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2020-04-15
Elicotteri, droni e inseguimenti in tv. È partita la caccia grossa agli italiani
Ansa
Osservando con sgomento certe scene che sembrano riprese direttamente da L'uomo in fuga di Stephen King, viene da pensare che se l'Italia avesse messo in campo un analogo schieramento di forze per la lotta alla droga oggi non avremmo più spacciatori per strada. Se un identico apparato di uomini e mezzi venisse utilizzato per contrastare l'immigrazione illegale, oggi - invece che oltre mezzo milione - non avremmo manco un clandestino in strada. Scene belliche alla televisione, con tanto di cronisti embedded a documentare le missioni di «cerca e annienta». L'inviata di Pomeriggio 5 è a bordo di un elicottero della Guardia di finanza. La informano che è all'opera «un dispositivo integrato cielo-acqua-terra per impedire ai malintenzionati di violare le regole». E un «malintenzionato», in effetti, viene individuato: un tale che sta facendo due passi su una spiaggia deserta a Venezia. L'elicottero lo bracca dall'alto, un'imbarcazione delle Fiamme gialle saetta verso la costa. I finanzieri scendono e si mettono a inseguire l'uomo che nel frattempo, ci informa la cronista, «sta scappando fra le case».
Ad Agorà va in scena un inseguimento in un parco romano sull'Appia antica. La polizia sguinzaglia un drone, un agente tallona un uomo in calzoncini e maglietta: «Si fermi, c'è il drone!». Il «malvivente» viene fermato. È un signore di mezza età che voleva farsi una corsetta. Era da solo, in un parco: 280 euro di multa perché era a circa 4 chilometri da casa. Il malcapitato tenta di giustificarsi: «Cerco di stare lontano da tutti, ma se scendo a correre sotto casa è pieno di gente con il cane». Niente da fare, la scusa non regge: impietosa sanzione.
Su Dagospia rimbalza la storia di Anna D'Angellillo, medico specializzando del Gemelli. Lavora in malattie infettive, segue i malati di Covid-19, nel suo giorno libero ha cercato di far ripartire l'auto che usa per andare al lavoro. Prima si è imbattuta in alcuni finanzieri che l'hanno aiutata a rimettere in moto il mezzo. Poi si è rimessa al volante, ha percorso un paio di centinaia di metri ed è stata fermata dalla polizia: 533 euro di multa.
Scene di caccia agli italiani e, come scriveva Stephen King, «più la cosa è sanguinosa meglio è». Gli untori sono seguiti da elicotteri, autopattuglie, droni, agenti scattanti. Quando vengono catturati come vitelli al rodeo la folla s'infiamma, è pronta a ribaltare il pollice. E come inveiva il «popolo del Web» contro «i trasgressori» che lunedì se ne stavano sulla statale Pontina, nei pressi di Roma, imprigionati in una lunga fila di macchine. L'attore Alessandro Gassmann ruggiva su Twitter: «Questi individui in fila per andare al mare a Sud di Roma allungheranno i tempi di uscita dalla fase uno di contenimento dal virus».
Solo che quegli «individui» non stavano andando a fare una scampagnata. Non erano in coda per via del traffico, ma per un posto di blocco della polizia stradale.
I numeri sono chiari: a Pasquetta, in tutta Italia, sono state controllate 252.148 persone, e ne sono state sanzionate 16.545. Significa che il 94% circa dei fermati aveva ragioni valide per essere in giro. Su 62.391 esercizi commerciali controllati, i trasgressori individuati sono stati appena 146.
Vuol dire che gli italiani (o per lo meno la stragrande maggioranza di essi) si stanno comportando non bene, ma benissimo. Sono ligi alle regole nonostante i decreti confusi, i pasticci sulle date, l'isolamento che sembra non finire mai. Come si giustifica, allora, questa grottesca caccia grossa? Sono stati fermati e sanzionati pure alcuni parlamentari. «È inaccettabile», ha detto la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, e non ha torto. Qui non si tratta di riservare a «lorsignori» un trattamento diverso rispetto alla massa. Un parlamentare ha il diritto oltre che il dovere di presidiare il territorio, di controllare che diamine succede in questo Paese dove la democrazia è in quarantena. Eppure persino i rappresentanti del popolo non sfuggono alla battuta di caccia.
