Armi, il gigante cinese dei droni blocca le vendite a Mosca e Kiev

Il gigante cinese delle armi
La motivazione ufficiale l’ha data un portavoce della compagnia. «Come Dji detestiamo qualsiasi uso dei nostri droni per causare danni e stiamo temporaneamente sospendendo le vendite in Russia e in Ucraina per garantire che nessuno usi i nostri droni in scenari di guerra».
Ma tra le ragioni che hanno portato il gigante cinese delle armi a bloccare le forniture nel teatro di guerra ci sarebbe anche il timore di ritorsioni e boicottaggi da parte di americani ed europei. Fatto sta che ieri l’azienda fondata a Shenzen nel 2006 ha annunciato di aver «temporaneamente sospeso» la presenza commerciale a Mosca e a Kiev. A marzo, Dji era stata messa (metaforicamente) nel mirino dal vicepremier ucraino Mykhailo Fedorov, che si era lamentato del fatto che «l’esercito russo impiega i droni di Dji per guidare i suoi missili sul nostro territorio e uccidere civili». In realtà anche l’esercito ucraino dispone degli senza pilota prodotti dall’azienda cinese, anche se il grosso delle forniture cinesi era indirizzato alla Russia. «solo usi civili» Adam Lisberg, capo della comunicazione di Dji nel Nord America parlando con Al Jazeera ha denunciato con forza un uso improprio dei suoi prodotti, che nascono per un uso civile.
«Dji è contraria a qualsiasi uso dei nostri droni per causare danni e stiamo temporaneamente sospendendo le vendite in questi paesi per garantire che nessuno usi i nostri droni in combattimento», ha affermato. «Non accetteremo mai che i nostri prodotti vengano utilizzati per causare danni e continueremo a impegnarci per migliorare il mondo con il nostro lavoro», si poteva poi leggere in un comunicato ufficiale pubblicato dall’azienda. La decisione di fare un passo indietro dal teatro di guerra è però anche molto probabilmente commerciale. Il gruppo cinese è infatti il primo produttore mondiale di droni per uso civile e a questo punto teme che le «sanzioni secondarie» minacciate da Stati Uniti e Unione europea contro le aziende che fanno affari con la Russia in settori ritenuti «sensibili» possano nuocere al suo business. boicottaggi.
L’azienda tecnologica di Shenzen è il primo gruppo cinese ad avere annunciato formalmente il passo indietro dal mercato russo. Una decisione arrivata dopo una serie di piccoli boicottaggi poi rientrati. Alla fine di marzo, per esempio, la catena di elettronica MediaWorld aveva rimosso i prodotto di Dji dal catalogo «fino a nuovo avviso». La decisione era stata presa da Mediamarkt, la multinazionale tedesca dell’elettronica, che è proprietaria del marchio. All’epoca Dji aveva reagito dicendo che le affermazioni nei suoi confronti erano «assolutamente false». Il bando era durato una ventina di giorni, poi i prodotti Dji erano tornati disponibili nel catalogo di MediaWorld.
Ma un campanello d’allarme era suonato, considerando la centralità del mercato europeo per l’azienda cinese. Anche negli Stati Uniti il clima non è dei migliori. L’azienda è stata inserita nella Entity List, che proibisce di avere rapporti commerciali con aziende statunitensi: vietato, cioè, comprare prodotti o importare prodotti e tecnologie americane. Le vendite invece sono ancora permesse. Il motivo formale è aver facilitato le violazioni dei diritti umani contro i musulmani uiguri cinesi nello Xinjiang e contro altre minoranze etniche e religiose.
Troppo debole per dimenticarsi che l’Assemblée nationale gli ha imposto con l’alleanza degli opposti, Jean-Luc Mélenchon e Jordan Bardella, di fare la voce grossa con Bruxelles, Emmanuel Macron ha annunciato il no della Francia al Mercosur. Ursula von der Leyen, però, sabato vuole volare a Brasilia per firmare l’accordo con Luiz Lula da Silva dopo 25 anni di trattative. Ma l’Eliseo intima l’alt alla presidente della Commissione che spinge come non mai per l’accordo di libero scambio, per spianare la strada alle esportazioni di auto e di farmaci tedeschi. Per Parigi, «nella sua forma attuale, il trattato non è accettabile».
Il fatto è che il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa - portoghese e dunque desideroso di fare affari con le ex colonie, Brasile in particolare - aveva dato per certo che i 27 Paesi Ue fossero felicissimi di aprire le frontiere senza dazi a carne, miele, soia e riso che arrivano da Oltreoceano. Invece, viene clamorosamente smentito.
Giorni fa il capo dei repubblicani francesi, il potentissimo deputato Bruno Retailleau, ha chiesto a Macron: «Esca dall’ambiguità; ha detto che aspetta delle risposte concrete dalla Commissione sulle modifiche, ma non sono arrivate, dunque rompa gli indugi e rigetti il Mercosur».
La faccenda è seria perché la Francia è il primo produttore di carne bovina in Europa e il Brasile è il primo produttore mondiale con un gruppo, la Jbs, che avrebbe enormi vantaggi doganali dal Mercosur. A questo si aggiunge che la firma ultima del trattato - la ratifica c’è stata circa un anno fa - cade in un momento di gravissima crisi della zootecnia transalpina. Le mandrie sono affette da dermatosi bollosa: il governo ha ordinato l’abbattimento ma gli allevatori si oppongono e nel Sud del Paese si sono già avuti scontri con la polizia; l’insoddisfazione degli agricoltori - si veda la crisi del vino - mette a durissima prova Macron.
La Francia ha posto tre condizioni sul trattato la cui discussione finale dovrebbe iniziare tra oggi e venerdì a Bruxelles, al Consiglio europeo: clausola di reciprocità su ormoni, fitofarmaci e chimica in campo; protezione per bloccare le importazioni se provocano crisi di mercato in Europa; controlli sui prodotti che arrivano. Sono le stesse riserve avanzate dall’Italia, che sui controlli alle frontiere - in concorrenza con Parigi - ha già proposto col ministro Francesco Lollobrigida la candidatura di Roma per ospitare l’Autorità doganale europea.
Polonia e Irlanda sono contrarie all’accordo di libero scambio con Argentina, Brasile, Uruguay e Paraguay e pensano a una minoranza di blocco per non farlo passare.
La Coldiretti in Italia torna ad accusare la presidente della Commissione. «Ursula Von der Leyen - sostiene il presidente di Coldiretti Ettore Pandini - non è in grado di gestire il ruolo istituzionale che ricopre. Come nel caso del Mercosur continua a ingannare agricoltori e cittadini consumatori di tutta Europa. È pura propaganda annunciare iniziative per favorire il consumo di prodotti europei senza creare le condizioni perché ciò avvenga: taglia di 90 miliardi la Pac, non pone l’obbligo dell’etichetta d’origine e non fa una revisione radicale di accordi come il Mercosur».
Perciò a una von der Leyen non credibile e incline a favorire la Germania - sostieni la Coldiretti - si risponde con la mobilitazione generale degli agricoltori che il 18 dicembre saranno in almeno 10.000 con un migliaio di trattori a protestare a Bruxelles.
Di certo, oltre alle imprese agricole, ad alzare le barricate ci sarà anche il ministro francese l’economia Roland Lescure, che proprio ai tedeschi, attraverso un’ intervista a Handelsblatt, ha fatto capire che il Mercosur è un capitolo spinoso del contenzioso ribadendo: «Finché non avremo ottenuto tutte le garanzie la Francia non accetterà l’accordo».
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