2020-08-13
Egiziano con un’arma entra indisturbato nel Duomo di Milano
L'extracomunitario si è introdotto nella cattedrale e ha preso in ostaggio con il coltello una guardia. Arrestato dopo un blitz.Continuano gli arrivi, nonostante l'incontro fra Luigi Di Maio e le autorità di Tunisi.Lo speciale contiene due articoli.Era seduto sui gradini del Duomo di Milano, già alle spalle del presidio nel quale sosta un mezzo blindato con due militari armati. Ogni tanto lanciava uno sguardo sulla pattuglia della polizia di Stato presente in piazza. E a quel punto è scattato un controllo. Gli agenti del commissariato Centro si sono avvicinati e gli hanno chiesto i documenti. Lui ha prima detto di chiamarsi Cristiano e di essere lì per lavorare. Poi è scattato in piedi, li ha bruciati sul tempo buttando giù con un calcio una transenna, ha varcato l'ingresso principale, quello riservato ai fedeli (in cui si effettuano i controlli con il metal detector e si verifica il contenuto delle borse), ha lasciato di stucco un vigilante e si è fiondato verso l'altare. Una seconda guardia giurata gli si è avvicinata ma, proprio davanti all'altare, è stata minacciata con un coltello a serramanico (con lama da 10 centimetri) puntato verso il collo e costretta a inginocchiarsi. Il tutto ripreso in diretta dalle telecamere a circuito chiuso che filmano costantemente i punti considerati «sensibili» (il video è stato postato sul profilo Twitter della polizia di Stato). Il protocollo di sicurezza è scattato circa alle 13. Quasi in contemporanea con l'ingresso. Ma se l'uomo fosse stato un terrorista avrebbe avuto tutto il tempo di fare una strage. Il che fa risaltare le criticità del sistema di sicurezza. Per fortuna l'egiziano ventiseienne era «solo» un balordo con precedenti per un furto di alcolici. In centrale è stato accertato che ha un passaporto rilasciato dalla Questura di Savona nel 2010, un regolare permesso di soggiorno di lunga durata e anche un'occupazione. Il suo precedente risale a quattro anni fa: all'aeroporto di Malpensa aveva rubato due bottiglie di vino al duty free ed era scappato. Anche in quella occasione lo avevano inseguito fino all'area riservata al personale dello scalo. Mentre visitatori e fedeli, che hanno temuto un attacco terroristico, sono stati condotti su un'ala del Duomo, è cominciata una trattativa con l'islamico, condotta dal vicedirigente del commissariato, il vicequestore Luca Gazzili, e dal commissario Mauro Frare, funzionario coordinatore della sezione volanti, andata a buon fine in pochi minuti. Al primo segno di cedimento gli agenti (erano in sei all'interno della cattedrale) gli sono saltati addosso e lo hanno disarmato e immobilizzato, liberando l'ostaggio. All'esterno c'era già una volante ad attenderlo. L'interrogatorio è stato condotto in Questura dagli investigatori della Digos, in stretto contatto con il pm Alberto Nobili, che coordina il pool antiterrorismo. A far tirare un sospiro di sollievo è arrivata una dichiarazione ufficiale: «Al momento non c'è alcun elemento concreto che possa far ipotizzare un gesto terroristico». L'immigrato ha riferito di essere di origine egiziana ma di essere nato a Londra. Ha farneticato anche che aveva una camera da letto all'interno del Duomo e voleva semplicemente entrare per farsi una pennichella dopo pranzo. L'accusa è di resistenza a pubblico ufficiale, porto abusivo d'arma e sequestro di persona. E siccome ha fornito false generalità ai poliziotti al momento del controllo, la Procura valuterà se avanzare anche questa contestazione.«Un episodio gravissimo e inaccettabile», lo ha definito il governatore lombardo Attilio Fontana. «Ora la Regione è pronta fare la sua parte e, in base alle proprie competenze, assicura la massima attenzione e supporto alla guardia giurata», assicura l'assessore regionale alla Sicurezza, Riccardo De Corato, che aggiunge: «Milano ormai vive in balia dei delinquenti. Se al momento non c'è alcun elemento concreto che possa far ipotizzare un gesto terroristico, resta comunque la gravità dell'accaduto». Mariastella Gelmini, capogruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati, tuona su Facebook: «La grave aggressione non è che l'ultimo episodio in una città sempre più insicura, con l'aggravante che la violenza è entrata questa volta nel luogo più sacro di Milano. Non si contano più gli episodi violenti dello spaccio e della movida fuori controllo. La città ha bisogno di sicurezza. Ultimata la stagione dei flirt con Beppe Grillo, il sindaco Beppe Sala dovrà metterci la testa. Campagna elettorale permettendo». Dalla Lega, invece, attendono il ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese, sabato prossimo a Milano per la riunione del comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza pubblica. Paolo Grimoldi, deputato de Carroccio e segretario della Lega Lombarda, sottolinea che «è giusto riunire il comitato a Milano, città allo sbando sotto il profilo dell'ordine pubblico». