Il governo Draghi cancella l'invito alle imprese di investire in Russia dopo lo scoop di Verità&Affari
Non una parola, non una spiegazione, non un gesto di scuse. Solo un colpo di bianchetto per togliere da qualsiasi imbarazzo il governo guidato da Mario Draghi. Finisce così, con la cancellazione improvvisa dopo avere letto la prima pagina di Verità&Affari di ieri, l'imbarazzante spot dell'esecutivo per convincere le imprese italiane ad andare a fare affari con la Russia di Vladimir Putin.
Non c'è più la pagina web di promozione dell'economia russa e di suggerimento dei migliori affari che si potevano fare con Putin, espulsa ieri appunto con un colpo di bianchetto digitale dal portale del governo e del ministero degli Affari Esteri di Luigi di Maio. “Pagina in aggiornamento” è stata la sola via di uscita trovata ieri dall’esecutivo per metterci una pezza. Esiste ancora il portale “InfoMercatiEsteri” del governo italiano, e al suo interno si può comodamente navigare fra i cinque continenti per avere le schede paese utili alle imprese italiane, con tutto l’elenco delle eventuali opportunità come delle avvertenze sui rischi.
All’interno dell’Europa si trova la bandiera della Russia, ma se si clicca sopra non c’è più niente, perché tutto è stato sbianchettato in fretta e furia dopo che avevamo preso il governo in castagna. Solo poche ore prima invece, a 55 giorni dall’inizio della invasione dell’Ucraina e dopo tutti i proclami e le minacce pronunciate contro Mosca sanzionata con un crescendo di provvedimenti di settimana in settimana, in quelle schede si poteva leggere in sostanza una elegia della economia russa e delle importanti riforme avviate nell’era di Putin. Si informavano le imprese italiane che «la strada più diretta per accrescere la nostra presenza nel Paese, e ampliare la nostra quota di mercato, è proprio produrre in loco, beneficiando delle agevolazioni offerte a livello federale e regionale».
E si aggiungeva: «La modernizzazione del sistema economico è una priorità delle Autorità della Federazione russa. Ciò riguarda non solo alcuni settori-chiave ad alto contenuto tecnologico, ma anche le infrastrutture, il cui adeguamento è indispensabile allo sviluppo del Paese. Esistono, dunque, opportunità di collaborazione per imprese italiane in numerosi settori». Il governo italiano faceva pure leva sulla particolare simpatia che esisteva fra i due paesi addirittura facendo intendere che i due popoli avessero particolare vicinanza storico-culturale: «Il pubblico russo guarda con estremo favore al prodotto italiano. Il "Made in Italy" è qui sinonimo di qualità, non solo nelle tradizionali "tre A" ("abbigliamento, alimentare, arredamento"), ma anche nei beni strumentali e per l’industria (macchinari e meccanica) e nell’alta tecnologia. Più in generale, esiste un capitale di simpatia da parte russa verso il nostro Paese, legato a questioni storiche e culturali, che può rappresentare un oggettivo vantaggio in termini di cooperazione economica e commerciale».
IMBARAZZO GRANDE
Ma l’imbarazzo e la confusione fino a ieri erano davvero grandi a leggere altre parti di quella scheda che evidenziava i punti di forza di una partnership sicuramente andata ormai in pezzi, ma perfino negata nelle versioni ufficiali in queste settimane. «Sotto il profilo dei flussi turistici», scriveva il governo italiano prima di cancellare tutto ieri dopo essere stato preso in castagna da Verità&Affari, «va rilevato il dinamismo del turismo russo che ha assunto negli ultimi anni un’importanza strategica per il nostro Paese, sia sotto il profilo economico (l’indotto dell’incoming russo pesa per oltre un miliardo di euro), sia sotto quello politico e sociale, alla luce dello straordinario flusso di cittadini russi che si recano in Italia (oltre un milione, per la maggior parte "returners" abituali).
Alla luce dell’importanza del fenomeno, l’Ambasciata d’Italia a Mosca ha realizzato il portale “La Tua Italia”, unico sito istituzionale sul turismo in lingua russa e italiana; il portale contiene informazioni sulle Regioni, le Città e le destinazioni turistiche italiane; sul patrimonio artistico e culturale del nostro Paese; sull'enogastronomia e sul Made in Italy». Oplà, colpo di bianchetto e ogni imbarazzo è passato.
Quarantaquattro giorni di aria tossica dall’inizio dell’anno. È il nuovo bilancio dell’emergenza smog nel capoluogo lombardo: un numero che mostra come la città sia quasi arrivata, già a novembre, ai livelli di tutto il 2024, quando i giorni di superamento del limite di legge per le polveri sottili erano stati 68 in totale. Se il trend dovesse proseguire, Milano chiuderebbe l’anno con un bilancio peggiore rispetto al precedente. La media delle concentrazioni di Pm10 - le particelle più pericolose per la salute - è passata da 29 a 30 microgrammi per metro cubo d’aria, confermando un’inversione di tendenza dopo anni di lento calo.
A segnare il cambiamento di rotta, qualche giorno fa, è stato Bill Gates, niente meno. In vista della Cop30, il grande meeting internazionale sul clima, ha presentato un memorandum che suggerisce - se non un ridimensionamento di tutto il discorso green - almeno un cambio di strategia. «Il cambiamento climatico è un problema serio, ma non segnerà la fine della civiltà», ha detto Gates. «L’innovazione scientifica lo arginerà, ed è giunto il momento di una svolta strategica nella lotta globale al cambiamento climatico: dal limitare l’aumento delle temperature alla lotta alla povertà e alla prevenzione delle malattie». L’uscita ha prodotto una serie di reazioni irritate soprattutto fra i sostenitori dell’Apocalisse verde, però ha anche in qualche modo liberato tutti coloro che mal sopportavano i fanatismi sul riscaldamento globale ma non avevano il fegato di ammetterlo. Uscito allo scoperto Gates, ora tutti possono finalmente ammettere che il modo in cui si è discusso e soprattutto si è agito riguardo alla «crisi climatica» è sbagliato e dannoso.
Strano tipo il presidente della Repubblica tedesca: nell’anniversario della caduta del muro di Berlino (il 9 novembre, che però è lo stesso della Repubblica di Weimar e della Notte dei Cristalli), si ricorda anche che c’è un partito che prima tutti avevano sottovalutato e che ora diventa il problema numero uno della Germania. Il presidente si chiama Frank-Walter Steinmeier e quel partito di cattivoni è Alternative für Deutschland. Pare che Afd sia un movimento talmente pericoloso da meritarsi o la messa al bando o un cordone sanitario che ne impedisca qualsiasi incarico di governo. Peccato che negli ultimi sondaggi Afd ha superato la Cdu e oscilla tra il 26 e il 27%. Non solo, nel Meclemburgo-Pomerania e soprattutto in Sassonia-Anhalt, Afd si aggira attorno al 40%: se così fosse il partito guidato da Alice Weidel potrebbe nominare il governatore per scelta degli elettori. A meno che la Corte Costituzionale non la metta al bando. A questo punto la domanda di fondo è: conviene davvero giocare a questo gioco e tenere fuori dalla democrazia Alternative für Deutschland?















