2024-04-08
Tra Elly e Giuseppi l’ultima tappa di 30 anni di faide tra progressisti
A destra i litigi non sfociano mai in fratture insanabili. Invece nessun premier dell’altro campo è durato più di un biennio.«Anche a destra si litiga», dice Luigi Santarelli, direttore del giornale radio di Rtl 102.5, commentando le divisioni fra 5 stelle e Pd a seguito dell’inchiesta sulla compravendita di voti nel centrosinistra. Vero. Tra il partito di Giorgia Meloni e quello di Matteo Salvini non sempre corre buon sangue, soprattutto ora che si avvicina la campagna elettorale.Il capo della Lega insiste per il terzo mandato e il presidente del Consiglio fa muro. Il ministro delle Infrastrutture annuncia una sanatoria e il premier dice di non aver letto il disegno di legge. Le scintille non sono quotidiane, ma è possibile che in vista della scadenza di giugno lo diventino. Sebbene facciano parte della stessa coalizione, per il rinnovo del Parlamento di Bruxelles i partiti devono fare i conti con un sistema proporzionale, dunque ognuno corre per sé.Tuttavia, se è vero quello che dice Santarelli, a proposito della competizione fra gruppi sia a sinistra che a destra, fra i due schieramenti c’è una diversità non di poco conto. Basta infatti dare un’occhiata alla storia passata per accorgersi che per quanto litighino, e qualche volta si detestino, nella coalizione moderata è più difficile che finisca con una caduta del governo e la conclusione anticipata della legislatura. In trent’anni, l’unico caso che si ricordi è quello del 1994, quando Silvio Berlusconi fu costretto a gettare la spugna, ma all’epoca pesarono l’avviso di garanzia recapitato a Napoli dalla Procura di Milano e le trame di Oscar Luigi Scalfaro, il quale pur di far sloggiare il Cavaliere da Palazzo Chigi, tenne bordone a Umberto Bossi, assicurandogli che la crisi non sarebbe sfociata in elezioni anticipate. Poi, nelle legislature successive, nonostante i dispetti del duplex Follini & Casini nei primi anni Duemila e di Fini nel 2010, le maggioranze di centrodestra hanno retto, magari con il soccorso di qualche voltagabbana, ma sono rimaste in piedi. Così non si può dire delle coalizioni di sinistra e a ricordarcelo è stato ieri Arturo Parisi, uno dei padri dell’Ulivo, che insieme a Prodi accompagnò la stagione dei governi progressisti tra la fine secolo scorso e l’inizio del nuovo millennio. L’ex ministro della Difesa ha ricordato con un’intervista al Corriere della Sera le fasi dello scontro fra Massimo D’Alema e il pacioso democristiano che gli ex comunisti avevano usato per vincere le elezioni. L’alleanza fra il lìder Maximo e Fausto Bertinotti, come si ricorderà, fece cadere il governo due anni dopo, portando a Palazzo Chigi l’allora segretario dei Ds, con una stagione di conflitti che si risolverà con un rimpasto e in seguito con la sostituzione di D’Alema con Giuliano Amato. Non andò meglio anni dopo, con la vittoria di misura del centrosinistra, che riportò in auge Prodi. In questo caso il governo durò ancor meno del precedente. Più vicina ai giorni nostri c’è pure la crisi del governo di Giuseppe Conte con la sinistra, che, se non ci fosse stato il Covid, probabilmente sarebbe durato ancor meno. A mandare a casa l’avvocato di Volturara Appula in questo caso fu Matteo Renzi e non i nostalgici del comunismo, come con Prodi, ma la sostanza non cambia. Se si guarda ai risultati, in trent’anni non solo non c’è stato un governo di sinistra che abbia concluso la legislatura, ma neppure un presidente del Consiglio che sia riuscito a resistere più di due anni. Prodi, D’Alema, Amato, di nuovo Prodi, e poi Letta, Renzi, Gentiloni, infine Conte: tutti hanno ballato una sola estate o, i più longevi, due. Dunque, è vero ciò che dicevamo all’inizio, e cioè che le coalizioni, essendo composte da più partiti, spesso sono una fucina di conflitti. Tuttavia, a destra la competizione si risolve in sgambetti che comunque non si concludono con la caduta del governo e la fine anticipata della legislatura, mentre a sinistra ci si accoltella per un nonnulla e se si parte con un premier si è sicuri che a fine legislatura, se va bene, ce ne sarà un altro. Insomma, fra compagni la tradizione dei fratelli-coltelli è rispettata. Fra un partito come quello democratico e un movimento assai poco democratico, immaginatevi invece come finirebbe. Altro che piatti rotti: fra Elly e Giuseppi il matrimonio si concluderebbe in un duello rusticano. Del resto l’anticipo di quello che accadrebbe l’abbiamo in questi giorni.
Container in arrivo al Port Jersey Container Terminal di New York (Getty Images)
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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