True
2020-04-15
Elicotteri, droni e inseguimenti in tv. È partita la caccia grossa agli italiani
Ansa
Osservando con sgomento certe scene che sembrano riprese direttamente da L'uomo in fuga di Stephen King, viene da pensare che se l'Italia avesse messo in campo un analogo schieramento di forze per la lotta alla droga oggi non avremmo più spacciatori per strada. Se un identico apparato di uomini e mezzi venisse utilizzato per contrastare l'immigrazione illegale, oggi - invece che oltre mezzo milione - non avremmo manco un clandestino in strada. Scene belliche alla televisione, con tanto di cronisti embedded a documentare le missioni di «cerca e annienta». L'inviata di Pomeriggio 5 è a bordo di un elicottero della Guardia di finanza. La informano che è all'opera «un dispositivo integrato cielo-acqua-terra per impedire ai malintenzionati di violare le regole». E un «malintenzionato», in effetti, viene individuato: un tale che sta facendo due passi su una spiaggia deserta a Venezia. L'elicottero lo bracca dall'alto, un'imbarcazione delle Fiamme gialle saetta verso la costa. I finanzieri scendono e si mettono a inseguire l'uomo che nel frattempo, ci informa la cronista, «sta scappando fra le case».
Ad Agorà va in scena un inseguimento in un parco romano sull'Appia antica. La polizia sguinzaglia un drone, un agente tallona un uomo in calzoncini e maglietta: «Si fermi, c'è il drone!». Il «malvivente» viene fermato. È un signore di mezza età che voleva farsi una corsetta. Era da solo, in un parco: 280 euro di multa perché era a circa 4 chilometri da casa. Il malcapitato tenta di giustificarsi: «Cerco di stare lontano da tutti, ma se scendo a correre sotto casa è pieno di gente con il cane». Niente da fare, la scusa non regge: impietosa sanzione.
Su Dagospia rimbalza la storia di Anna D'Angellillo, medico specializzando del Gemelli. Lavora in malattie infettive, segue i malati di Covid-19, nel suo giorno libero ha cercato di far ripartire l'auto che usa per andare al lavoro. Prima si è imbattuta in alcuni finanzieri che l'hanno aiutata a rimettere in moto il mezzo. Poi si è rimessa al volante, ha percorso un paio di centinaia di metri ed è stata fermata dalla polizia: 533 euro di multa.
Scene di caccia agli italiani e, come scriveva Stephen King, «più la cosa è sanguinosa meglio è». Gli untori sono seguiti da elicotteri, autopattuglie, droni, agenti scattanti. Quando vengono catturati come vitelli al rodeo la folla s'infiamma, è pronta a ribaltare il pollice. E come inveiva il «popolo del Web» contro «i trasgressori» che lunedì se ne stavano sulla statale Pontina, nei pressi di Roma, imprigionati in una lunga fila di macchine. L'attore Alessandro Gassmann ruggiva su Twitter: «Questi individui in fila per andare al mare a Sud di Roma allungheranno i tempi di uscita dalla fase uno di contenimento dal virus».
Solo che quegli «individui» non stavano andando a fare una scampagnata. Non erano in coda per via del traffico, ma per un posto di blocco della polizia stradale.
I numeri sono chiari: a Pasquetta, in tutta Italia, sono state controllate 252.148 persone, e ne sono state sanzionate 16.545. Significa che il 94% circa dei fermati aveva ragioni valide per essere in giro. Su 62.391 esercizi commerciali controllati, i trasgressori individuati sono stati appena 146.
Vuol dire che gli italiani (o per lo meno la stragrande maggioranza di essi) si stanno comportando non bene, ma benissimo. Sono ligi alle regole nonostante i decreti confusi, i pasticci sulle date, l'isolamento che sembra non finire mai. Come si giustifica, allora, questa grottesca caccia grossa? Sono stati fermati e sanzionati pure alcuni parlamentari. «È inaccettabile», ha detto la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, e non ha torto. Qui non si tratta di riservare a «lorsignori» un trattamento diverso rispetto alla massa. Un parlamentare ha il diritto oltre che il dovere di presidiare il territorio, di controllare che diamine succede in questo Paese dove la democrazia è in quarantena. Eppure persino i rappresentanti del popolo non sfuggono alla battuta di caccia.
Esprimere dubbi sull'incipiente Stato di polizia, tuttavia, è vietato. «In un Paese serio con un problema serio basterebbe dire: “Non c'è scelta, è la legge"», scrive Gianantonio Stella su Corriere della Sera. Solo che questo governo serio non lo è per niente, e di fronte a certe scene farsi domande è legittimo. Tanto più che, ripetiamo, non a tutti si applica la stessa severità. I migranti con i barchini si possono far entrare, in compenso l'esecutivo pensa a una fase due comprensiva di segregazione degli anziani. Per loro - apprendiamo sempre dal Corriere - si pensa a tempi più lunghi per l'uscita da casa e addirittura a percorsi differenziati per gli spostamenti. «È per il loro bene», dicono: come no. In base a un simile criterio, allora, dovremmo chiudere in casa i bambini, che sono potenzialmente più contagiosi, no? Oppure tirare dardi ai clandestini che ancora oggi si riuniscono tranquilli nelle piazzette milanesi. Ma i migranti in giro vanno bene, i vecchi no. E noi dovremmo anche star zitti ed evitare critiche?
Poi, come se non bastasse il monitoraggio con droni ed elicotteri, ecco che Roberto Burioni e altri medici propongono di creare una «Struttura di monitoraggio e risposta flessibile» per la fase due. Tale «Struttura» si occuperebbe anche di tenere d'occhio i media, studiando una «condivisione della strategia comunicativa con l'Ordine dei giornalisti e i maggiori quotidiani nonché le principali testate radio-televisive pubbliche e private». Certo, ci manca solo che il ministero della propaganda imponga cosa scrivere, così la tirannia è completa.
