L’Agenzia del farmaco non pubblica bollettini sui danni da vaccino da quattro mesi. Ma abbiamo scoperto che i dati nascosti ai connazionali vengono forniti all’Ema: quasi 18.000 segnalazioni in questo periodo. E una su sei risulta «grave»: miocarditi, pericarditi, embolie polmonari, trombosi. Giallo sul numero dei morti.
L’Agenzia del farmaco non pubblica bollettini sui danni da vaccino da quattro mesi. Ma abbiamo scoperto che i dati nascosti ai connazionali vengono forniti all’Ema: quasi 18.000 segnalazioni in questo periodo. E una su sei risulta «grave»: miocarditi, pericarditi, embolie polmonari, trombosi. Giallo sul numero dei morti.Che fine ha fatto il report dell’Agenzia italiana del farmaco sulle reazioni avverse ai vaccini contro il Covid? Risale ormai a quasi quattro mesi fa, infatti, la diffusione dell’ultimo documento sugli effetti collaterali provocati dal siero. Era il lontano 12 ottobre 2021 quando gli uffici di via del Tritone sfornavano il nono - e finora ultimo - «Rapporto sulla sorveglianza dei vaccini Covid-19». Fino a quella data la pubblicazione aveva cadenza mensile, una frequenza dettata - a detta della stessa Agenzia - per assicurare «sufficienti dati per garantire la robustezza delle analisi, della comparazione e delle valutazioni». Come spiegato alcuni giorni fa su queste pagine, a ottobre il voltafaccia: «Considerata la stabilità dell’andamento delle segnalazioni per i diversi vaccini, il Rapporto di sorveglianza sarà pubblicato con cadenza trimestrale». Una scelta discutibile, ma tant’è. L’uscita del nuovo report era prevista dunque intorno al 12 gennaio, cioè tre settimane fa. E invece nulla. Negli ultimi giorni abbiamo provato a più riprese a metterci in contatto con gli uffici dell’ente per ottenere informazioni sulla data di pubblicazione del prossimo aggiornamento. Risultato? Non c’è stata anima viva che si sia degnata di risponderci. E qui non si tratta di essere «no vax», tutt’altro. Perché, come spiega la stessa Agenzia nell’incipit del rapporto, «nessun prodotto medicinale può essere mai considerato esente da rischi», e «verificare che i benefici di un vaccino siano superiori ai rischi e ridurre questi al minimo è responsabilità delle autorità sanitarie che regolano l’immissione in commercio dei prodotti medicinali». Chi fa da sé fa per tre, dice il proverbio. E così, ispirati dal vecchio adagio, ci siamo mossi per colmare le lacune dell’Aifa. Prima di tutto, confrontando i numeri del rapporto pubblicato lo scorso ottobre con quelli presenti su Eudravigilance, la banca dati continentale dell’Ema per la gestione e l’analisi delle segnalazioni. L’Aifa spiega infatti sul proprio sito che «tutte le segnalazioni di sospette reazioni avverse raccolte nella Rete nazionale di farmacovigilanza sono regolarmente inviate a Eudravigilance», le quali a loro volta vengono poi trasmesse al database Vigibase dell’Organizzazione mondiale della sanità. Obiettivo della nostra ricerca era, in altre parole, comprendere se a essere bloccata fosse solo la pubblicazione del Rapporto mensile oppure l’intero flusso di dati. Con un certo stupore abbiamo appurato che, in effetti, il numero delle segnalazioni presenti sulla banca dati europea risultava più alto rispetto alle cifre rilasciate da Aifa lo scorso autunno. Rilevando un incremento di segnalazioni per tutti i vaccini somministrati in Italia, nell’ordine: Pfizer (+11.262 segnalazioni), Moderna/Spikevax (+6.128), Janssen (+236) e Vaxevria/Astrazeneca (+138). Variazioni che sembrano dimostrare come, in questi ultimi mesi, l’Aifa abbia effettivamente trasmesso i dati alla controparte europea, senza però al tempo stesso rendere conto ai cittadini. Non paghi del risultato abbiamo scavato più a