2020-05-06
Edith, coerenza di una femminista in clausura
Edith Stein, di famiglia ebraica, si convertì e dedicò la sua vita allo studio della teologia e della filosofia cristiana. Tanti i suoi scritti sul ruolo della donna. Entrata in un convento carmelitano, venne poi deportata ad Auschwitz e lì morì. Canonizzata da Karol Wojtyla.È mai esistita nella storia, ed è anche solo astrattamente pensabile, una cristiana devota e zelante, che è al contempo altresì una fierissima ebrea? E una femminista che decide di insorgere e di scrivere contro la laica emancipazione e poi di «autocarcerarsi» per il resto dei suoi giorni? Una giovane intellettuale spigliata e moderna, filosofa e studiosa, che oggi è venerata dalla Chiesa come mistica, come martire e come vessillo della tradizione biblica e cristiana?Sì, esiste. Si chiama Edith Stein, e fu canonizzata da Giovanni Paolo II come santa Teresa Benedetta della Croce nel 1998.La Stein, ultima di 11 figli, nasce a Breslavia il 12 ottobre 1891, da Siegfried, commerciante di legname, e Augusta Courant. Vari fratelli muoiono in tenera età, e lo stesso capofamiglia si spegne quando Edith non aveva ancora 2 anni. La sua vita, apparentemente banale, è in realtà intrisa di Novecento fino al midollo. Cresciuta in una famiglia ebraica, credente e praticante, Edith perde la fede nell'adolescenza, probabilmente a causa dei suoi appassionati studi della filosofia moderna e contemporanea.Brillante a scuola, dopo una pausa di riflessione e il trasferimento dalla sorella Elsa ad Amburgo, sostiene gli esami di liceo da privatista e viene promossa a pieni voti nel 1911. Si iscrive alla facoltà umanistica dell'Università di Breslavia e si fa notare per la vivacità della sua intelligenza. Passa poi all'università di Gottinga, forse attratta dalla fama di Edmund Husserl (1859-1938), docente di filosofia (e matematica) e fondatore della fenomenologia tedesca, una delle principali correnti del pensiero critico del Novecento. Sembra che Husserl la volle con tenacia come studentessa e discepola, benché si trattasse della prima giovane donna presente ai corsi della facoltà.Già lanciata negli studi e avviata alla probabile carriera intellettuale, Edith Stein approfittò della sospensione degli esami a causa della guerra (scoppiata nel 1914), per divenire crocerossina volontaria. Sarebbe voluta andare tra i soldati, per assistere i feriti più gravi e i moribondi. Nel 1915 riuscì a sostenere l'ultimo esame di un ottimo curriculum di studi, proprio con Husserl che le diede il massimo dei voti (maxima cum laude). Sempre con il filosofo austriaco discute la sua tesi di Laurea nel 1916, intitolata «Sul problema dell'empatia».Diviene assistente del professore, ma a partire dal dopoguerra, si dimise dal prestigioso incarico, dedicandosi in toto alla ricerca, alla meditazione e allo studio. Già nel 1917 fu colpita dalla fede cristiana della moglie, vedova di un suo amico, Adolf Reinach, morto in guerra. Ma la definitiva conversione al cristianesimo, che probabilmente fu più lenta e travagliata di quanto dicano le fonti, è solitamente collegata a due episodi personali che in mille altri avrebbero avuto altre conseguenze.Edith Stein entrava spesso nelle chiese tedesche, apprezzando moltissimo l'arte sacra, la musica ecclesiastica e il silenzio meditativo che esse contenevano. Un giorno, come racconta lei stessa nell'autobiografia, fu colpita da una donna che entrò per pregare nel Duomo di Francoforte con le buste della spesa. Capì, che rispetto al rigorismo ebraico appreso in famiglia, era possibile un rapporto d'amore con il creatore del mondo. Visto come amico e come padre. Scrisse: «Ciò fu