2025-04-11
E Giavazzi compie un’altra giravolta
Francesco Giavazzi e Mario Draghi (Ansa)
Sul «Corriere» l’economista vicino a Mario Draghi loda spesa e investimenti, ovvero ciò che chiede Donald Trump. Quando il bocconiano faceva il contrario, però, lui lo difendeva.Essere Grandi ufficiali ordine al merito della Repubblica italiana è un onere e un onore. Tra gli oneri, ci deve essere una specie di obbligo di recita a soggetto, unito a un certo sprezzo del ridicolo e a un’attenuazione del principio di non contraddizione. Francesco Giavazzi, che di quell’insegna si può fregiare dal giugno 1992 (quando Giulio Andreotti cedeva il passo a Giuliano Amato, e al Colle era appena salito Oscar Luigi Scalfaro), è ben entrato nella parte. Ieri, sul Corriere della Sera, dove un paio di settimane fa aveva scritto che con l’euro forte si esporta meglio, e dove negli anni ha compiuto una spettacolare inversione a «U» sul debito pubblico (cattivo, buono se comune, ottimo se per le armi), al termine di un editoriale contro i dazi è arrivato al dunque nel paragrafo finale. Eccolo: «Che cosa possiamo fare noi europei in questa situazione che sembra cambiare di giorno in giorno e dove, fino alla sospensione di ieri (mercoledì, ndr), sembra dominare il furore di Trump, e salvarci? Certamente non varare contro-dazi, aprendo una voragine nella quale potremmo solo affogare. Né lasciarci traviare dal desiderio di una foto alla Casa Bianca che dimostrerebbe solo la nostra debolezza. Ma ammettere i nostri errori e capire che dopo 80 anni in cui abbiamo usufruito gratis della protezione militare degli Stati Uniti, è venuto il momento di contribuire seriamente a pagare il costo della Nato. E se all’inizio non vi sono alternative ad alcuni aerei americani, niente di male. Acquistiamoli perché le mire di Putin sull’Ue non aspettano, e intanto acceleriamo le alternative europee. Dovremo infine aumentare la domanda interna, consumi e investimenti, europei. Come si appresta a fare la Germania. Trump capirà così, come sa una matricola all’università, che un avanzo commerciale non si corregge con i dazi - anche ammesso che lo si voglia correggere - ma facendo spendere e investire i propri partner commerciali. E cioè noi europei. La sospensione potrà essere utile anche all’Europa per riflettere su ciò che avremmo potuto fare in passato».È davvero un peccato che quello che dovrebbero sapere le matricole (una domanda interna europea più forte sarebbe assai utile a ridurre il deficit commerciale americano) sfugga talvolta ai professori. La Casa Bianca in effetti, nel presentare i dazi, ha messo nero su bianco lo stesso identico concetto di Giavazzi: «Paesi tra cui Cina, Germania, Giappone e Corea del Sud hanno perseguito politiche che sopprimono il potere di consumo interno dei propri cittadini per aumentare artificialmente la competitività dei loro prodotti di esportazione. Tali politiche includono sistemi fiscali regressivi, [...] politiche volte a sopprimere i salari dei lavoratori rispetto alla produttività». In pratica, Washington considera la repressione salariale e di domanda attuata dai tedeschi (e di conseguenza da tutti noi, come ha spiegato Mario Draghi, di cui Giavazzi avrà sentito parlare) esattamente come un dazio, perché ha ridotto le importazioni dell’eurozona e contribuito allo sbilancio commerciale che irrita da lustri il Tesoro Usa con qualunque amministrazione. È quantomeno curioso accusare Trump, di cui si possono dire molte cose, di non aver capito questa.Piuttosto, chi si è vantato in mondovisione di aver «distrutto la domanda interna» governando l’Italia è un certo Mario Monti («We are actually destroying domestic demand through fiscal consolidation», Cnn, 20 maggio 2012), che rivendicava esattamente la politica che la Casa Bianca considera foriera di guai. Quando sul Financial Times Wolfgang Münchau qualche mese dopo scrisse che quelle politiche avrebbero aggravato la crisi italiana, due professori corsero in difesa dell’allora premier dicendo sempre sul Corriere: «Senza austerità, in Italia non vi sarebbe stata più crescita ma spread alle stelle, una probabile ristrutturazione del debito, scricchiolii nei bilanci delle banche: il rischio di un altro 2008». Erano Alberto Alesina e Francesco Giavazzi.