E il bello è che avevano pure il coraggio di far polemica per una frase scomposta sui «pieni poteri»...
La grande retata si rivela un flop I veri «cattivoni» sono lo 0,05%
Meglio di Giuseppi, potremmo chiamarlo Muscolo, come il professore sadico del Giornalino di Gian Burrasca, che godeva nel terrorizzare gli alunni. Ricordate? «Tutti fermi, tutti zitti: ché se vi vede Muscolo siete tutti fritti!». Da quando il Covid-19 gli ha messo in mano gli strumenti dello stato d'emergenza, il premier Giuseppe «Muscolo» Conte ha dato mandato al ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese, di tenerci tutti fermi (in casa), meglio se tutti zitti.
Da allora, altro che Gian Burrasca… In tv, sui giornali e sui social gli italiani si sono trasformati in una mandria d'indisciplinati. Dementi capaci di ogni nefandezza per un'ora d'aria. A chi tiene i nervi saldi e osserva i fatti, però, questa «caccia all'italiano» comincia a fare paura: anche nella pandemia, che in effetti richiede comportamenti appropriati. Fa paura, la caccia, per la criminalizzazione dei cacciati e per la falsificazione della realtà. Perché gli italiani non sono indisciplinati come li descrive Muscolo, cioè il governo. Anzi, sono molto più disciplinati del solito.
La domenica di Pasqua, 12 aprile, il Viminale ha emesso un bollettino di guerra. Persone controllate: 213.565. Risultato dei rastrellamenti: 13.756 sanzionati. Cioè appena il 6,4%. Questo, però, vale per gli irregolari veniali, fermati per un nonnulla da posti di blocco che pure non si vedevano così frequenti e severi nemmeno ai tempi del rapimento di Aldo Moro. Tra questi Gian Burrasca colti in fallo, il ministro Lamorgese ha poi specificato che sono scattate «denunce per false dichiarazioni» in appena 100 casi, mentre 19 sono i soggetti risultati «positivi al virus e segnalati per violazione della quarantena». Quindi, in definitiva, i veri «cattivi» di Pasqua sono 119, cioè lo 0,055% del totale. Lo stesso è toccato ai negozi: 60.435 attività commerciali controllate e 121 negozianti sanzionati, cioè lo 0,2%. Il Viminale sottolinea che ne sono stati chiusi solo 16, mentre per altri 31 è stata disposta «la sospensione dell'attività»: s'immagina siano quelli che si sono macchiati delle violazioni più gravi. Ma anche a metterli assieme, quei 47 negozi valgono appena lo 0,077%.
Se poi confrontiamo tutti i sanzionati del 12 aprile con i 60.317.000 italiani censiti al primo gennaio 2020, tutti gli irregolari della passeggiata di Pasqua valgono lo 0,022%. Come le tracce di fluoro presenti nell'acqua Sangemini, la più adatta ai neonati. E i 121 negozi multati, sulle 735.528 attività commerciali al dettaglio censite prima dell'epidemia, sono appena lo 0,016%.
Più o meno lo stesso è accaduto a Pasquetta. Il 13 aprile, su 252.148 controllati, i sanzionati sono stati 16.545 (il 6,5%), ma i denunciati per fatti gravi sono stati 117 (appena lo 0,046%). Tra 62.391 negozi visitati, 146 sono stati multati (lo 0,23%) e 63 sono stati chiusi (lo 0,024%). Confrontati con la totalità dei cittadini, i «cattivi italiani» di Pasquetta sono lo 0,027%. E i «cattivi negozianti» lo 0,019%.
Forse insoddisfatti, Giuseppe «Muscolo» Conte e il ministro Lamorgese ora studiano i nostri spostamenti. Usano City analytics, un servizio che dà indicatori di mobilità grazie a un capillare controllo basato su telecamere e geolocalizzazione dei cellulari. Ufficialmente attivo da ieri, City analytics studia (in modo anonimo) i nostri spostamenti in Comuni, Province e Regioni. In realtà lo fa da qualche giorno: difatti a Pasqua pare ci siamo mossi un po' troppo. Attenti a voi, Gian Burrasca d'Italia. Tutti fermi, tutti zitti: Muscolo vi osserva.
