2019-01-28
E dopo il lamento di migranti e rom ci mancava solo quello radical chic
L'ultimo libro di Giacomo Papi è un romanzo «distopico» intitolato Il censimento dei radical chic in cui si racconta la lagna dei presunti competenti che campano di banalità ma si sentono oppressi dai populisti.Vanno molto di moda, è ormai noto ai più, i piagnistei delle minoranze oppresse, che siano arcobaleno o di altri colori più o meno esotici. L'ultima minoranza in ordine di tempo a versare lacrime amare è quella degli intellettuali di sinistra, altrimenti detti «radical chic». Il populismo rampante e il sovranismo di governo non hanno certo contribuito a creare un clima favorevole all'impegnato di buone letture e di pensieri contorti. Ed ecco, dunque, arrivare il lamento del radical chic, straziante come non mai. A sobbarcarsi l'ingrato compito di dar voce a una delle categorie meno simpatiche dell'universo è Giacomo Papi, radical chic blasonatissimo. Nato nel 1968 (e ci mancherebbe), laurea alla Statale di Milano, già collaboratore della raffinatissima rivista Diario. Poi direttore editoriale della più spocchiosa casa editrice di tutti i tempi, la milanese Isbn. Quindi l'approdo a Einaudi e la televisione, ma quella «fatta bene», mica quella da poveracci che guardate voi, con gli obesi e i nani in bella mostra. Papi ha lavorato con Daria Bignardi, con Fabio Fazio e con Michele Serra. Roba che, se non sei un radical chic di tuo, lo diventi per infezione. L'ottimo Papi ha appena sfornato per Feltrinelli (e ci mancherebbe pure questo) un romanzo «distopico» intitolato Il censimento dei radical chic. Racconta di un'Italia schiacciata da un regime ignorante e populista, un Paese in cui «le complicazioni del pensiero e della parola sono diventate segno di corruzione e malafede, un trucco delle élite per ingannare il popolo, il quale, in mancanza di qualcosa in cui sperare, si dà a scoppi di rabbia e applausi liberatori, insulti via Web e bastonate, in un'ininterrotta caccia alle streghe». Una caccia di cui sono vittime i soliti migranti, i rom, gli omosessuali e, infine, i poveri intellettuali. Il gioco è scoperto: Papi vuol raccontare l'Italietta legastellata e fascistella, rifilandoci la solita tiritera in stile Roberto Burioni sul governo nemico dell'intelligenza, della scienza e della cultura. Come prevedibile, il pregevole volume è stato immediatamente celebrato da Vanity Fair, settimanale che da qualche anno ha surclassato l'Espresso come rotocalco di riferimento del progressista modello. «Negli ultimi 20 anni», dichiara Papi, «quello che era autorevole e prestigioso è diventato ridicolo nella migliore delle ipotesi - si ride di chi sa, come se fosse una bizzarria parlare in un italiano corretto, concedersi delle citazioni colte - o disdicevole. Oggi nessuno se la prende con Flavio Briatore, ma tutti se la prendono con Roberto Saviano perché si mantiene con la cultura». In realtà, Saviano si mantiene con la politica (ma senza sporcarsi troppo le mani) e con le manfrine, ma soprassediamo. «L'intellettuale», prosegue Papi, «non solo ha perso centralità, ma è diventato bersaglio della rabbia della gente, un capro espiatorio». Oh, ci piange davvero il cuore. Poveri intellettuali costretti a sopravvivere in un Paese che, quando sente la parola cultura, mette mano alla fondina. Fortuna che abbiamo Papi a raddrizzare i torti. Il suo libro è piaciuto tantissimo pure a Giuliano Ferrara, che finge di non ricordarsi di aver insegnato a un'intera generazione a farsi beffe di radical chic e aspiranti tali.Ora, per onestà va detta una cosa: l'utilizzo a sproposito del termine radical chic ha stufato anche i sassi. Farsi beffe dell'intellettuale progressista è diventato uno sport fin troppo diffuso, e alla lunga stucchevole. Il fatto, però, è che gli intellettuali italiani non sono mai stati dei veri radical chic. L'espressione, si sa, è stata coniata da Tom Wolfe nel capolavoro in cui raccontava una grottesca cena in compagnia delle Pantere nere a casa del compositore Leonard Bernstein. Ecco: Bernstein era un radical chic, ma almeno era Bernstein. E, dalle nostre parti, di Bernstein ne abbiamo visti pochi. Piuttosto ci siamo dovuti sorbire una marea di tromboni convinti di saperla più lunga di chiunque, gente molto poco chic e in fondo nemmeno radical. Questa gente, a dirla tutta, ce la sorbiamo ancora, più o meno quotidianamente. I (presunti) radical chic alle cime di rapa non sono perseguitati: occupano posti di potere, pontificano sui giornali e in tv, orientano il dibattito. E continuano a guardare con schifo il popolo bue che vota Salvini (come prima sputavano su chi votava Berlusconi). Oggi non ci sono in giro «nemici della cultura» o del «linguaggio complesso». Semmai, ci sono ancora in giro troppi furbastri che, sotto qualche parolina levigata, nascondono il vuoto pneumatico. E hanno pure il coraggio di piagnucolare sulla banalità versata.