per me qualcosa di completamente nuovo. Nelle sinagoghe e nelle chiese protestanti che ho frequentato, i credenti si recano alle funzioni. Qui però entrò una persona nella chiesa deserta, come se si recasse ad un intimo colloquio. Non ho mai potuto dimenticare l'accaduto».Ma la cosa che la spinse alla conversione definitiva, dall'ateismo maturato negli studi al cattolicesimo più radicale, fu la lettura, durante l'estate del 1921, della celebre autobiografia della mistica e riformatrice spagnola Teresa d'Avila (1515-1582). Passò l'intera notte nella lettura attenta del libro scritto da una «femminista» ante litteram o se si preferisce da una mistica al femminile. Terminò la lettura che era già mattina. «Quando rinchiusi il libro mi dissi: questa è la verità». Chiese il battesimo alla parrocchia cattolica e lo ottenne il primo gennaio 1922, assieme alla comunione. Si cresimò nella cappella privata del vescovo di Spira, Ludwig Sebastian (1862-1943). Da allora, la sua vita fu dedita allo studio della teologia e della filosofia cristiana. Fece una apprezzata traduzione del De Veritate di Tommaso d'Aquino (1225-1274) e di alcuni scritti del cardinal John Henry Newman (1801-1890).La grandezza della Stein, rivista con il senno di poi, sta proprio qui. L'aver tentato - partendo da posizioni laiche, moderne, scientifiche e aperte al nuovo - di recuperare il valore atemporale della tradizione filosofica e umanistica precedente. Cercò di armonizzare il tomismo con le migliori intuizioni di Husserl e di Max Scheler (1874-1928). Secondo padre Cornelio Fabro, che dedica una breve voce alla Stein nell'Enciclopedia cattolica, la filosofa vorrebbe arditamente tentare un «accostamento fra il metodo fenomenologico con la gnoseologia e la metafisica tomista».Nel 1933 Adolf Hitler andò al potere, e poco dopo la Stein entrò definitivamente nel convento carmelitano di Colonia, ricevendo il nome di suor Teresa Elisabetta della Croce. Le regole di un carmelo cattolico di stretta osservanza come quello che lei scelse erano più rigide che quelle degli attuali luoghi di reclusione.Ma, come scriveva nei saggi sulla vocazione femminile, raccolti ora dall'editrice Città Nuova, la missione del gentil sesso non sta solo nel riprodursi e nel far famiglia. Sta anche nel portare, in tutti i contesti della società moderna, la sua incancellabile «maternità spirituale», fatta di «tenacia e resistenza nella sopportazione del dolore e della fatica». Maternità protesa, in qualunque situazione storica, a «destare la scintilla del divino nel cuore di un bambino (…) o anche nell'anima di un adulto estraneo a Dio».Il 20 luglio 1942 i vescovi cattolici d'Olanda diffusero una Lettera pastorale, approvata da Pio XII (1939-1958), con cui denunciavano le violenze ai danni di cristiani ed ebrei da parte dei nazisti. Il 2 agosto successivo suor Edith Stein fu prelevata dai tedeschi nel carmelo di Echt in Olanda, dove si era rifugiata nel 1939, assieme alla sorella Rosa, anch'ella divenuta cattolica. Le ultime parole pronunciate in convento furono quelle dette a Rosa: «Vieni, andiamo per il nostro popolo». Deportata nel campo di concentramento di Auschwitz in Polonia, morì pochi giorni dopo. Beatificata a Colonia nel 1987, fu canonizzata nel 1998 e dichiarata compatrona d'Europa nel 1999.Giovanni Paolo II, nell'omelia della canonizzazione, disse che se «nel nostro tempo la verità viene scambiata spesso con l'opinione della maggioranza», per santa Edith Stein, «la verità aveva un nome, Gesù Cristo». La poetessa mistica Cristina Campo (1923-1977), parlando di esistenze eccezionali, giunse a scrivere: «Non si può nascere, ma si può morire, innocenti…».