2022-06-10
Draghi freme per spalmare il debito con l’Ue
Lotta contro il tempo dopo l’annuncio della fine del Quantitative easing. Il premier cerca un pericoloso asse coi francesi, propone all’Ocse un fondo, simile a Sure, per far fronte ai rincari dell’energia. E poi ammette: «Strada lunga per il tetto ai prezzi del gas».Nella lotta contro il tempo per evitare di portare la barca in mezzo a una tempesta perfetta dopo l’estate, Mario Draghi ieri all’Ocse ha rilanciato la proposta di definire uno strumento simile al Sure, il meccanismo europeo finanziato con l’emissione di bond comuni sperimentato durante la pandemia per sostenere i rischi di disoccupazione. Ma questa volta sarebbe «centrato sull’energia», ha specificato il premier. Che nella sua trasferta parigina, prima di partecipare ai lavori del Consiglio dell’Organizzazione, mercoledì sera ha cenato all’Eliseo con il presidente francese Emmanuel Macron. Un utile alleato che può fare da sponda all’operazione pensata da Draghi. Il quale ha fretta, perché da ex capo dell’Eurotower conosce molto bene i tempi della Bce e sa che deve muoversi subito per portare a casa il maggior numero possibile di salvagenti per l’Italia in caso di marosi settembrini alzati anche dalla fine di undici anni di quantitative easing decisa ieri da Francoforte. Intervenendo all’apertura delle riunioni ministeriali dell’Ocse, ieri Draghi ha ricalato sul tavolo la carta del modello Sure che «contribuirebbe a preservare la stabilità finanziaria in tutta la zona euro». Poi c’è la questione del consenso sociale: l’aumento dei prezzi dell’elettricità, i costi sempre maggiori per i trasporti, con la perdita di potere d’acquisto delle retribuzioni, costituiscono una miscela pericolosa che i governi dovrebbero evitare. Il presidente del Consiglio ha premesso che «responsabilità e solidarietà devono andare di pari passo, a livello nazionale ma anche europeo» e ha ricordato che l’Italia ha deciso una tassa straordinaria sui profitti delle società energetiche e ha «utilizzato le entrate per ridurre le bollette del gas e dell’elettricità per i più vulnerabili». Per questo «nell’Unione europea, dobbiamo considerare di replicare alcuni degli strumenti congiunti che ci hanno aiutato a riprenderci rapidamente dalla pandemia». Prestiti, appunto, non sovvenzioni. Sui quali i Paesi più frugali, che frenano all’ipotesi di un Recovery bis, non possono dirsi contrari.Del resto, lo scorso 31 maggio, anche il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nelle sue considerazioni finali aveva ribadito che il debito pubblico resta un elemento «di forte vulnerabilità», rammentando, se mai fosse necessario, la necessità di «non abbassare la guardia». Ma anche sottolineando come ci siano «solide ragioni per avviare anche forme di gestione comune di una parte dei debiti nazionali emessi in passato - ad esempio, la componente riconducibile all’emergenza pandemica - attraverso un fondo europeo che acquisisca, finanziandosi sul mercato, una quota dei titoli pubblici esistenti». Ma ieri, a Parigi, Draghi ha rilanciato anche altri temi che stanno a cuore a Palazzo Chigi. Come l’imposizione di un tetto Ue al prezzo del gas importato dalla Russia che «ridurrebbe i flussi finanziari verso Mosca, limiterebbe l’aumento dell’inflazione e contribuirebbe a sostenere i salari». Ma su questo punto la strada di un’intesa a 27 «potrebbe essere ancora lunga», ha ammesso il premier, deciso a riportare comunque la proposta sul tavolo del prossimo Consiglio Ue del 23 e 24 giugno. Dopo aver ringraziato l’Ocse per aver messo a punto l’accordo «storico» sulla minimum tax siglato poi al G20 di Roma, ha ribadito anche la richiesta di riaprire i porti del Mar Nero per evitare «una catastrofe alimentare» dalle conseguenze incalcolabili. «Dobbiamo sbloccare i milioni di tonnellate di cereali bloccati lì a causa del conflitto», ha dichiarato ieri aggiungendo che i sei pacchetti di sanzioni decisi da Bruxelles «hanno inferto un duro colpo agli oligarchi vicini al Cremlino e a settori chiave dell’economia russa».Draghi vuole, insomma, indicare la strada per convincere gli altri leader europei a proseguire sull’agenda del vertice di Versailles di marzo e a inaugurare nuovi strumenti di finanziamento Ue. E intanto invita a fare attenzione a non «creare una spirale prezzo-salario che comporterebbe, a sua volta, tassi di interesse ancora più elevati». D’altronde, «le banche centrali hanno iniziato a inasprire la politica monetaria, portando a un aumento degli oneri finanziari», ha chiosato il premier lanciando un suggerimento alla Bce guidata da Christine Lagarde. La cui decisione di aumentare i tassi a luglio ieri ha già rimesso le ali allo spread. Mancano ancora dieci mesi alla fine della legislatura, il rapporto debito/Pil secondo le stime continuerà a scendere sia quest’anno sia il prossimo nonostante il rallentamento dell’economia, eppure i mercati finanziari stanno suonando nuovamente una sveglia al nostro Paese. Certo, il trend è frutto anche di fattori esterni come i contraccolpi della crisi Ucraina e come, appunto, la normalizzazione della politica monetaria di Francoforte che in questi anni ha svolto il ruolo di ombrello comprando i titoli sul secondario. Il livello del debito italiano però preoccupa perché per restare sostenibile deve poter essere bilanciato da una buona crescita del Pil. Altrimenti si cercano salavagenti comuni modello Sure sul breve tempo. Ma la questione è sempre e solo una. Che cosa viene chiesto in cambio?
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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