Continua a leggereRiduci
I giallorossi proseguono con il pugno di ferro verso chi viene trovato per strada. E preparano la segregazione differenziata per gli anziani. Nemmeno i parlamentari passano i posti di blocco, alla faccia della Costituzione.A Pasqua 213.565 fermati e 13.756 multe (6,4%). Ma i reati gravi sono stati solo 119.Lo speciale contiene due articoliOsservando con sgomento certe scene che sembrano riprese direttamente da L'uomo in fuga di Stephen King, viene da pensare che se l'Italia avesse messo in campo un analogo schieramento di forze per la lotta alla droga oggi non avremmo più spacciatori per strada. Se un identico apparato di uomini e mezzi venisse utilizzato per contrastare l'immigrazione illegale, oggi - invece che oltre mezzo milione - non avremmo manco un clandestino in strada. Scene belliche alla televisione, con tanto di cronisti embedded a documentare le missioni di «cerca e annienta». L'inviata di Pomeriggio 5 è a bordo di un elicottero della Guardia di finanza. La informano che è all'opera «un dispositivo integrato cielo-acqua-terra per impedire ai malintenzionati di violare le regole». E un «malintenzionato», in effetti, viene individuato: un tale che sta facendo due passi su una spiaggia deserta a Venezia. L'elicottero lo bracca dall'alto, un'imbarcazione delle Fiamme gialle saetta verso la costa. I finanzieri scendono e si mettono a inseguire l'uomo che nel frattempo, ci informa la cronista, «sta scappando fra le case». Ad Agorà va in scena un inseguimento in un parco romano sull'Appia antica. La polizia sguinzaglia un drone, un agente tallona un uomo in calzoncini e maglietta: «Si fermi, c'è il drone!». Il «malvivente» viene fermato. È un signore di mezza età che voleva farsi una corsetta. Era da solo, in un parco: 280 euro di multa perché era a circa 4 chilometri da casa. Il malcapitato tenta di giustificarsi: «Cerco di stare lontano da tutti, ma se scendo a correre sotto casa è pieno di gente con il cane». Niente da fare, la scusa non regge: impietosa sanzione. Su Dagospia rimbalza la storia di Anna D'Angellillo, medico specializzando del Gemelli. Lavora in malattie infettive, segue i malati di Covid-19, nel suo giorno libero ha cercato di far ripartire l'auto che usa per andare al lavoro. Prima si è imbattuta in alcuni finanzieri che l'hanno aiutata a rimettere in moto il mezzo. Poi si è rimessa al volante, ha percorso un paio di centinaia di metri ed è stata fermata dalla polizia: 533 euro di multa. Scene di caccia agli italiani e, come scriveva Stephen King, «più la cosa è sanguinosa meglio è». Gli untori sono seguiti da elicotteri, autopattuglie, droni, agenti scattanti. Quando vengono catturati come vitelli al rodeo la folla s'infiamma, è pronta a ribaltare il pollice. E come inveiva il «popolo del Web» contro «i trasgressori» che lunedì se ne stavano sulla statale Pontina, nei pressi di Roma, imprigionati in una lunga fila di macchine. L'attore Alessandro Gassmann ruggiva su Twitter: «Questi individui in fila per andare al mare a Sud di Roma allungheranno i tempi di uscita dalla fase uno di contenimento dal virus». Solo che quegli «individui» non stavano andando a fare una scampagnata. Non erano in coda per via del traffico, ma per un posto di blocco della polizia stradale. I numeri sono chiari: a Pasquetta, in tutta Italia, sono state controllate 252.148 persone, e ne sono state sanzionate 16.545. Significa che il 94% circa dei fermati aveva ragioni valide per essere in giro. Su 62.391 esercizi commerciali controllati, i trasgressori individuati sono stati appena 146. Vuol dire che gli italiani (o per lo meno la stragrande maggioranza di essi) si stanno comportando non bene, ma benissimo. Sono ligi alle regole nonostante i decreti confusi, i pasticci sulle date, l'isolamento che sembra non finire mai. Come si giustifica, allora, questa grottesca caccia grossa? Sono stati fermati e sanzionati pure alcuni parlamentari. «È inaccettabile», ha detto la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, e non ha torto. Qui non si tratta di riservare a «lorsignori» un trattamento diverso rispetto alla massa. Un parlamentare ha il diritto oltre che il dovere di presidiare il territorio, di controllare che diamine succede in questo Paese dove la democrazia è in quarantena. Eppure persino i rappresentanti del popolo non sfuggono alla battuta di caccia. Esprimere dubbi sull'incipiente Stato di polizia, tuttavia, è vietato. «In un Paese serio con un problema serio basterebbe dire: “Non c'è scelta, è la legge"», scrive Gianantonio Stella su Corriere della Sera. Solo che questo governo serio non lo è per niente, e di fronte a certe scene farsi domande è legittimo. Tanto più che, ripetiamo, non a tutti si applica la stessa severità. I migranti con i barchini si possono far entrare, in compenso l'esecutivo pensa a una fase due comprensiva di segregazione degli anziani. Per loro - apprendiamo sempre dal Corriere - si pensa a tempi più lunghi per l'uscita da casa e addirittura a percorsi differenziati per gli spostamenti. «È per il loro bene», dicono: come no. In base a un simile criterio, allora, dovremmo chiudere in casa i bambini, che sono potenzialmente più contagiosi, no? Oppure tirare dardi ai clandestini che ancora oggi si riuniscono tranquilli nelle piazzette milanesi. Ma i migranti in giro vanno bene, i vecchi no. E noi dovremmo anche star zitti ed evitare critiche? Poi, come se non bastasse il monitoraggio con droni ed elicotteri, ecco che Roberto Burioni e altri medici propongono di creare una «Struttura di monitoraggio e risposta flessibile» per la fase due. Tale «Struttura» si occuperebbe anche di tenere d'occhio i media, studiando una «condivisione della strategia comunicativa con l'Ordine dei giornalisti e i maggiori quotidiani nonché le principali testate radio-televisive pubbliche e private». Certo, ci manca solo che il ministero della propaganda imponga cosa scrivere, così la tirannia è completa. E il bello è che avevano pure il coraggio di far polemica per una frase scomposta sui «pieni poteri»...