Esprimere dubbi sull'incipiente Stato di polizia, tuttavia, è vietato. «In un Paese serio con un problema serio basterebbe dire: “Non c'è scelta, è la legge"», scrive Gianantonio Stella su Corriere della Sera. Solo che questo governo serio non lo è per niente, e di fronte a certe scene farsi domande è legittimo. Tanto più che, ripetiamo, non a tutti si applica la stessa severità. I migranti con i barchini si possono far entrare, in compenso l'esecutivo pensa a una fase due comprensiva di segregazione degli anziani. Per loro - apprendiamo sempre dal Corriere - si pensa a tempi più lunghi per l'uscita da casa e addirittura a percorsi differenziati per gli spostamenti. «È per il loro bene», dicono: come no. In base a un simile criterio, allora, dovremmo chiudere in casa i bambini, che sono potenzialmente più contagiosi, no? Oppure tirare dardi ai clandestini che ancora oggi si riuniscono tranquilli nelle piazzette milanesi. Ma i migranti in giro vanno bene, i vecchi no. E noi dovremmo anche star zitti ed evitare critiche?
Poi, come se non bastasse il monitoraggio con droni ed elicotteri, ecco che Roberto Burioni e altri medici propongono di creare una «Struttura di monitoraggio e risposta flessibile» per la fase due. Tale «Struttura» si occuperebbe anche di tenere d'occhio i media, studiando una «condivisione della strategia comunicativa con l'Ordine dei giornalisti e i maggiori quotidiani nonché le principali testate radio-televisive pubbliche e private». Certo, ci manca solo che il ministero della propaganda imponga cosa scrivere, così la tirannia è completa.
E il bello è che avevano pure il coraggio di far polemica per una frase scomposta sui «pieni poteri»...
La grande retata si rivela un flop I veri «cattivoni» sono lo 0,05%
Meglio di Giuseppi, potremmo chiamarlo Muscolo, come il professore sadico del Giornalino di Gian Burrasca, che godeva nel terrorizzare gli alunni. Ricordate? «Tutti fermi, tutti zitti: ché se vi vede Muscolo siete tutti fritti!». Da quando il Covid-19 gli ha messo in mano gli strumenti dello stato d'emergenza, il premier Giuseppe «Muscolo» Conte ha dato mandato al ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese, di tenerci tutti fermi (in casa), meglio se tutti zitti.
Da allora, altro che Gian Burrasca… In tv, sui giornali e sui social gli italiani si sono trasformati in una mandria d'indisciplinati. Dementi capaci di ogni nefandezza per un'ora d'aria. A chi tiene i nervi saldi e osserva i fatti, però, questa «caccia all'italiano» comincia a fare paura: anche nella pandemia, che in effetti richiede comportamenti appropriati. Fa paura, la caccia, per la criminalizzazione dei cacciati e per la falsificazione della realtà. Perché gli italiani non sono indisciplinati come li descrive Muscolo, cioè il governo. Anzi, sono molto più disciplinati del solito.
La domenica di Pasqua, 12 aprile, il Viminale ha emesso un bollettino di guerra. Persone controllate: 213.565. Risultato dei rastrellamenti: 13.756 sanzionati. Cioè appena il 6,4%. Questo, però, vale per gli irregolari veniali, fermati per un nonnulla da posti di blocco che pure non si vedevano così frequenti e severi nemmeno ai tempi del rapimento di Aldo Moro. Tra questi Gian Burrasca colti in fallo, il ministro Lamorgese ha poi specificato che sono scattate «denunce per false dichiarazioni» in appena 100 casi, mentre 19 sono i soggetti risultati «positivi al virus e segnalati per violazione della quarantena». Quindi, in definitiva, i veri «cattivi» di Pasqua sono 119, cioè lo 0,055% del totale. Lo stesso è toccato ai negozi: 60.435 attività commerciali controllate e 121 negozianti sanzionati, cioè lo 0,2%. Il Viminale sottolinea che ne sono stati chiusi solo 16, mentre per altri 31 è stata disposta «la sospensione dell'attività»: s'immagina siano quelli che si sono macchiati delle violazioni più gravi. Ma anche a metterli assieme, quei 47 negozi valgono appena lo 0,077%.
