A Castellaneta, comune in provincia di Taranto al ballottaggio per le amministrative, giovedì sera c’e stato il comizio di Michele Emiliano: il governatore ha chiesto al partito di Giorgia Meloni di votare il candidato del Pd Gianni Di Pippa. Con loro sul palco anche il sindaco di Taranto Rinaldo Melucci e il delegato della segreteria nazionale del Pd Antonio Misiani.
A Castellaneta, comune in provincia di Taranto al ballottaggio per le amministrative, giovedì sera c’e stato il comizio di Michele Emiliano: il governatore ha chiesto al partito di Giorgia Meloni di votare il candidato del Pd Gianni Di Pippa. Con loro sul palco anche il sindaco di Taranto Rinaldo Melucci e il delegato della segreteria nazionale del Pd Antonio Misiani. Il centrodestra con il candidato Cellammare non ha vinto al primo turno per solo 10 voti arrivando al 49,91 per cento, mentre quello del Pd è arrivato al 36. Michele Emiliano nel suo intervento rivolge un appello agli elettori ed esponenti del partito di Giorgia Meloni, guidati ia Castellaneta dall’ex parlamentare missino Carmelo Patarino.«Datecela una mano» - dice Emiliano - «anche perché io di mani ve ne ho date tante prendendo botte dai miei compagni di partito». Il riferimento è al fatto che per anni Emiliano ha sostenuto il sindaco uscente di Castellaneta, Giovanni Gugliotti, di centrodestra, contro il pd locale. Addirittura nel 2018 il governatore pugliese sostenne la candidatura di Gugliotti a Presidente della provincia di Taranto, proprio contro il già sindaco di Taranto del Pd Rinaldo Melucci. Gugliotti, candidato del centrodestra, grazie al sostegno di Emiliano e della sua rete diventò Presidente della Provincia battendo il sindaco del pd, e il governatore festeggiò quella vittoria pubblicamente anche attraverso i social. Oggi però le cose sono cambiate, perché Gugliotti non ha ricambiato il favore sostenendo i nuovi alleati di Emiliano.E cosi il presidente della Regione Puglia per la quinta volta in un mese è a Castellaneta per la campagna elettorale contro il suo ex pupillo, che ora chiama traditore e accusa di giochi di potere. Fresco della nomina ad assessore regionale alla sanità del già parlamentare ed esponente di spicco di Forza Italia Rocco Palese, che ha suscitato la dura accusa di «trasformismo, qualunquismo e furbizia» da parte dell’ex assessore Pierluigi Lopalco, Emiliano non ha problemi a chiedere il voto degli elettori di destra. Ma mai aveva fatto un appello così esplicito a Fratelli d’Italia (nonostante a Bitonto la sua lista civica corresse in coalizione col partito della Meloni). Addirittura rivolge l’appello al candidato che a Castellaneta non è arrivato al ballottaggio, sostenuto da una alleanza sui generis: i 5 stelle (con simbolo) e Fratelli d’Italia (senza simbolo). Il candidato sindaco Simone Giuncato, pupillo del missino Patarino, ha raggiunto il quasi il 14 per cento, anche grazie all’arrivo a Castellaneta a suo sostegno di Giuseppe Conte. Il leader dei 5 stelle però ha evitato di pubblicizzare questa tappa nel tour pugliese accanto al suo vice Mario Turco, perché Simone Giuncato è indagato per peculato: secondo l’accusa avrebbe effettuato delle visite a pagamento in ospedale a Castellaneta senza passare dal Cup. Oggi invece l’appello glielo rivolge dal palco Emiliano: «Il dottor Giuncato è un mio grande amico, fa un grande lavoro nel nostro ospedale, è una brava persona, e ha vicino brave prone che stanno in Fratelli d'Italia che ci devono dare una mano». Emiliano chiede loro di votare il candidato sindaco del Pd, ma non di smettere di essere di destra e combattere per i loro valori nazionalisti: «In una città in cui si sono difesi da tanti anni nonostante la nostra debordante forza, chiediamo senza infingimenti il voto di quelle persone che si sentono di destra, senza chiedere abiure».Al campo larghissimo di Emiliano siamo abituati. Il problema è che continua a partecipare a tutte le riunioni, comizi, incontri, e a decidere i candidati e fare le liste del Pd, nonostante Csm e Corte Costituzionale glielo abbiano vietato essendo un magistrato in aspettativa. E avendo accanto in questo suo sultanato i big della segreteria nazionale del Partito democratico: Antonio Misiani, Francesco Boccia ed Enrico Letta, che continuano ad avere come leitmotiv indentario «votate noi altrimenti arrivano le destre».
Roberto Scarpinato (Imagoeconomica)
La presunta frode elettorale travolse i leghisti. Ma a processo è finito solo un «big» delle preferenze del centrosinistra. Il pm di allora conferma tutto. E va al contrattacco.
