2025-03-19
Draghi spinge la Difesa comune Ue senza dire chi ci guadagna dalle armi
Mario Draghi (Imagoeconomica)
L’ex presidente della Bce parla di piattaforme finanziate dai privati per acquistare navi, carri armati e aerei da guerra. Ma il problema è che ciascun Paese punta a fare profitti con le sue aziende a discapito degli altri.Poche ore prima del premier Giorgia Meloni è toccato a Mario Draghi parlare in Senato. La sua platea le tre Commissioni riunite di Camera e Senato (Affari Europei, Bilancio e Attività Produttive).L’ex premier e presidente della Bce ha presentato il Rapporto sulla competitività, già illustrato al Parlamento europeo lo scorso settembre. Difesa comune europea - «un passaggio obbligato» - debito comune e sicurezza dopo la svolta di Donald Trump sono i temi principali che ha messo sul tavolo. Come i dazi, «che hanno sconvolto l’ordine internazionale». E il costo dell’energia, tanto che in cima all’elenco delle azioni necessarie per la competitività europea c’è la riduzione delle bollette. «Una seria politica di rilancio della competitività europea», ha spiegato Draghi, «deve porsi come primo obiettivo la riduzione delle bollette, per imprese e famiglie». Interessante e vera anche la critica sulla compressione dei salari. Peccato che lo stesso Draghi, quello del «volete la pace o il condizionatore acceso dagli uffici di Palazzo Chigi ha preso decisioni che hanno concretamente contribuito a realizzare la situazione in cui ci troviamo. Acquisti congiunti, price cap e altri dettagli che in questo articolo non stiamo ad elencare. Il dettaglio però torna utile nel valutare le mosse che Mr Bce ha suggerito ieri ai nostri senatori riaggiornando quelle oltre 400 pagine scritte prima della vittoria di Trump. Con l’obiettivo di dare una spinta al piano di riarmo avanzato da Ursula Von der Leyen. Un piano che dovrebbe portarci a superare la dipendenza dagli Stati Uniti. «Se l’Europa decidesse di creare la sua Difesa e di aumentare i propri investimenti superando l’attuale frazionamento, invece di ricorrere in maniera così massiccia alle importazioni, essa ne avrebbe certamente un maggior ritorno industriale», spiega Draghi, «nonché un rapporto più equilibrato con l’alleato atlantico anche sul fronte economico. Questa grande trasformazione è in realtà necessaria non solo per le complessità geopolitiche cui stiamo assistendo, ma anche per via della rapidissima evoluzione della tecnologia che ha stravolto il concetto di difesa e di guerra». E quindi il suggerimento è quello di creare piattaforme comuni e finanziarle con i fondi privati che oggi spesso vengono dirottati in area extra Ue. «Questo sviluppo non può che avvenire su scala europea. La Difesa comune diventa pertanto un passaggio obbligato per utilizzare al meglio le tecnologie che dovranno garantire la nostra sicurezza», conclude l’ex premier. «Persino la nostra valutazione dell’investimento in difesa, oggi basata sul computo delle sole spese militari, andrà modificata per includere gli investimenti su digitale, spazio e cybersicurezza che diventano necessari alla difesa del futuro». Sulla carta sembra tutto perfetto. La realtà però, soprattutto quella della Difesa è un po’ complessa. I progetti comuni già esistono. Da anni. Solo che non vanno avanti e non perché mancano i i - questo è vero - ma perché manca la volontà politica di integrazione. Giustamente nessuno Stato vuole cedere sovranità. Militare e tecnologica. Ognuno dovrebbe contribuire con un tassello. Ma non è così semplice. Prima di avviare una riforma e un maxi piano di investimenti bisognerebbe dichiarare quali progetti diventeranno primari e quali moriranno.Un esempio. Il caccia di ultima generazione europeo (posto che si voglia accantonare l’F 35) sarà di produzione franco tedesca o il Gcap, avanzata piattaforma partecipata dalla nostra Leonardo da Uk e Giappone? Il secondo è in fase più avanzata. Basta scegliere quello e metterci altri miliardi sopra per velocizzarne la realizzazione. Vedrete come reagirà Emmanuel Macron e la lobby di Dassault. Fuoco e fiamme. Il carro comune? Stesso discorso. La cantieristica. Visto che lo Spazio Ue è ormai dominato dai francesi può essere logico dare loro un riconoscimento ufficiale. In cambio Fincantieri dovrebbe però acquisire quel che resta della sommergibilistica tedesca e diventare l’unica piattaforma per la Marina europea. L’idea di creare una flotta unica per il Vecchio Continente risale però quasi a dieci anni fa. Non è stato fatto alcun passo in avanti. E vale la pena ricordare che quando Fincantieri, all’epoca guidata da Giuseppe Bono, fece il tentativo di acquisire Stx sulle coste dell’atlantico francese Parigi si rimangiò gli accordi e trovò nell’antitrust Ue la sponda per bloccare tutto. Quando si discute di Difesa, prima bisogna definire gli obiettivi e i partner con i quali si vuole camminare. Altrimenti non solo si fa confusione, si finisce con lo sprecare denaro. E vale la pena ricordare che in questo caso si parla anche di soldi privati. Non lo diciamo noi. «Il dato che meglio riassume la persistente debolezza nostro continente è la quantità di risparmio che lascia l’Europa: 550 miliardi di euro nel 2024», ha ribadito Draghi durante l’audizione. «Si tratta di risparmi a cui l’Ue non fornisce un tasso di rendimento adeguato», ha concluso Draghi. Vero anche questo. Forse perché le tasse sono ormai insostenibili. La burocrazia è eccessiva e chi può va via. Non spetta alla Commissione trovare i fondi e agevolare i privati. E lasciarli liberi di investire. È vero che il settore Difesa è per definizione regolamentato veicolato dalle necessità geopolitiche. Ma una volta trovato l’accordo sui pilastri e i singoli porgetti sarà il mercato a incanalare i fondi. Il contrario non funzionerà mai. Nel peggiore dei casi rischia di essere la riedizione del Green deal (E abbiamo visto che danni sono stati fatti all’industria). Nel migliore dei casi sarà un assit al Pil di Francia e Germania.