Se poi confrontiamo tutti i sanzionati del 12 aprile con i 60.317.000 italiani censiti al primo gennaio 2020, tutti gli irregolari della passeggiata di Pasqua valgono lo 0,022%. Come le tracce di fluoro presenti nell'acqua Sangemini, la più adatta ai neonati. E i 121 negozi multati, sulle 735.528 attività commerciali al dettaglio censite prima dell'epidemia, sono appena lo 0,016%.
Più o meno lo stesso è accaduto a Pasquetta. Il 13 aprile, su 252.148 controllati, i sanzionati sono stati 16.545 (il 6,5%), ma i denunciati per fatti gravi sono stati 117 (appena lo 0,046%). Tra 62.391 negozi visitati, 146 sono stati multati (lo 0,23%) e 63 sono stati chiusi (lo 0,024%). Confrontati con la totalità dei cittadini, i «cattivi italiani» di Pasquetta sono lo 0,027%. E i «cattivi negozianti» lo 0,019%.
Forse insoddisfatti, Giuseppe «Muscolo» Conte e il ministro Lamorgese ora studiano i nostri spostamenti. Usano City analytics, un servizio che dà indicatori di mobilità grazie a un capillare controllo basato su telecamere e geolocalizzazione dei cellulari. Ufficialmente attivo da ieri, City analytics studia (in modo anonimo) i nostri spostamenti in Comuni, Province e Regioni. In realtà lo fa da qualche giorno: difatti a Pasqua pare ci siamo mossi un po' troppo. Attenti a voi, Gian Burrasca d'Italia. Tutti fermi, tutti zitti: Muscolo vi osserva.
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I giallorossi proseguono con il pugno di ferro verso chi viene trovato per strada. E preparano la segregazione differenziata per gli anziani. Nemmeno i parlamentari passano i posti di blocco, alla faccia della Costituzione.A Pasqua 213.565 fermati e 13.756 multe (6,4%). Ma i reati gravi sono stati solo 119.Lo speciale contiene due articoliOsservando con sgomento certe scene che sembrano riprese direttamente da L'uomo in fuga di Stephen King, viene da pensare che se l'Italia avesse messo in campo un analogo schieramento di forze per la lotta alla droga oggi non avremmo più spacciatori per strada. Se un identico apparato di uomini e mezzi venisse utilizzato per contrastare l'immigrazione illegale, oggi - invece che oltre mezzo milione - non avremmo manco un clandestino in strada. Scene belliche alla televisione, con tanto di cronisti embedded a documentare le missioni di «cerca e annienta». L'inviata di Pomeriggio 5 è a bordo di un elicottero della Guardia di finanza. La informano che è all'opera «un dispositivo integrato cielo-acqua-terra per impedire ai malintenzionati di violare le regole». E un «malintenzionato», in effetti, viene individuato: un tale che sta facendo due passi su una spiaggia deserta a Venezia. L'elicottero lo bracca dall'alto, un'imbarcazione delle Fiamme gialle saetta verso la costa. I finanzieri scendono e si mettono a inseguire l'uomo che nel frattempo, ci informa la cronista, «sta scappando fra le case». Ad Agorà va in scena un inseguimento in un parco romano sull'Appia antica. La polizia sguinzaglia un drone, un agente tallona un uomo in calzoncini e maglietta: «Si fermi, c'è il drone!». Il «malvivente» viene fermato. È un signore di mezza età che voleva farsi una corsetta. Era da solo, in un parco: 280 euro di multa perché era a circa 4 chilometri da casa. Il malcapitato tenta di giustificarsi: «Cerco di stare lontano da tutti, ma se scendo a correre sotto casa è pieno di gente con il cane». Niente da fare, la scusa non regge: impietosa sanzione. Su Dagospia rimbalza la storia di Anna D'Angellillo, medico specializzando del Gemelli. Lavora in malattie infettive, segue i malati di Covid-19, nel suo giorno libero ha cercato di far ripartire l'auto che usa per andare al lavoro. Prima si è imbattuta in alcuni finanzieri che l'hanno aiutata a rimettere in moto il mezzo. Poi si è rimessa al volante, ha percorso un paio di centinaia di metri ed è stata fermata dalla polizia: 533 euro di multa. Scene di caccia agli italiani e, come scriveva Stephen King, «più la cosa è sanguinosa meglio è». Gli untori sono seguiti da elicotteri, autopattuglie, droni, agenti scattanti. Quando vengono catturati come vitelli al rodeo la folla s'infiamma, è pronta a ribaltare il pollice. E come inveiva il «popolo del Web» contro «i trasgressori» che lunedì