<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/elicotteri-droni-e-inseguimenti-in-tv-e-partita-la-caccia-grossa-agli-italiani-2645715188.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-grande-retata-si-rivela-un-flop-i-veri-cattivoni-sono-lo-005" data-post-id="2645715188" data-published-at="1586885267" data-use-pagination="False"> La grande retata si rivela un flop I veri «cattivoni» sono lo 0,05% Meglio di Giuseppi, potremmo chiamarlo Muscolo, come il professore sadico del Giornalino di Gian Burrasca, che godeva nel terrorizzare gli alunni. Ricordate? «Tutti fermi, tutti zitti: ché se vi vede Muscolo siete tutti fritti!». Da quando il Covid-19 gli ha messo in mano gli strumenti dello stato d'emergenza, il premier Giuseppe «Muscolo» Conte ha dato mandato al ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese, di tenerci tutti fermi (in casa), meglio se tutti zitti. Da allora, altro che Gian Burrasca… In tv, sui giornali e sui social gli italiani si sono trasformati in una mandria d'indisciplinati. Dementi capaci di ogni nefandezza per un'ora d'aria. A chi tiene i nervi saldi e osserva i fatti, però, questa «caccia all'italiano» comincia a fare paura: anche nella pandemia, che in effetti richiede comportamenti appropriati. Fa paura, la caccia, per la criminalizzazione dei cacciati e per la falsificazione della realtà. Perché gli italiani non sono indisciplinati come li descrive Muscolo, cioè il governo. Anzi, sono molto più disciplinati del solito. La domenica di Pasqua, 12 aprile, il Viminale ha emesso un bollettino di guerra. Persone controllate: 213.565. Risultato dei rastrellamenti: 13.756 sanzionati. Cioè appena il 6,4%. Questo, però, vale per gli irregolari veniali, fermati per un nonnulla da posti di blocco che pure non si vedevano così frequenti e severi nemmeno ai tempi del rapimento di Aldo Moro. Tra questi Gian Burrasca colti in fallo, il ministro Lamorgese ha poi specificato che sono scattate «denunce per false dichiarazioni» in appena 100 casi, mentre 19 sono i soggetti risultati «positivi al virus e segnalati per violazione della quarantena». Quindi, in definitiva, i veri «cattivi» di Pasqua sono 119, cioè lo 0,055% del totale. Lo stesso è toccato ai negozi: 60.435 attività commerciali controllate e 121 negozianti sanzionati, cioè lo 0,2%. Il Viminale sottolinea che ne sono stati chiusi solo 16, mentre per altri 31 è stata disposta «la sospensione dell'attività»: s'immagina siano quelli che si sono macchiati delle violazioni più gravi. Ma anche a metterli assieme, quei 47 negozi valgono appena lo 0,077%. Se poi confrontiamo tutti i sanzionati del 12 aprile con i 60.317.000 italiani censiti al primo gennaio 2020, tutti gli irregolari della passeggiata di Pasqua valgono lo 0,022%. Come le tracce di fluoro presenti nell'acqua Sangemini, la più adatta ai neonati. E i 121 negozi multati, sulle 735.528 attività commerciali al dettaglio censite prima dell'epidemia, sono appena lo 0,016%. Più o meno lo stesso è accaduto a Pasquetta. Il 13 aprile, su 252.148 controllati, i sanzionati sono stati 16.545 (il 6,5%), ma i denunciati per fatti gravi sono stati 117 (appena lo 0,046%). Tra 62.391 negozi visitati, 146 sono stati multati (lo 0,23%) e 63 sono stati chiusi (lo 0,024%). Confrontati con la totalità dei cittadini, i «cattivi italiani» di Pasquetta sono lo 0,027%. E i «cattivi negozianti» lo 0,019%. Forse insoddisfatti, Giuseppe «Muscolo» Conte e il ministro Lamorgese ora studiano i nostri spostamenti. Usano City analytics, un servizio che dà indicatori di mobilità grazie a un capillare controllo basato su telecamere e geolocalizzazione dei cellulari. Ufficialmente attivo da ieri, City analytics studia (in modo anonimo) i nostri spostamenti in Comuni, Province e Regioni. In realtà lo fa da qualche giorno: difatti a Pasqua pare ci siamo mossi un po' troppo. Attenti a voi, Gian Burrasca d'Italia. Tutti fermi, tutti zitti: Muscolo vi osserva.
Maurizio Landini (Ansa)
Nessun sindacalista lo ammetterà mai, ma c’è un dato che più di ogni altro fa da spartiacque tra uno sciopero riuscito e un flop. Una percentuale minima al di sotto della quale è davvero difficile cantare vittoria: l’adesione almeno degli iscritti. Insomma, se sostieni, come fa ripetutamente Maurizio Landini di essere il portavoce di un sedicente malcontento montante che sarebbe addirittura maggioranza nel Paese e ti intesti una battaglia in solitaria lasciando alle spalle Cisl e Uil e poi non ti seguono neanche i tuoi, c’è un problema.
E il problema, numeri alla mano, esiste. Ed è pure grosso. Basta vedere le percentuali dei lavoratori che hanno deciso di spalleggiare l’ennesima rivolta politica e tutta improntata ad attaccare il governo Meloni del leader della Cgil. Innanzitutto nel pubblico impiego. Tra gli statali (scuola, sanità, dipendenti di ministeri, enti locali ecc.) ci sono circa 2,7 milioni di dipendenti contrattualizzati. E tra questi il 12% ha in tasca la tessera della Cgil. Bene, a fine giornata i dati ufficiali parlavano di circa il 4,4% complessivo di adesione all’ennesimo logoro show di Landini. Messa in soldoni: ormai anche la Cgil si è stancata del suo segretario che combatte una battaglia personale e quasi sempre sulle spalle dei lavoratori.
Che in corso d’Italia monti il malcontento, La Verità lo evidenzia da un po’ di tempo, ma il dato degli impiegati dello Stato è particolarmente significativo. Perché è intorno agli statali che l’ex leader della Fiom ha combattuto e poi perso la sua battaglia più significativa. Per mesi e mesi, infatti, spalleggiato dalla Uil e dall’ex alleato Pierpaolo Bombardieri, Landini ha bloccato il rinnovo dei contratti della Pa.
