
Archiviata la querela del consigliere comunale milanese Abdel Qader Sumaya contro una studiosa che l'aveva descritta come vicina ai Fratelli musulmani. Per il gip, la docente avrebbe provato le proprie affermazioni «con un'ampia letteratura».La buona notizia è che, in Italia, esiste ancora il diritto di critica. La cattiva, è che la cosa non deve essere così ovvia, se per ribadirlo ci è voluto un giudice. Ma si sa, quando c'è di mezzo la sinistra e i suoi rapporti con l'islam, la libertà d'espressione deve sempre farsi largo sgomitando. I fatti: mercoledì scorso, il consigliere comunale milanese del Pd, Abdel Qader Sumaya, è stata sconfitta in tribunale, dopo che la stessa, insieme al marito, aveva sporto una querela contro la studiosa Valentina Colombo, che aveva parlato di una presunta vicinanza tra la Sumaya e la Fratellanza musulmana. L'esponente del Pd milanese aveva respinto tale collegamento, giudicandolo anzi offensivo della sua immagine pubblica. Il gip di Milano Guido Salvini, tuttavia, ha ritenuto che Valentina Colombo non abbia diffamato Abdel Qader Sumaya e ha quindi disposto l'archiviazione della querela, come peraltro richiesto dal pm Leonardo Lesti. Gli articoli che hanno suscitato l'ira di Sumaya, spiega il gip, «indicavano, con varie sfumature e con toni comunque molto polemici, la candidata come legata ai Fratelli musulmani». Per il magistrato, però, «in tutti gli articoli si verte in casi che non sono espressione del diritto di cronaca ma del diritto di critica che consente, come giustamente osservato anche dal pm, giudizi e valutazioni anche enfatizzati e corrosivi purché sia ad essi sottostante un interesse pubblico e non sfocino in mere offese gratuite».Nel novembre 2016, i magistrati hanno sentito la professoressa Colombo, la quale ha affermato che l'appartenenza di Sumaya alla Fioe (Federation of islamic organisations in Europe) «è riscontrata da diversa documentazione reperibile in Internet» e «sul profilo Facebook ufficiale della Fioe sono ancora pubblicate le sue fotografie e vi è poi un documento datato 5 luglio 2015 redatto su carta intestata della Fioe e a firma proprio» di Sumaya «che si definisce Head of youth & student department». Ma è sempre il gip a spiegare che «esiste un'ampia letteratura a livello accademico e non che conferma il legame della Fioe con la Fratellanza musulmana». Allo stesso modo, per la professoressa, come riassume il gip, «è certo il legame» con la Femyso (Federation of european muslim youth and students organisations) «in quanto in occasione dell'assemblea generale di tale organizzazione tenutasi a Colonia nell'estate 2015, sul profilo ufficiale Facebook del forum appare la notizia secondo cui Sumaya era membro della Commissione dei garanti».La professoressa ha inoltre sostenuto che «il contesto all'interno del quale Sumaya Abdel Qader si era mossa in passato e parzialmente si muove ancora oggi è sicuramente, a livello ideologico e organizzativo, il più vicino a tale organizzazione a livello europeo», ossia alla Fioe. Gli articoli, scrive il gip, intendevano «mettere a confronto la sua candidatura e cioè quella di una persona ritenuta vicina all'islamismo politico anche di tipo radicale con quella di un'altra candidata del Pd per il Consiglio comunale, Maryan Ismail, profuga somala, di cui sono invece ricordate negli articoli le posizioni laiche e progressiste». In altri articoli, poi, era stato scritto che il «marito della candidata avrebbe auspicato la scomparsa dello Stato d'Israele». Un episodio, si legge nel decreto, che non è stato «in alcun modo smentito» dall'uomo e «all'interno di un'accesa critica politica appare consentito che la critica stessa si allarghi al contesto relazionale di una candidata».Dopo aver appreso dell'archiviazione della querela dai media, l'esponente del Pd milanese ha scritto laconicamente sui social: «Ne prendo atto. Per fortuna che a raccontare la verità