se ne stavano sulla statale Pontina, nei pressi di Roma, imprigionati in una lunga fila di macchine. L'attore Alessandro Gassmann ruggiva su Twitter: «Questi individui in fila per andare al mare a Sud di Roma allungheranno i tempi di uscita dalla fase uno di contenimento dal virus». Solo che quegli «individui» non stavano andando a fare una scampagnata. Non erano in coda per via del traffico, ma per un posto di blocco della polizia stradale. I numeri sono chiari: a Pasquetta, in tutta Italia, sono state controllate 252.148 persone, e ne sono state sanzionate 16.545. Significa che il 94% circa dei fermati aveva ragioni valide per essere in giro. Su 62.391 esercizi commerciali controllati, i trasgressori individuati sono stati appena 146. Vuol dire che gli italiani (o per lo meno la stragrande maggioranza di essi) si stanno comportando non bene, ma benissimo. Sono ligi alle regole nonostante i decreti confusi, i pasticci sulle date, l'isolamento che sembra non finire mai. Come si giustifica, allora, questa grottesca caccia grossa? Sono stati fermati e sanzionati pure alcuni parlamentari. «È inaccettabile», ha detto la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, e non ha torto. Qui non si tratta di riservare a «lorsignori» un trattamento diverso rispetto alla massa. Un parlamentare ha il diritto oltre che il dovere di presidiare il territorio, di controllare che diamine succede in questo Paese dove la democrazia è in quarantena. Eppure persino i rappresentanti del popolo non sfuggono alla battuta di caccia. Esprimere dubbi sull'incipiente Stato di polizia, tuttavia, è vietato. «In un Paese serio con un problema serio basterebbe dire: “Non c'è scelta, è la legge"», scrive Gianantonio Stella su Corriere della Sera. Solo che questo governo serio non lo è per niente, e di fronte a certe scene farsi domande è legittimo. Tanto più che, ripetiamo, non a tutti si applica la stessa severità. I migranti con i barchini si possono far entrare, in compenso l'esecutivo pensa a una fase due comprensiva di segregazione degli anziani. Per loro - apprendiamo sempre dal Corriere - si pensa a tempi più lunghi per l'uscita da casa e addirittura a percorsi differenziati per gli spostamenti. «È per il loro bene», dicono: come no. In base a un simile criterio, allora, dovremmo chiudere in casa i bambini, che sono potenzialmente più contagiosi, no? Oppure tirare dardi ai clandestini che ancora oggi si riuniscono tranquilli nelle piazzette milanesi. Ma i migranti in giro vanno bene, i vecchi no. E noi dovremmo anche star zitti ed evitare critiche? Poi, come se non bastasse il monitoraggio con droni ed elicotteri, ecco che Roberto Burioni e altri medici propongono di creare una «Struttura di monitoraggio e risposta flessibile» per la fase due. Tale «Struttura» si occuperebbe anche di tenere d'occhio i media, studiando una «condivisione della strategia comunicativa con l'Ordine dei giornalisti e i maggiori quotidiani nonché le principali testate radio-televisive pubbliche e private». Certo, ci manca solo che il ministero della propaganda imponga cosa scrivere, così la tirannia è completa. E il bello è che avevano pure il coraggio di far polemica per una frase scomposta sui «pieni poteri»...<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/elicotteri-droni-e-inseguimenti-in-tv-e-partita-la-caccia-grossa-agli-italiani-2645715188.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-grande-retata-si-rivela-un-flop-i-veri-cattivoni-sono-lo-005" data-post-id="2645715188" data-published-at="1586885267" data-use-pagination="False"> La grande retata si rivela un flop I veri «cattivoni» sono lo 0,05% Meglio di Giuseppi, potremmo chiamarlo Muscolo, come il professore sadico del Giornalino di Gian Burrasca, che godeva nel terrorizzare gli alunni. Ricordate? «Tutti fermi, tutti zitti: ché se vi vede Muscolo siete tutti fritti!». Da quando il Covid-19 gli ha messo in mano gli strumenti dello stato d'emergenza, il premier Giuseppe «Muscolo» Conte ha dato mandato al ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese, di tenerci tutti fermi (in casa), meglio se tutti zitti. Da allora, altro che Gian Burrasca… In tv, sui giornali e sui social gli italiani