Circa 20 miliardi, già stanziati dal governo, fermi. E aumenti tra i 150 e i 170 euro lordi al mese, con istituti di favore come la settimana cortissima e il ticket anche in smart working, preclusi ai lavoratori per l’opposizione a prescindere del compagno Maurizio. Certo, lui l’ha spiegata come una lotta di giustizia sociale che aveva l’obiettivo di recuperare tutta l’inflazione del periodo (2022-2024). Ma si trattava di un bluff. Perché la Cgil con governi di un colore diverso ha rinnovato contratti decisamente meno convenienti e che comunque non coprivano il carovita.
Insomma, quella sugli accordi della pubblica amministrazione è diventata l’ultima frontiera dell’opposizione a prescindere. E su quella battaglia Landini si è schiantato. Prima nel merito, perché alla fine la Uil l’ha mollato e i contratti sono stati firmati. E poi sul campo: perché se almeno la metà degli iscritti diserta sciopero (e siamo benevoli), vuol dire che i tuoi stanno bocciando una linea che porta nelle piazza, sulle barricate e sui giornali, ma lascia i lavoratori con le tasche sempre più vuote.
«Il dato», spiega alla Verità il ministro della Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo, «certifica l’ennesimo flop degli scioperi generali, un fallimento che finisce tutto sulle spalle della Cgil che nel pubblico impiego può contare su circa 300.000 iscritti. Pur ammettendo che tutti gli aderenti siano tesserati di Landini e che le proiezioni del pomeriggio vengano confermate, la bocciatura interna per la linea del segretario sarebbe evidente. E, del resto, questo disagio era palese anche sul tavolo delle trattative per il rinnovo del contratto. È arrivato il momento che anche all’interno del sindacato si apra una riflessione sincera».
E se tra gli statali la sconfitta è stata cocente, non meglio è andata nel privato. Dove, però, i dati sono più frammentati. Secondo le rilevazioni degli altri sindacati, ci sono alcune situazioni clamorose e altri meno, ma sempre di batoste si tratta.
Appartengono al primo caso le adesioni ferme a quota 1% nei cantieri delle grandi opere: dal Brennero fino al Terzo valico e alla Tav. Si risale al 5% negli stabilimenti di produzione e lavorazione di cemento, legno e laterizi, ma in generale la partecipazione nell’edilizia è stata bassissima.
Come nell’agroalimentare, dove, se si fa eccezioni per la rossa Emilia-Romagna (ai reparti produttivi della Granarolo si è arrivati a sfiorare il 50%), i risultati nelle piccole e medie imprese sono quasi tutti sotto il 5%. La media tra le aziende elettriche è del 5%, nelle Poste siamo fermi al 2,5% e nelle banche si sfiora l’1%. Leggermente meglio nel terziario e nel commercio (dove viene toccato il 10%), così come si contano sulle punte delle dita i siti delle realtà industriali in doppia cifra (Ex Ilva a Novi, Marcegaglia di Dusino San Michele in Piemonte e alcuni siti di Leonardo).
Insomma, al balletto delle cifre nelle manifestazioni siamo abituati e che ci siano delle enormi differenze numeriche tra promotori dello sciopero e controparte sta nelle regole del gioco, eppure si fa davvero fatica a capire da dove il sindacato rosso abbia tirato fuori il dato del 68% delle adesioni. Se 7 lavoratori su 10 si fermano, l’Italia si blocca. Non solo i trasporti, ma tutto il sistema finisce in una sorta di pericoloso stand by collettivo. Nulla a che vedere con quello che è successo sul territorio che ieri ha subito qualche prevedibile disagio da effetto-annuncio, ma poco più. Ma, del resto, nel Paese immaginario che sta raccontando Landini può succedere questo e altro.
Landini straparla di regime e agita lo sciopero infinito
«Fanno bene ad avere qualche timore, avere qualche paura, perché non ci fermano. Non so come dirlo, non ci fermano e, siccome siamo convinti di rappresentare la maggioranza del Paese, andremo avanti fino a quando questa battaglia l’abbiamo vinta». È stato questo il grido di battaglia, ieri, del segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, a Firenze dove ha partecipato al corteo nel giorno dello sciopero generale contro la legge di bilancio, salari bassi, precarietà e caro-vita.
Una protesta «per cambiare la manovra 2026, considerata del tutto inadeguata a risolvere i problemi del Paese, malgrado le modifiche appena approvate, per sostenere investimenti in sanità, istruzione, servizi pubblici e politiche industriali, per fermare l’innalzamento dell’età pensionabile, per contrastare la precarietà». Insomma, i temi sul tavolo di ogni governo degli ultimi 30 anni, basti pensare alla sanità da sempre gestita dalla sinistra da Rosy Bondi in poi, ma che, per Landini e sinistra, sembrano esplosi con l’arrivo del governo Meloni. E, ignorando totalmente i dati dell’occupazione che cresce in maniera costante, arriva a sostenere che «La precarietà non è un problema dei giovani: se vogliamo combattere e contrastare la precarietà, sono quelli che non sono precari che, innanzitutto, si devono battere e scioperare per cancellare la precarietà. Questa è la solidarietà, questo è il sindacato».
«Quando ho lavorato», ha ricordato Landini, «io la precarietà non l’ho conosciuta. E vorrei che fosse chiaro, non è merito mio, eh, io non avevo fatto niente, ero andato semplicemente a lavorare. Ma mi sono trovato dei diritti, perché quelli prima di me, che quei diritti lì non ce ne avevano, si erano battuti per ottenerli. Non per loro, ma per tutti. Tre mesi dopo che ero assunto come apprendista, ho potuto operare e partecipare a una manifestazione senza essere licenziato. Non m’hanno fatto prove del carrello», ha detto riferendosi ai tre lavoratori della catena Pam allontanati dopo un controllo a sorpresa che ha simulato un furto. «Dobbiamo far parlare il Paese reale, perché dobbiamo raccontare quel che succede: qui siamo, ormai, a un regime, ci raccontano un Paese che non c’è, ci raccontano una quantità di balle, che tutto va bene, tutto sta funzionando. Non è così».