ci sono i fatti e il mio impegno quotidiano. E per fortuna che ho tutti voi che mi sostenete e mi riempite ogni giorno di calore e forza. Grazie a chi mi ha chiamato per esprimere vicinanza. Tranquilli, non mi fermo, vado avanti!».Non è la prima volta, tuttavia, che dalle aule di tribunale esce un pronunciamento simile. Un anno fa, era stata archiviata anche la querela contro Matteo Forte, consigliere comunale di Milano popolare e Maryan Ismail, storica esponente dei musulmani somali. Il Pd li aveva portati in tribunale per le loro dichiarazioni in merito alla vicinanza tra dem e islam politico. «Appare pacifico», scriveva allora il pm, «che, quantomeno in ambito territoriale milanese, vi fosse l'interesse dei cittadini a conoscere i rapporti che il partito di maggioranza relativa che governa il Comune intrattiene con alcune associazioni e con i membri delle stesse». Poi, aggiunse che le frasi di Ismail e Forte rientravano «nell'espressione costituzionalmente garantita del diritto di critica politica». E oggi, alla luce di questo secondo pronunciamento dei giudici, Forte commenta: «Per la seconda volta in un anno la Procura di Milano dice che il tema è tutto politico: ci sono dei legami per lo meno ideologici con l'islamismo politico da parte di interlocutori che il Pd ha deliberatamente legittimato. La sinistra può rispondere di questa scelta? Può essere oggetto di pubblico dibattito senza che chi critica sia trascinato in tribunale per diffamazione?».
Il neo sindaco di New York Zohran Mamdani (Ansa)
Il sindaco di New York non è un paladino dei poveri e porta idee che allontanano sempre più i colletti blu. E spaccano l’Asinello.
La vulgata giornalistica italiana sta ripetendo che, oltre a essere uno «schiaffo» a Donald Trump, la vittoria di Zohran Mamdani a New York rappresenterebbe una buona notizia per i diritti sociali. Ieri, Avvenire ha, per esempio, parlato in prima pagina di una «svolta sociale», per poi sottolineare le proposte programmatiche del vincitore: dagli autobus gratuiti al congelamento degli affitti. In un editoriale, la stessa testata ha preconizzato un «laboratorio politico interessante», sempre enfatizzando la questione sociale che Mamdani incarnerebbe.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 7 novembre con Carlo Cambi
Il luogo dell'accoltellamento a Milano. Nel riquadro, Vincenzo Lanni (Ansa)
Nei principali Paesi europei, per essere riconosciuto «pericoloso» basta la segnalazione di un medico. Qui invece devi prima commettere un delitto. E pure in questo caso non è detto che una struttura ti accolga.
Vincenzo Lanni, l’accoltellatore di Milano, aveva già colpito. Da condannato era stato messo alla Rems, la residenza per le misure di sicurezza, poi si era sottoposto a un percorso in comunità. Nella comunità però avevano giudicato che era violento, pericoloso. E lo avevano allontanato. Ma allontanato dove? Forse che qualcuno si è preso cura di Lanni, una volta saputo che l’uomo era in uno stato di abbandono, libero e evidentemente pericoloso (perché se era pericoloso in un contesto protetto e familiare come quello della comunità, tanto più lo sarebbe stato una volta lasciato libero e senza un riparo)?
Ansa
Dimenticata la «sensibilità istituzionale» che mise al riparo l’Expo dalle inchieste: ora non c’è Renzi ma Meloni e il gip vuole mettere sotto accusa Milano-Cortina. Mentre i colleghi danno l’assalto finale al progetto Albania.
Non siamo più nel 2015, quando Matteo Renzi poteva ringraziare la Procura di Milano per «aver gestito la vicenda dell’Expo con sensibilità istituzionale», ovvero per aver evitato che le indagini sull’esposizione lombarda creassero problemi o ritardi alla manifestazione. All’epoca, con una mossa a sorpresa dall’effetto immediato, in Procura fu creata l’Area omogenea Expo 2015, un’avocazione che tagliò fuori tutti i pm, riservando al titolare dell’ufficio ogni decisione in materia.