si sono trasformati in una mandria d'indisciplinati. Dementi capaci di ogni nefandezza per un'ora d'aria. A chi tiene i nervi saldi e osserva i fatti, però, questa «caccia all'italiano» comincia a fare paura: anche nella pandemia, che in effetti richiede comportamenti appropriati. Fa paura, la caccia, per la criminalizzazione dei cacciati e per la falsificazione della realtà. Perché gli italiani non sono indisciplinati come li descrive Muscolo, cioè il governo. Anzi, sono molto più disciplinati del solito. La domenica di Pasqua, 12 aprile, il Viminale ha emesso un bollettino di guerra. Persone controllate: 213.565. Risultato dei rastrellamenti: 13.756 sanzionati. Cioè appena il 6,4%. Questo, però, vale per gli irregolari veniali, fermati per un nonnulla da posti di blocco che pure non si vedevano così frequenti e severi nemmeno ai tempi del rapimento di Aldo Moro. Tra questi Gian Burrasca colti in fallo, il ministro Lamorgese ha poi specificato che sono scattate «denunce per false dichiarazioni» in appena 100 casi, mentre 19 sono i soggetti risultati «positivi al virus e segnalati per violazione della quarantena». Quindi, in definitiva, i veri «cattivi» di Pasqua sono 119, cioè lo 0,055% del totale. Lo stesso è toccato ai negozi: 60.435 attività commerciali controllate e 121 negozianti sanzionati, cioè lo 0,2%. Il Viminale sottolinea che ne sono stati chiusi solo 16, mentre per altri 31 è stata disposta «la sospensione dell'attività»: s'immagina siano quelli che si sono macchiati delle violazioni più gravi. Ma anche a metterli assieme, quei 47 negozi valgono appena lo 0,077%. Se poi confrontiamo tutti i sanzionati del 12 aprile con i 60.317.000 italiani censiti al primo gennaio 2020, tutti gli irregolari della passeggiata di Pasqua valgono lo 0,022%. Come le tracce di fluoro presenti nell'acqua Sangemini, la più adatta ai neonati. E i 121 negozi multati, sulle 735.528 attività commerciali al dettaglio censite prima dell'epidemia, sono appena lo 0,016%. Più o meno lo stesso è accaduto a Pasquetta. Il 13 aprile, su 252.148 controllati, i sanzionati sono stati 16.545 (il 6,5%), ma i denunciati per fatti gravi sono stati 117 (appena lo 0,046%). Tra 62.391 negozi visitati, 146 sono stati multati (lo 0,23%) e 63 sono stati chiusi (lo 0,024%). Confrontati con la totalità dei cittadini, i «cattivi italiani» di Pasquetta sono lo 0,027%. E i «cattivi negozianti» lo 0,019%. Forse insoddisfatti, Giuseppe «Muscolo» Conte e il ministro Lamorgese ora studiano i nostri spostamenti. Usano City analytics, un servizio che dà indicatori di mobilità grazie a un capillare controllo basato su telecamere e geolocalizzazione dei cellulari. Ufficialmente attivo da ieri, City analytics studia (in modo anonimo) i nostri spostamenti in Comuni, Province e Regioni. In realtà lo fa da qualche giorno: difatti a Pasqua pare ci siamo mossi un po' troppo. Attenti a voi, Gian Burrasca d'Italia. Tutti fermi, tutti zitti: Muscolo vi osserva.
Zerocalcare e il presidente dell’Associazione italiana editori Innocenzo Cipolletta (Ansa)
«Abbiamo preso posizione molto forte quando c’è stata la censura di Scurati alla Rai. Abbiamo preso posizione quando il commissario italiano per la fiera di Francoforte ha dichiarato di aver censurato Saviano», ci dice Cipolletta. «Abbiamo preso posizione contro la censura, anzi l’arresto di uno scrittore come Boualem Sansal in Algeria. Siamo contro le censure. Ora che c’è una proposta di censura nei confronti di una casa editrice, anche se non condividiamo nulla del pensiero che porta avanti, non possiamo essere a favore di questa censura. Perché se censuriamo qualcuno di cui non condividiamo l’opinione, poi alla fine dovremo anche ammettere la censura nei confronti di quelli di cui condividiamo le opinioni. Quindi assolutamente siamo contro le censure». Cristallino. E Cipolletta rincara pure la dose: «Quando si comincia con la censura non si sa più bene dove si finisce. Oggi magari si censura qualcosa che non ci piace, ma domani si cominceranno a censurare anche opinioni che invece condividiamo, e rischiamo di prendere una china molto pericolosa. Se gli editori commettono reati, devono essere denunciati alla Procura. Noi non censuriamo».
