verso l’Italia.Questi sono fatti noti, ma di essi si preferisce non parlare. Dire di aver trovato fonti alternative serve forse a tranquillizzare l’opinione pubblica, probabilmente nella convinzione che questa crisi rientrerà presto e che tutto tornerà come prima. Ma in realtà, a oggi, nulla è stato fatto di concreto per avviare un reale piano energetico alternativo. Nessuno, poi, ha avuto il coraggio di spiegare agli italiani che i contratti per la fornitura del gas, come quello con la Russia, sono «take or pay», vale a dire il gas si paga sia che lo ritiri sia che non lo ritiri. Se dovessimo interrompere, unilateralmente, i flussi di gas russo per sostituirlo con altro proveniente non si sa da dove, dovremmo comunque pagare quello russo più quello, cinque volte più caro, proveniente da altre aree geografiche. Con conseguente aumento delle bollette. Una soluzione ci sarebbe davvero per iniziare a rinunciare al gas russo e raggiungere l’indipendenza energetica che farebbe risparmiare gli italiani: riaprire i giacimenti di gas produttivi nel territorio nazionale superando i vincoli regolamentari imposti nell’ultimo decennio e che hanno ridotto drasticamente la produzione. Sono 752 i pozzi del gas inattivi ma produttivi presenti su tutto il nostro territorio. L’Italia ha enormi riserve di gas e petrolio in Adriatico, Basilicata e Sicilia. In passato, la produzione di gas nazionale superava i 21 miliardi di metri cubi all’anno. Oggi non arriviamo a 3,5 miliardi. Ma di riprendere la produzione nazionale a pieno regime, inspiegabilmente si evita di parlare. Non si ipotizza nemmeno di rilanciare lo sviluppo delle nostre fonti energetiche. Si è lavorato a un piano straordinario da 24 miliardi di euro per costruire rigassificatori, che consentiranno di importare gas liquefatto, molto più costoso e inquinante (con la tecnologia Gnl, il 30% del gas prodotto viene scaricato in atmosfera). Addirittura il nostro governo ha da poco stanziato la bellezza di 50 miliardi di euro per la ricerca e la produzione di energia derivante da idrogeno. Come se non bastasse, il Piano della transizione energetica sostenibile delle aree idonee, dove è presente questa montagna di soldi, conferma e rafforza i vincoli alla ricerca e produzione di idrocarburi in Italia.Se dobbiamo far fronte a emergenze energetiche nazionali dobbiamo avere la forza di affrontare una battaglia culturale e sociale per superare i contrasti del passato. D’altronde, la stessa battaglia andrà fatta anche per l’installazione dei rigassificatori e qualunque altra infrastruttura energetica: tanto vale farla per la madre di tutte le battaglie. Il nostro gas è quello a più basso costo rispetto a qualunque altra alternativa. Aggiungiamo le positive ricadute sul sistema delle imprese italiane coinvolte nella ricerca e produzione. Il Gnl, dev’essere chiaro, è il più costoso e il più soggetto alla competizione internazionale, per cui sia il prezzo sia la disponibilità potrebbero essere poco affidabili. Il sistema istituzionale italiano ha il dovere di comprendere tutto questo. Solo così si potrà evitare di far pagare agli italiani costi altissimi. Altrimenti qualcuno dovrà spiegare agli italiani perché ci siano 24 miliardi di euro a disposizione per la costruzione di rigassificatori, 50 miliardi per la ricerca e lo sfruttamento dell’idrogeno e nemmeno un euro di investimento per la produzione nazionale del gas. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/energia-la-toppa-italiana-e-peggio-del-buco-2657496482.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-flop-dei-rigassificatori-galleggianti-costano-tanto-e-non-risolvono-niente" data-post-id="2657496482" data-published-at="1655041149" data-use-pagination="False"> Il flop dei rigassificatori galleggianti. Costano tanto e non risolvono niente È stata presentata come la nave che salverà l’Italia dal freddo, peccato che non sappiamo dove metterla e come usarla. Questo gigante dei mari, 192 metri di lunghezza, si chiama Golar Tundra ed è la prima delle due navi rigassificatrici che il nostro Paese ha acquistato per iniziare a svincolarsi dal gas russo. Costruita nel 2015, ha una capacità di stoccaggio di circa 170.000 metri cubi di Gnl e una capacità di rigassificazione di 5 miliardi di metri cubi l’anno. Sono 350 i milioni di dollari (circa 330 milioni di euro) versati da Snam a Golar Lng Limited per acquisire il 100% di questa Fsru (nave di stoccaggio e rigassificazione). Che a oggi, tuttavia, non ha un porto dove andare. «Si prevede che la nave possa iniziare l’attività nel corso della primavera 2023», ha fatto sapere in una nota Snam, ma purtroppo la realtà è molto diversa. Il ruolo della nuova Fsru a beneficio del Paese sarà essenziale: da sola potrà contribuire a circa il 6,5% del fabbisogno, portando