Il leader della Cgil ha, poi, sottolineato che oggi c’è «un obiettivo esplicito della politica e del governo: mettere in discussione l’esistenza stessa del sindacato confederale come soggetto che ha diritto di negoziare alla pari col governo». Al segretario che un anno fa voleva «rivoltare il Paese come un guanto», lo sciopero politico di ieri gli è comunque costato la mancata unità sindacale con Cisl, Uil e Ugl ormai fuori sintonia. Landini ha chiarito che «il diritto di sciopero è un diritto costituzionale e non accetteremo alcun tentativo di metterlo in discussione o di limitarlo. Oggi siamo in piazza non contro altri lavoratori o altri sindacati, ma per estendere questi diritti a tutti. Quando un governo prova a delegittimare chi protesta o a ridurre gli spazi di partecipazione democratica, significa che non vuole ascoltare il disagio reale che attraversa il Paese. Lo sciopero è per cambiare politiche sbagliate. E la grande partecipazione che vediamo oggi dimostra che c’è un Paese che chiede un cambio di rotta».
«Il Paese non è più disponibile a un’altra legge di bilancio di austerità e di tagli», ha affermato il leader di Avs, Nicola Fratoianni, presente alla manifestazione con Angelo Bonelli. Sul palco in piazza del Carmine ha trovato posto anche la protesta dei giornalisti de La Stampa e Repubblica, in sciopero dopo l’annuncio di Exor della cessione del gruppo editoriale Gedi al magnate greco Theodore Kyriakou. Mai così in prima fila nella solidarietà ad altre crisi di giornali meno «amici», Landini ha spiegato il perché: «Pensiamo che quello che sta succedendo sia un tentativo esplicito di mettere in discussione la libertà di stampa e la possibilità concreta di proseguire e di fare serie politiche industriali. Mi sembra evidente quello che sta succedendo: abbiamo imprese e imprenditori che, dopo aver fatto i profitti, chiudono le imprese, se ne vogliono andare dal nostro Paese per usare i soldi e quella ricchezza che è stata prodotta da chi lavora, da altre parti. Ecco, quelli che fanno i patrioti dove sono? Stanno difendendo chi? Difendono quelli che pagano le tasse che tengono in piedi questo Paese o difendono quelli che chiudono le aziende che investono da un’altra parte?». C’è voluta la vendita di Repubblica perché Landini attaccasse Elkann visto che dalla nascita di Stellantis, nel gennaio 2021, l’azienda ha licenziato solo in Italia attraverso esodi incentivati 7.500 lavoratori. Del restom lo ha detto chiaramente Carlo Calenda di Azione: «Da quando la Repubblica è stata comprata da Elkann, Fiom e Cgil hanno smesso di dare battaglia che prima facevano con Sergio Marchionne quando la produzione aumentava, adesso che è crollata non li senti più dire nulla».
Intanto ieri Landini non ha nascosto la sua soddisfazione per la risposta allo sciopero, «le piazze si sono riempite e le fabbriche svuotate», rinfocolando la polemica a distanza con il ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, che aveva definito «irresponsabile» bloccare il Paese. «Noi stiamo facendo il nostro mestiere, quello che non fa Salvini», la replica del segretario della Cgil. Il vicepremier leghista ieri ha visitato la centrale operativa delle Ferrovie dello Stato per verificare le ricadute dello sciopero, ed ha definito «incoraggianti» i dati sull’adesione, «con disagi limitati» dovuti soprattutto all’effetto «annuncio».
Continua a leggereRiduci
John Elkann (Getty Images)
Eppure, mentre assiste impassibile alla disfatta dell’industria automobilistica italiana, la sinistra si agita per la vendita di Gedi, ovvero di ciò che resta del gruppo editoriale che un tempo faceva capo alla famiglia De Benedetti. Nel corso degli anni, dopo aver comprato dai figli dell’Ingegnere decine di testate, tra cui Repubblica, l’Espresso e un pacchetto di giornali locali, Elkann ha provveduto a smembrare e cedere quasi tutto. Venduto lo storico settimanale che all’inizio dava il nome al gruppo e il cui titolo era quotato in Borsa. Via il Secolo XIX, quotidiano con forti radici in tutta la Liguria. Passati di mano il Tirreno a Livorno, la Nuova Sardegna a Sassari, il Piccolo a Udine, il Messaggero Veneto a Pordenone. Mollati a imprenditori locali la Gazzetta di Mantova e pure quella di Reggio Emilia e Modena, la Nuova Ferrara, la Provincia Pavese, il Mattino di Padova, la Tribuna di Treviso, la Nuova di Venezia e perfino la Sentinella del Canavese, tra Ivrea e Val d’Aosta. Insomma, un impero di carta fatto a pezzi minuti, che alla fine è rimasto con sole due testate, ovvero Repubblica (con propaggini come Huffington Post, Limes e National Geographic) e La Stampa, oltre a tre radio, la più importante delle quali è Radio Deejay. I giornali ancora nelle mani del nipote dell’Avvocato sono un buco nero, anzi rosso, di perdite. Dopo svalutazioni da centinaia di milioni, continuano a perdere soldi, oltre che copie. Le sole soddisfazioni arrivano dalle emittenti: per il resto solo dolori e niente gioie.