Mentre il presidente dell’Aie dà lezioni di liberalismo, a sinistra si scatena lo psicodramma consueto. Zerocalcare ha mollato il colpo e non andrà alla fiera perché, sostiene, ha i suoi paletti. Lo scrittore Christian Raimo invece i paletti vorrebbe piantarli nel cuore dei fascisti e rivendica il tentativo di censura, spiegando che la sua pratica è «sedersi accanto ai nazisti e dire “voi vi alzate io resto qui”». Qualcuno forse dovrebbe dire a Raimo che i nazisti li vede solo lui, e non se ne andranno perché sono voci nella sua testa, amici immaginari che gli fanno compagnia così che si senta anche lui un coraggioso militante pronto al sacrificio per l’idea.
C’è poi chi non rimane a combattere ma se ne va, tipo la casa editrice Orecchio Acerbo, che ha comunicato la sua fuoriuscita dall’Aie «in assoluto e totale disaccordo» con la decisione «di accogliere tra gli espositori di “Più libri più liberi” l’editore Passaggio al Bosco, il catalogo del quale è un’esaltazione di concetti e valori in aperto contrasto con quelli espressi dalla Costituzione antifascista del nostro Paese. Abbiamo deciso», scrivono da Orecchio Acerbo, «di uscire dall’associazione. Decisione presa a malincuore, ma consolidata dopo la davvero risibile argomentazione del presidente Cipolletta: l’Aie non sceglie chi sì e chi no».
Cipolletta risponde con chiarezza: «Ci dispiace, ma ripeto, come associazione di editori cerchiamo di non censurare nessuno e penso che gli editori potrebbero apprezzare, dopodiché se qualcuno non apprezza...». Se qualcuno non apprezza vada per la sua strada: sacrosanto.
In tutto questo bailamme figurarsi se poteva mancare il sindacato.
Slc Cgil e Strade (sezione dei traduttori editoriali) ci hanno tenuto a esprimere «ferma condanna e profonda preoccupazione» per la presenza dell’editore di destra alla kermesse romana. «Consentire la diffusione di narrazioni che celebrano ideologie discriminatorie rappresenta una minaccia per il patrimonio comune di libertà e pluralismo», dice la Cgil. «La libertà di espressione non deve diventare un veicolo per l’apologia del fascismo. Questo non è un semplice dibattito culturale, ma una questione cruciale che misura la capacità della società di respingere ogni tentativo di riabilitazione dell’ideologia fascista. La cultura non può essere un terreno per il travestimento del fascismo come opinione legittima».
In buona sostanza, la Cgil chiede di bandire una casa editrice indipendente tenuta in piedi da ragazzi che lavorano guadagnando poco e faticando molto, che non sono nazisti né fascisti e che hanno regolarmente chiesto e ottenuto uno spazio espositivo. Dunque il sindacato - invece di occuparsi dei diritti di chi lavora - opera per danneggiare persone oneste che fanno il loro mestiere. Il tutto allo scopo di obbedire ai diktat di un gruppetto di autori che masticano amaro perché costretti a riconoscere l’esistenza di una cultura alternativa alla loro. Il succo della storia è tutto qui: non vogliono concedere «spazi ai fascisti» semplicemente perché temono di perdere i propri. Si atteggiano a comunisti ma difendono con i denti la proprietà privata della cultura che vorrebbero dominare con piglio padronale. Stavolta però gli è andata male, perché persino l’associazione degli editori ha capito il giochino e si tira indietro.
I padroncini dell’intelletto vedono sfumare la loro autoattribuita primazia e allora scalciano e strepitano, povere bestie.
