2020-03-12
Conte abbandona le partite Iva
In barba alle promesse, artigiani e piccoli imprenditori del Nord dovranno versare gli anticipi fiscali e i contributi, sebbene non stiano incassando niente. Limitazioni anche per la moratoria sui mutui. Così, dopo il virus, la crisi ci darà il colpo di grazia.Venticinque miliardi sono una montagna di soldi. O per lo meno lo sembrano. Rispetto a ciò che in principio aveva messo in campo il governo, quando si cominciò a parlare di sostegni alle imprese messe a dura prova dal coronavirus, 25 miliardi sono circa otto volte tanto. Ma anche se paragonati ai 7,5 miliardi di cui si è discusso fino all'altro ieri, cioè quando Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna sono state messe in quarantena, sono quasi tre volte tanto. Dunque dovremmo essere soddisfatti: a Palazzo Chigi cominciano a comprendere la gravità della situazione.Tuttavia, pur apprezzando lo sforzo di Conte e compagni, a guardare meglio le misure adottate dall'esecutivo, si capisce che non è tutto oro ciò che luccica. Ma anzi, dietro ai numeri roboanti che paiono uguali a quelli di una manovra in grande stile (Mario Monti, quando costrinse l'Italia a fare i compiti a casa, varò provvedimenti per una trentina di miliardi), si intravedono molte cose più di forma che di sostanza. Cominciamo proprio da quei 25 miliardi, che in apparenza sembrano molto simili ai 30 richiesti dal centrodestra. Pur se presentata nella sua completezza, la cifra è spalmata su un biennio. Il che vuole dire una cosa, che quest'anno, cioè quando ce ne sarà bisogno per sostenere l'economia e ridare ossigeno alle imprese, rilanciando produzione e consumi, di soldi veri ce ne saranno la metà. In pratica, i fondi messi a disposizione sono 12 miliardi e anche su quelli ci sarà da capire come verranno impiegati. Rispetto agli annunci molto confortanti dei giorni scorsi, la realtà sembra un po' diversa da quella promessa. Tanto per cominciare, i mutui. Fino a ieri sembrava che la moratoria delle rate valesse per tutti, o per lo meno per chiunque risiedesse nelle zone più colpite dall'epidemia. In realtà così non è. Infatti, se per Codogno e comuni adiacenti era stata disposta la temporanea sospensione dei pagamenti, nel resto del Paese, ma soprattutto nel Nord, ossia nelle Regioni dove le difficoltà sono maggiori, così non sarà. A poter ritardare i pagamenti dei mutui saranno solo alcuni, cioè chi ha perso il lavoro e comunque entro una certa fascia di reddito. Tutti gli altri, a prescindere dalla situazione critica, dovranno rispettare le scadenze bancarie.Stessa musica per le tasse. Anche in questo caso le dichiarazioni dei giorni scorsi sembravano particolarmente rassicuranti, perché lasciavano intravedere la possibilità di regolare i conti con il fisco quando il Covid-19 fosse stato alle spalle. Ma purtroppo il fisco non ha nessuna intenzione di mollare la presa sul portafogli: dunque le promesse di una sospensione delle imposte in tutto il Nord (cioè nella parte del Paese che più versa all'Erario) paiono destinate a rimanere tali. In particolare per il popolo delle partite Iva, vale a dire per i professionisti, gli artigiani i commercianti, ossia proprio per coloro che rischiano di pagare a caro prezzo l'epidemia cinese. Dunque al danno degli effetti collaterali del coronavirus - meno affari, negozi chiusi, lavori sospesi - si potrebbe aggiungere la beffa delle tasse. Cioè, pur essendo costretti a tenere chiusi gli esercizi, lavoratori autonomi e piccoli imprenditori dovrebbero tenere fede alle scadenze fiscali, versando regolarmente gli anticipi malgrado non abbiano incassato niente. Già molte imprese boccheggiavano a causa della crisi, ora la pandemia le sta mettendo in ginocchio, ma il colpo di grazia arriverebbe proprio con i famigerati appuntamenti con Iva e contributi previdenziali. Un piccolo imprenditore con cui ho parlato ieri mi raccontava di aver disposto il telelavoro per tutti i suoi dipendenti, ma non avendo grandi risorse finanziarie e neppure affidamenti si rendeva conto che la capacità di resistenza era al limite e presto avrebbe dovuto fare i conti con la mancanza di liquidità. «Servono linee di credito garantite dallo Stato», mi spiegava, «altrimenti non ce la faremo». Come abbiamo capito, dall'Europa non c'è da aspettarsi niente, anche perché la dottrina dei falchi è netta e consiste nel seppellire qualsiasi solidarietà. Ogni Paese deve fare da sé, non soltanto per quanto riguarda le politiche sanitarie di contenimento del virus, ma anche per le misure economiche. È l'Europa del si salvi chi può. E per salvarsi non basta rinviare all'anno prossimo la metà degli interventi. Servono ora. Subito.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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