Si sapeva che Elkann volesse disfarsi di tutto, anche perché vorrebbe disfarsi pure degli stabilimenti e trasferirsi felice a Parigi o in America, dove peraltro studiano i figli. Si sapeva anche che il suo interesse nei confronti dei giornali fosse pari a zero. La Stampa se l’era ritrovata sulle spalle insieme con una montagna di miliardi, ma l’amore per la testata non era proprio fortissimo. Repubblica e il resto se li era comprati all’improvviso dai De Benedetti per fare quello che De Benedetti, Carlo, aveva fatto per anni benissimo, ossia accreditarsi con la politica. I giornali della sinistra dovevano coprire la ritirata dall’Italia, l’addio all’industria automobilistica. E forse sono serviti a limitare le polemiche, visto che Landini a lungo ha concesso interviste a Repubblica e Stampa senza mai lamentarsi troppo di quello che stava accadendo nelle fabbriche del gruppo.
Certo, fa un po’ impressione vedere la Bibbia di generazioni di compagni, che dopo aver soppiantato perfino l’Unità viene venduta come se fosse una Magneti Marelli qualsiasi. Una cessione nel cinquantesimo esatto della fondazione, per di più a un imprenditore straniero che pare essere in affari con quel «principe rinascimentale» (copyright Renzi) di Bin Salman, uno che i giornalisti di solito li fa a pezzi. Ma soprattutto, una vendita contro cui sindacato e sinistra chiedono l’intervento di quella Giorgia Meloni che fino a ieri era considerata una minaccia per la libertà di stampa. Tuttavia, impressiona di più la levata di scudi della sinistra per una Casta di colleghi che a lungo ha guardato con sufficienza il mondo, ritenendosi intoccabile. Poi qualcuno si chiede perché gli operai non votino più né il Pd né i cespugli che gli ruotano attorno, mentre alla Cgil siano rimasti solo i pensionati.
Continua a leggereRiduci
Elsa Fornero (Ansa)
Bisogna avvertire i giovani italiani: guardatevi dalle previsioni di questa signora. È Elsa Fornero, che ha una specie di ossessione per Matteo Salvini - le rimprovera una riforma delle pensioni tanto austera quanto inefficace - ma assi considerata da Mario Monti. Fu ministro del Lavoro in quel governo che tra 2011 e 2013 ha segnato tutti i record negativi degli ultimi trenta anni. È rimasta nell’immaginario di molti perché, mentre di fatto aboliva le pensioni, si è commossa. Sottofondo musicale: il coccodrillo come fa, pensando alle lacrime. La pensionata Elsa Fornero, già docente d’economia in quel di Torino, benissimo introdotta nei salotti pingui della «rive gauche» del Po, è il grillo parlante de La 7. Tutti i talk della Cairo production - portafoglio a destra e audience a sinistra - la venerano come l’oracolo di Delfi.
Ma anche alla Stampa non scherzano. Ieri le hanno offerto una pagina intera per dire: «Serve un piano che salvi il nostro Paese dal declino, la situazione è drammatica: c’è un grande paradosso perché, se i giovani sono meno, dovremmo investire su di loro perché si occuperanno degli anziani». E come si fa a investire su questi giovani che lei, con la sua riforma che ha alzato l’età pensionabile, ha lasciato per strada? Nell’unico modo che Elsa Fornero conosce: tartassare gli italiani. Nel foglio torinese dismesso da John Elkann remunerato sulla via del Partenone, si esercitano pensose signore dei numeri che mai se la pigliano però col padrone di Stellantis. Giorni fa la professoressa Veronica De Romanis, coniugata Bini Smaghi cioè Société générale e soprannominata madame Mes, ha sostenuto che l’Ue è meglio degli Usa, fornendo un profluvio di cifre. Se n’è scodata una: il Pil degli americani è 75.000 dollari pro capite a parità di potere di acquisto, quello degli europei è 38.000 dollari. Vedete un po’ voi.
Ma anche Elsa Fornero con i numeri s’impappina. In presa diretta, nostra signora della previdenza sgrana un rosario di nefandezze imputabili al centrodestra: i giovani hanno lavoro precario e malpagato, c’è un abbandono scolastico intollerabile (anche perché paghiamo poco gli insegnanti) e per occuparsi davvero del Paese serve una sorta di Pnrr dedicato ai giovani, per spingere la natalità, con una classe politica che non guardi all’oggi, ma sia proiettata nel medio termine. L’intervistatrice Sara Tirrito, adorante, osa domandarle: ma come si fa? Ecco dal campionario di Elsa delle lacrime e sangue uscire le tasse: 3,1 miliardi si trovano con nuove imposte sugli affitti, 3,5 miliardi di maggiori entrate vengono trasformando la flat tax per i giovani che svolgono lavoro autonomo in tassazione progressiva, altri miliardi vengono rimodulando (al rialzo) l’Iva sugli acquisti on-line. E poi tassa di successione per finanziare un piano scuola, per consentire ai giovani di trovare lavoro non precario e ben pagato.
La professoressa non si accorge delle sue contraddizioni. Dice: i giovani devono badare agli anziani che, però, devono pagare in anticipo la tassa di successione; i ragazzi vanno impiegati in lavori ad alta qualificazione così non emigrano, ma lei vuole stangarli subito con l’imposta progressiva togliendo la flat tax. Aggiunge che che devono farsi una vita autonoma, ma con le tasse sugli affitti manda le locazioni fuori mercato. Però se queste contraddizioni si sciorinano sospirando o quasi piangendo - «aiutiamoli quando sono giovani ad avere una vita degna di questo nome» - fa tutto un altro effetto. Perdonerà la professoressa Elsa Fornero, ma tornano in mente alcuni dati. La pressione fiscale con il governo Monti ha toccato in Italia il record assoluto arrivando al 45,1% del Pil in media grazie all’introduzione dell’Imu prima casa, alla Tobin tax che, però, il governo Meloni ritocca inspiegabilmente al rialzo, al quasi raddoppio dell’imposta sulle transazioni finanziare e all’aumento di tutte le addizionali Irpef.