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Ecco #Edicolaverità, la rassegna stampa podcast del 5 dicembre con Carlo Cambi
Andrea Sempio (Ansa)
Un attacco frontale. Ribadito anche commentando i risultati dell’incidente probatorio genetico-forense depositati dalla perita genetista Denise Albani: «L’ennesimo buco nell’acqua a spese del contribuente, ho perso il conto, tutto per alimentare un linciaggio mediatico di innocenti, sbattuti da mesi in prima pagina».
Il punto è che queste parole, pronunciate per demolire l’impianto accusatorio delle nuove indagini, finiscono per sbattere contro un dettaglio che l’avvocato Aiello (che aveva chiesto di trasferire il fascicolo da Pavia a Brescia «per connessione» ottenendo un rigetto) tiene da parte: fu proprio Venditti, nel 2016, a iscrivere il fascicolo (poi archiviato) su Andrea Sempio sulla base quasi degli stessi presupposti che anche all’epoca sembravano non tenere conto dell’intangibilità del giudicato, ovvero la sentenza definitiva di condanna a 16 anni per Stasi. Tant’è che furono richieste (proprio da Venditti e dalla collega Giulia Pezzino) e poi disposte dal gip perfino intercettazioni di utenze e, in ambientale, di automobili (attività che, proprio come quelle odierne, non sono gratuite). Anche la critica sulla prova genetica nasce zoppa. La genetista Albani, incaricata nell’incidente probatorio, ha depositato una relazione di 94 pagine che evidenzia gli stessi limiti già noti all’epoca: «L’analisi del cromosoma Y non consente di addivenire a un esito di identificazione di un singolo soggetto». Ma, nonostante le criticità, i calcoli mostrano una corrispondenza «moderatamente forte/forte e moderato» tra le tracce di Dna sulle unghie di Chiara Poggi e l’aplotipo Y della linea paterna di Sempio. La conclusione è matematica: per la traccia «Y428 – MDX5», la contribuzione di Sempio è «da 476 a 2153 volte più probabile». Per la «Y429 – MSX1» è «approssimativamente da 17 a 51 volte più probabile». Non un’assoluzione, non una condanna, ma un dato: Sempio, o un soggetto imparentato in linea paterna con lui, ha contribuito a quelle tracce biologiche. La genetista avverte: «L’analisi del cromosoma Y non consente di addivenire a un esito di identificazione di un singolo soggetto». Ricorda però un passaggio importante: che la mancata replica (in genetica forense un risultato è considerato affidabile solo se può essere riprodotto più volte) è dovuta a «strategie analitiche adottate nel 2014» dal perito Francesco De Stefano, che «hanno di fatto condizionato le successive valutazioni perché non hanno consentito di ottenere esiti replicati». Ovvero: non è colpa delle nuove indagini se i dati sono lacunosi, ma degli errori di allora.
La relazione (di 94 pagine) sostanzialmente non si discosta da quella già effettuata in passato dal professor Carlo Previderé, che nulla aggiunge su come e quando quelle tracce del profilo «Y» sino finite sulle unghie di Chiara. «Nel caso di specie», scrive infatti la genetista, «si tratta di aplotipi misti parziali per i quali non è possibile stabilire con rigore scientifico se provengano da fonti del Dna depositate sotto o sopra le unghie della vittima e, nell’ambito della stessa mano, da quale dito provengano; quali siano state le modalità di deposizione del materiale biologico originario; perché ciò si sia verificato (per contaminazione, per trasferimento avventizio diretto o mediato); quando sia avvenuta la deposizione del materiale biologico».
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Nel riquadro Nathan Trevallion, il papà della cosiddetta famiglia nel bosco, firma il contratto della nuova casa (Ansa)
I documenti sono stati depositati nell’udienza di ieri pomeriggio, dove avrebbero dovuto essere ascoltati Catherine Birmingham e Nathan Trevallion. Si tratta della coppia anglo-australiana che viveva con i tre figli minori, nella casa nel bosco, ma la coppia non era presente in aula. I genitori stanno combattendo per riottenere i bambini, lontani dalla casa nel bosco ormai da 14 giorni. Le importanti relazioni esaminate in aula sono una della casa-famiglia in cui i minorenni sono ospitati dal 20 novembre e l’altra dei servizi sociali. I ragazzi, dall’inizio della loro permanenza nella casa-famiglia in cui sono ospitati, sarebbero tranquilli e non avrebbero subito traumi, incontrano spesso la madre che viene considerata punto di riferimento dei piccoli e che sarebbe anche molto empatica. E anche il padre, pur vivendo ancora nella casa nel bosco, si prende cura dei figli.