L’intervista a questo giornale della pm di Pesaro Anna Gallucci ha scosso il mondo politico e quello giudiziario. La toga ha denunciato il presunto indirizzo «politico» dato alla maxi inchiesta Voto connection della Procura di Termini Imerese, dove la donna lavorava, un’indagine che riguardava voto di scambio (riqualificato dal gip in attentato contro i diritti politici dei cittadini), favoritismi e promesse di lavoro in vista delle elezioni comunali e regionali del 2017. La pm ci ha rivelato che l’allora procuratore Ambrogio Cartosio (che ha definito la ricostruzione della ex collega come «falsa» e «fantasiosa») la avrebbe spronata a far arrestare due esponenti della lista «Noi con Salvini», specificando che «era un’iniziativa condivisa con il procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato» e l’avrebbe, invece, invitata a chiedere l’archiviazione per altri soggetti legati al centro-sinistra. Ma la Gallucci non avrebbe obbedito. Un’«insubordinazione» che la donna collega ad alcune sue successive valutazioni negative da parte dei superiori e a una pratica davanti al Csm.
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Performance a tripla cifra per Byd, Lynk&Co e Omoda/Jaecoo grazie agli incentivi.
Byd +535,3%, Lynk&Co +292,3%, Omoda/Jaecoo +386,5%, «altre» +419,2% e fra queste c’è Leapmotor, ovvero il partner cinese di Stellantis che raggiunge l’1,8% della quota di mercato solo a novembre. Lo scorso mese le immatricolazioni auto sono rimaste stabili nei confronti dello stesso periodo di un anno fa, tuttavia c’è stato un +131% circa delle vetture elettriche, grazie agli incentivi che hanno fatto felici i principali produttori di veicoli a batteria: i cinesi. Come emerge appunto dalle performance a tripla cifra messe a segno dai marchi dell’ex celeste impero. La quota di mercato delle auto elettriche è volata così nel mese al 12,2%, rispetto al 5,3% del novembre 2024.
«La spinta degli incentivi ha temporaneamente mitigato l’anomalia del mercato italiano, riavvicinandolo agli standard europei», sottolinea il presidente di Motus-E, Fabio Pressi. «Appurato l’interesse degli italiani per la mobilità elettrica, strumenti di supporto alla domanda programmatici e prevedibili conseguirebbero anche da noi risultati paragonabili a quelli degli altri grandi mercati Ue», osserva ancora Pressi, citando a titolo d’esempio «l’ormai improcrastinabile revisione della fiscalità sulle flotte aziendali».
Friedrich Merz e Ursula von der Leyen (Ansa)
Pure Merz chiede a Bruxelles di cambiare il regolamento che tra un decennio vieterà i motori endotermici: «Settore in condizioni precarie». Stellantis: «Fate presto». Ma lobby green e socialisti europei non arretrano.
Il cancelliere Friedrich Merz ha annunciato che la Germania chiederà alla Commissione europea di modificare il regolamento europeo sul bando dei motori endotermici al 2035. Il dietrofront tedesco sul bando ai motori a combustione interna, storico e tardivo, prende forma in un grigio fine settimana di novembre, con l’accordo raggiunto fra Cdu/Csu e Spd in una riunione notturna della coalizione a Berlino.
I partiti di governo capiscono «quanto sia precaria la situazione nel settore automobilistico», ha detto Merz in una conferenza stampa, annunciando una lettera in questo senso diretta a Ursula von der Leyen. La lettera chiede che, oltre ai veicoli elettrici, dopo il 2035 siano ammessi i veicoli plug-in hybrid, quelli con range extender (auto elettriche con motore a scoppio di riserva che aiuta la batteria) e anche, attenzione, «motori a combustione altamente efficienti», secondo le richieste dei presidenti dei Länder tedeschi. «Il nostro obiettivo dovrebbe essere una regolamentazione della CO2 neutrale dal punto di vista tecnologico, flessibile e realistica», ha scritto Merz nella lettera.
Ansa
Per la sentenza n.167, il «raffreddamento della perequazione non ha carattere tributario». E non c’era bisogno di ribadirlo.
L’aspettavano tutti al varco Giorgia Meloni, con quella sua prima legge finanziaria da premier. E le pensioni, come sempre, erano uno dei terreni più scivolosi. Il 29 dicembre di quel 2022, quando fu approvata la Manovra per il 2023 e fu evitato quell’esercizio provvisorio che molti commentatori davano per certo, fu deciso di evitare in ogni modo un ritorno alla legge Fornero e fra le varie misure di risparmio si decise un meccanismo di raffreddamento della perequazione automatica degli assegni pensionistici superiori a quattro volte il minimo Inps. La norma fu impugnata dalla Corte dei Conti dell’Emilia-Romagna e da una ventina di ex appartenenti alle forze dell’ordine per una presunta violazione della Costituzione. Ma ora una sentenza della Consulta, confermando per altro una giurisprudenza che era già abbastanza costante, ha dato ragione al governo e all’Inps, che si era costituita in giudizio insieme all’Avvocatura generale dello Stato, proprio contro le doglianze del giudice contabile. Già, perché in base alle norme vigenti, non è stato necessaria la deliberazione di un collegio giudicante, ma è bastata la decisione del giudice monocratico della Corte dei Conti emiliana, Marco Catalano, esperto in questioni pensionistiche.