Come ricompensa agli italiani, Mario Monti aveva offerto il record di aumento del debito pubblico, arrivato a 2.040 miliardi, a botte di 7,5 miliardi al mese: tra il 2011 e il 2012 si sono accumulati 129 miliardi di passivo aggiuntivo. Pensando ai giovani, con Elsa Fornero ministro del Lavoro il tasso di disoccupazione dei 15-24enni è salito dal 27,4% al 33,9%, con un picco del 48% per le giovani donne del Mezzogiorno. Il tasso di disoccupazione complessiva, con un Pil crollato del 2,6%, col governo Monti è cresciuto del 40%, cioè di oltre 750.000 unità. Sono credenziali perfette per dare buoni consigli.
Giusto per memoria visto che siamo al disastro: col governo di Giorgia Meloni lo spread - dato di ieri - è a 68 punti base (meglio della Francia, ma non ditelo alla De Romanis) e ai minimi da 2008, il rating dell’Italia è stato alzato in positivo dopo un quarto di secolo, il tasso di occupazione a novembre è del 62,7% con 75.000 occupati in più ed è il record. Gli stipendi nel 2024 e nei primi nove mesi del 2025 sono cresciuti più dell’inflazione (3,5% di media contro 1,8% di aumento del costo della vita). Meglio questi tassi delle tasse, non trova? Ma non si preoccupi, Fornero: qualcuno che l’ascolta se evoca il disastro lo trova. Di solito sta in fondo a sinistra.
Continua a leggereRiduci
Ansa
Nel centro di Milano il mattone vale oro. Tra Brera, via Anfiteatro e via della Zecca le quotazioni superano stabilmente i 15.000 euro al metro quadro. Nei casi più ambiti, per nuove costruzioni o interventi di pregio, si arriva a 20.000 euro. È qui che si concentrano gli affari immobiliari più redditizi della città. Ed è qui che, secondo la Procura, per anni ha preso forma un meccanismo parallelo capace di orientare pratiche e interpretazioni urbanistiche.
Il sequestro di via Anfiteatro va letto in questa chiave, non come un singolo abuso, ma come la spia di un sistema. Un circuito informale che avrebbe coinvolto dirigenti comunali, funzionari, progettisti e organismi tecnici.
Un assetto che, scrive il gip Mattia Fiorentini, avrebbe consentito di aggirare le regole del centro storico senza modificarle apertamente.
Le carte descrivono una rete di relazioni consolidate. Al centro compare Giovanni Oggioni, storico dirigente dell’edilizia comunale, protagonista anche del passaggio dal vecchio Prg al Pgt tra il 2010 e il 2012. Attorno a lui si muovono Marco Emilio Maria Cerri, progettista di riferimento per grandi operazioni immobiliari, Andrea Viaroli, funzionario del Sue, e Carla Barone, dirigente dello stesso settore. Per il giudice non si tratta di coincidenze. Ma dell’esistenza di un ufficio parallelo, capace di incidere sugli iter amministrativi.
Lo snodo è la determina dirigenziale 65 del 2018, adottata durante la giunta Sala. Un atto tecnico, mai discusso in Giunta o in Consiglio, ma centrale. Secondo il decreto di sequestro, quella determina consente di sostituire il piano attuativo con una semplice Scia anche nel centro storico. Un passaggio che riduce i controlli e accorcia i tempi. Proprio nelle aree dove le tutele dovrebbero essere massime.
Il piano attuativo non è una formalità. Serve a valutare l’impatto complessivo degli interventi: volumi, altezze, distanze, standard, servizi, carico urbanistico. Evitarlo significa rendere più agevoli operazioni più grandi e più redditizie. Accade nelle zone B2 e B12, nate per il recupero dell’esistente e la tutela del tessuto storico, non per l’aumento delle volumetrie.
Tra i documenti interni e riservati conservati da Oggioni compaiono anche materiali relativi alla torre di via Stresa, un’altra operazione immobiliare riconducibile alla famiglia Rusconi, già coinvolta nel progetto di via Anfiteatro. Un collegamento che, per gli inquirenti, conferma la ricorrenza degli stessi operatori e delle stesse prassi.
Secondo il gip, parte di questi file sarebbe stata occultata. Dopo il 7 novembre 2024, quando Oggioni riceve la notifica del sequestro dei dispositivi elettronici, alcuni documenti vengono cancellati. Il decreto parla apertamente di depistaggio. Un passaggio che sposta il baricentro dell’indagine: non solo irregolarità urbanistiche, ma interferenze sul corretto svolgimento delle indagini.
Il perimetro non si ferma a via Anfiteatro. Le indagini toccano anche via Zecca Vecchia e in un’informativa compare anche per Largo Claudio Treves, sempre nel quartiere Brera. Qui il progetto promosso da Stella R.E., dopo l’acquisto dell’immobile comunale nel 2021, prevede un nuovo edificio residenziale di nove piani. L’operazione si inserisce in uno dei filoni centrali dell’indagine della Procura, quello sulla dismissione del patrimonio pubblico nel centro storico. Lo stesso immobile è stato ceduto dal Comune all’asta per una cifra che tocca i 50 milioni di euro. Nelle carte il progetto viene discusso anche da Giuseppe Marinoni e Giancarlo Tancredi: l’ex assessore spera non ci siano intoppi.
Continua a leggereRiduci