Secondo la relazione, i bambini Trevallion hanno mostrato sorpresa davanti ai comfort moderni che trovano nella casa famiglia come l’acqua corrente sempre disponibile, il riscaldamento, gli elettrodomestici. Tutte cose che per i coetanei sono la normalità, ma per loro rappresentano una scoperta. All’udienza di comparizione, iniziata ieri verso le 15.30, erano presenti i due avvocati della famiglia, Marco Femminella e Danila Solinas. Sono loro che hanno chiesto un ricongiungimento urgente al tribunale minorile per la famiglia, presentando delle nuove argomentazioni alla luce di nuovi elementi che non erano conosciuti al tempo dell’ordinanza che ha separato genitori e figli. Anche i minori hanno un loro avvocato, Marica Bolognese. Maria Luisa Palladino è la tutrice provvisoria dei tre bambini.
I genitori hanno anche presentato ricorso, sulla decisione di allontanare i figli minori, alla Corte d’appello che dovrà decidere il 16 dicembre. Intanto, ieri si è iniziato a valutare l’impegno della coppia per garantire quanto disposto dal magistrato in termini di adeguatezza dell’ambiente domestico. La coppia ha deciso di cambiare abitazione per tre mesi, gli è stata messa a disposizione una casa colonica, sempre a Palmoli, immersa nel verde, dove resterà il tempo necessario per sistemare il casolare in cui abitava. A quanto sembra, però, si attende ancora un progetto di ristrutturazione della vecchia abitazione e in Comune a Palmoli non è stata ancora avviata alcuna procedura in merito. «Abbiamo fiducia nella magistratura, speriamo nel ricongiungimento, forniremo altri elementi utili, ma per ora non possiamo dire nulla», ha spiegato l’avvocato Solinas, assediata dai cronisti, all’ingresso del Tribunale per i minorenni dell’Aquila. «Stiamo lavorando bene», ha detto rispondendo alle domande dei giornalisti riferite alla strategia difensiva da attuare in udienza.
E anche all’uscita, i toni della Solinas e di Femminella erano distesi: «È stato un momento di colloquio, di confronto, di chiarimento e quindi di condivisione di un percorso. La decisione spetta al tribunale. L’udienza è il luogo deputato all’interlocuzione, al confronto è stata un’udienza assolutamente proficua, lunga. Si prospetta una proficua collaborazione». «Tra gli elementi che sono valutati in maniera positiva dal tribunale c’è sicuramente la disponibilità dei genitori in questi giorni», hanno aggiunto i due legali, che però non hanno potuto nemmeno ipotizzare quando i giudici scioglieranno la riserva. «Le tempistiche non le posso prevedere», ha risposto la Solinas ai cronisti. Non è chiaro, quindi, se la decisione del Tribunale dei minori arriverà prima o dopo quella della Corte d’appello.
Nelle due ore di udienza sono stati valutati su richiesta degli avvocati dei Trevallion i nuovi aspetti non conosciuti al momento dell’ordinanza di allontanamento del 20 novembre, questo per ottenere l’accoglimento della richiesta di ricongiungimento urgente per la famiglia, che sarà decisa nei prossimi giorni.
Intanto ieri il portavoce di Pro vita & famiglia, Jacopo Coghe, ha consegnato oltre 50.000 firme al ministero della Giustizia, raccolte dalla onlus con una petizione popolare rivolta al ministro Carlo Nordio per chiedere l’immediato ricongiungimento della famiglia Trevallion. «Il caso è diventato il simbolo di una deriva pericolosa, ovvero quando lo Stato, invece di sostenere i genitori, si sostituisce a loro. Così facendo calpesta il diritto dei minori a crescere con il proprio padre e la propria madre e lede il primato educativo che spetta alla famiglia», ha spiegato Coghe.
«In attesa di novità, speriamo positive, dall’udienza al Tribunale dei minori dell’Aquila di oggi pomeriggio (ieri, ndr)», aggiunge Coghe, «chiediamo al ministro Nordio di fare tutto quanto in suo potere affinché questa famiglia venga riunita e simili casi non si ripetano più. Non esiste tutela dei bambini senza rispetto dei loro genitori».
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