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/egiziano-con-unarma-entra-indisturbato-nel-duomo-di-milano-2646964352.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-diplomazia-di-di-maio-e-un-flop-sbarcati-a-lampedusa-50-tunisini" data-post-id="2646964352" data-published-at="1597273980" data-use-pagination="False"> La diplomazia di Di Maio è un flop. Sbarcati a Lampedusa 50 tunisini Dodici sbarchi, 16 tra gommoni e barchini approdati. Trecentosessanta migranti fermati e identificati. Sono i numeri delle ultime 24 ore sull'isola di Lampedusa. È crisi totale sul fronte sanitario e dell'ordine pubblico. Lo hanno definito l'assedio. Già, perché i militari della Capitaneria di porto e della Guardia costiera non fanno in tempo ad ormeggiare nell'area di sequestro del porto le piccole imbarcazioni utilizzate dai migranti che all'orizzonte si profilo altri arrivi. In fila, a motore spento, le «carrette del mare» attendono il loro turno per sbarcare sull'isola. La prefettura di Agrigento cerca di tamponare la situazione predisponendo il trasferimento dei migranti; l'hotspot di contrada Imbracola a Lampedusa ha superato da giorni il limite di capienza: 460 migranti a fronte di un'agibilità che si attesta sulle 200 unità. I nuovi arrivi sono prevalentemente tunisini, come testimoniano le segnalazioni delle ultime ore. Oltre 50 tunisini, con tre diversi barchini, sono sbarcati nella notte tra martedì e mercoledì. Nelle ore precedenti un barchino, con a bordo una ventina di migranti, è riuscito ad arrivare fino a Cala Palme a Lampedusa. I tunisini, abbandonando l'imbarcazione, si sono diretti verso il chiosco che sorge sull'arenile. E proprio la Tunisia è stata nei giorni scorsi al centro dell'agenda politica del governo. Dieci giorni fa il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha convocato l'ambasciatore tunisino a Roma per affrontare la questione dell'incremento degli sbarchi verso le coste italiane. Il titolare della Farnesina ha quindi invitato la Tunisia ad adottare ogni misura necessaria a contrastare le partenze illegali dal suo territorio. Tra queste anche l'attivazione di attività di più stretta vigilanza costiera e ad accelerare i voli di rimpatri. Il risultato? Sbarchi aumentati, partenze triplicate. Scarso, se non nullo, anche l'effetto sortito dalle dichiarazioni di intenti del ministro dell'Interno. «La Tunisia intervenga sui flussi incontrollati di migranti». Così il 27 luglio Luciana Lamorgese parlava al presidente della Tunisia Kais Saied incontrato proprio nella capitale del paese maghrebino. In quella circostanza il nostro ministro ha condiviso con Saied le «forti preoccupazioni italiane» per l'incremento degli arrivi via mare. Al 24 luglio su 11.191 migranti sbarcati in Italia, ben 5.237 sono partiti dalla Tunisia e di questi quasi 4mila sono tunisini. «Flussi incontrollati» così li ha definiti il Viminale in quella circostanza. Come per Di Maio, anche l'incontro con la Lamorgese si è concluso con le rassicurazioni su una «intensificazione dei controlli alle frontiere marittime per contrastare l'attività dei trafficanti di migranti». Nulla di fatto. Intanto è salito a 73 il numero di migranti positivi al Covid nell'hotspot di Pozzallo, primo centro di raccolta degli stranieri sbarcati a Lampedusa. Il prefetto di Ragusa, Filippina Cocuzza, ha annunciato al sindaco Roberto Ammatuna che sarà l'esercito a presidiare il centro. I militari arriveranno lunedì prossimo, mentre a denunciare la situazione con un post su Facebook per richiamare l'attenzione del governo è stato l'assessore alla Salute della regione Sicilia, Ruggero Razza: «Ho appena appreso dai sanitari dell'Asp di Ragusa che a Pozzallo altri 64 migranti ospiti dell'hotspot sono risultati positivi al coronavirus. Tutto questo in un solo giorno. Spero che adesso si capisca perché da mesi parliamo della necessità di un protocollo sanitario e di pesanti sottovalutazioni da parte di Roma». Anche il capo della polizia, Franco Gabrielli, conferma: «Stiamo cercando di limitare i focolai» generati dai flussi migratori.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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