la capacità di rigassificazione italiana a oltre il 25% della domanda. I problemi però sono davvero tanti. Il primo è che nessuno sa dove metterla: si parla di Ravenna, l’alternativa è Piombino, ma i fatti dicono che nessuna di queste due località sembra pronta per accogliere la nave. I due commissari straordinari nominati dal governo, ovvero i due governatori delle regioni interessate, rispettivamente Stefano Bonaccini ed Eugenio Giani (entrambi del Pd), ostentano ottimismo ma le cose da sistemare sono tante e di difficile realizzazione. In Toscana il sindaco di Piombino Francesco Ferrari ha fatto capire più volte che l’idea di vedere ogni mattina questo gigante dei mari dentro il suo porto non lo lascia assolutamente sereno. «Caro ministro Cingolani, come può convivere un cetaceo con un rigassificatore?», ha tuonato nei giorni scorsi il primo cittadino. Per Ferrari il terminal è incompatibile con il Santuario Pelagos, una enorme area marina per la protezione dei mammiferi acquatici. «Il governo rifletta e decida la priorità», ha aggiunto Ferrari. Sappiamo bene che in Italia, quando si mette di mezzo l’ambiente, siamo capaci di fermare qualunque cosa. A Ravenna, dove invece gli amministratori sembrano tutti entusiasti, i problemi sono di altra natura. Nel porto della città, si sono incontrati Snam, alcuni politici e i vertici ravennati delle attività portuali e si è capito che le previsioni iniziali sono fin troppo ottimistiche. Secondo il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, ma anche secondo ciò che ha fatto trapelare la stessa Snam, questa nave dovrebbe essere operativa nella primavera del 2023, ovvero fra 9 mesi. Una data assolutamente lontana dalla realtà. In questo summit, infatti, sia Snam sia gli operatori portuali sono stati chiari. La nave non potrà essere operativa prima di 24/36 mesi. Il che vuol dire che, se tutto andrà bene, i 5 miliardi di metri cubi di gas che questa nave può trasformare si vedranno solo fra l’estate del 2024 e i primi mesi del 2025. Quasi due anni dopo rispetto a quanto fatto capire da chi di dovere. A oggi mancano ancora tutte le autorizzazioni necessarie per l’arrivo della nave e per il suo ormeggio. Inoltre dovranno essere costruite tutte le infrastrutture per portare il gas dalla nave a terra e non stiamo parlando certamente di piccole tubature. Il decreto legge Aiuti, è vero, prevede un percorso accelerato con un massimo di 120 giorni dalla presentazione delle richieste del commissario, ma per quanto l’iter possa essere semplificato le procedure e i lavori non seguono regole standard. Dietro al via libera definitivo per l’approdo della nave in quel di Ravenna ci sono circa 10 enti coinvolti. Gli accordi infatti devono mettere insieme il Comune di Ravenna, la Regione Emilia Romagna, l’area metropolitana, l’esercito, la marina, le capitanerie di porto, il Parco del Delta e chi più ne ha più ne metta. Tante teste, forse troppe. Ma non è finita. Prima di collocare una nave di quelle dimensioni davanti alla costa servono studi e rilievi tecnici di un certo tipo. A quanto ci risulta, da questo punto di vista siamo ancora in alto mare. Dulcis in fundo mancano tutte le autorizzazioni per realizzare le opere che dovranno portare il gas dalla nave a terra. E per costruire questi tubi di dimensioni enormi serve tempo, tanto tempo. L’opera più importante è il tubo principe che porta il metano rigassificato alla rete nazionale. Ovvero un tubo sottomarino che dalla nave arriva a terra. Ma prima bisognerà capire dove verrà collocata la Frsu. Più vicina è la nave alla costa, più il tubo sarà corto e meno tempo servirà per costruirlo. A quel punto, resta da «scaricare» il gas a terra. E anche qui servono infrastrutture di un certo tipo. Che devono essere costruite. Bisognerà creare un gasdotto di uscita con bracci di discarica del gas che, attraverso un pontile, arriverà all’impianto sulla costa. Poi si dovrà tirar su un collettore di trasferimento del gas ad alta pressione dove il metano, ritornato alla temperatura dell’ambiente, viene compresso. Infine ci sarà da pensare al trasferimento del gas verso la rete di trasporto nazionale. Come si può raccontare che tutto questo sarà pronto fra nove mesi? Insomma, qualcuno dovrà trovare il coraggio di dire agli italiani che non sarà affatto semplice svincolarsi dal gas russo e che i tempi per farlo saranno davvero molto più lunghi della narrazione dominante. E sorge pure il sospetto che i due governatori Pd che hanno steso i tappeti rossi alla richieste del governo l’abbiano fatto per semplice compiacenza. O per calcolo in vista del voto della primavera prossima: non sarà né la prima né l’ultima promessa elettorale che il partito democratico non mantiene.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.