fondo. Nella pagina dedicata alla farmacovigilanza, l’Aifa spiega che i «dati delle segnalazioni di sospette reazioni avverse a vaccini Covid-19 inserite in Rete nazionale di farmacovigilanza sono accessibili dal sistema Ram», consultabili sia per organo o apparato interessato, che per singola reazione avversa. Non senza fatica siamo riusciti ad accedere alla piattaforma: occorre infatti essere titolari di un’utenza Spid, oppure in possesso di una carta d’identità elettronica o tessera sanitaria o carta nazionale dei servizi abilitate. Ma questo è il minimo. Una volta entrati ci siamo imbattuti in una pagina in inglese senza alcun riferimento alla farmacovigilanza dei vaccini Covid. Occorrono diversi ulteriori passaggi, attraverso menù e sottomenù rigorosamente in lingua inglese, per arrivare a destinazione. Finalmente ripagati delle fatiche, davanti ai nostri occhi vediamo materializzarsi i dati delle reazioni avverse aggiornati al 26 gennaio 2022, relativi dunque anche ai periodi successivi al 26 settembre scorso, data di ultimo aggiornamento del report. Le segnalazioni sono divise per singolo vaccino, mese di rilevazione, gravità della reazione, sesso, fascia d’età, descrizione dell’apparato interessato, e per singola reazione avversa.Scopriamo così che, alla data del 26 gennaio, all’Aifa sono giunte 24.077 segnalazioni in più rispetto all’ultimo rapporto, il 64% delle quali per il Comirnaty (Pfizer/Biontech) e il 30% relativamente allo Spikevax (Moderna). Negli ultimi due mesi le segnalazioni relative allo Spikevax risultano in forte crescita, arrivando a dicembre quasi a «raggiungere» il Comirnaty (2.775 del primo contro 3.132 del secondo). Un altro dettaglio interessante, e per certi versi preoccupante, riguarda la gravità, in costante crescita dalla pubblicazione del primo rapporto. Secondo i dati presenti sul sistema Ram, quasi una reazione su sei (16,7%) viene classificata come «grave». Nella prima edizione del report erano appena una su 14 (7,3%). Colpiscono, scorrendo il dettaglio le segnalazioni di miocardite (412 casi), pericardite (629), embolia polmonare (557), e ancora trombosi (349), trombocitopenia (407) e paralisi di Bell (239). Rimane da chiarire il dato relativo alle segnalazioni con esito fatale. Nell’elenco risultano, infatti, 100 casi di «morte improvvisa» e 44 casi di «morte», cifre che cozzano con i 608 casi di decesso post vaccino citati nel report di ottobre 2020 (16 dei quali giudicati correlabili al vaccino).Rimane un mistero la ragione per la quale l’Aifa si ostini a non pubblicare il rapporto. Per quale motivo tiene per sé informazioni delle quali in realtà dispone? O meglio, le lascia a disposizione dei cittadini ma al contempo accuratamente «nascoste», senza un’adeguata spiegazione a corredo, favorendo così il rischio di interpretazioni scorrette? Negli ultimi tempi l’Agenzia si è limitata semplicemente ad aggiornare i grafici della pagina dedicata alla farmacovigilanza, i quali però forniscono una visione assai parziale e peraltro priva di alcuna analisi. Diversamente dall’estero, dove il regolatore provvede ad aggiornare costantemente i dati sulle reazioni avverse, accompagnandoli di volta in volta con la giusta chiave interpretativa. Tanto per fare alcuni esempi, nel Regno Unito il report sugli effetti avversi è stato aggiornato appena pochi giorni fa, il 27 gennaio, in Spagna il 26 gennaio, nei Paesi Bassi il 23 gennaio, in Francia 21 gennaio, e in Svizzera il 12 gennaio. Più che a farmacovigilanza, a conti fatti, quella dell’Aifa somiglia a farmacosonnolenza.
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Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
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