True
2021-03-27
Draghi è stato contagiato da Speranza
Roberto Speranza e Mario Draghi (Ansa)
«È impensabile tenere chiusa l'Italia per tutto aprile». La scena non è nuova. C'è un premier che spinge per blindare la porta e c'è un leader che ha messo il piede nello stipite per impedirglielo. È Matteo Salvini che, pur in un contesto generale completamente diverso dall'annus horribilis di Giuseppe Conte, si trova a sostenere la stessa parte in commedia mentre Mario Draghi fa catenaccio. E come si dice nel calcio, parcheggia il pullman sulla linea di porta con buona pace del lirico «ritorno alla vita». La risposta del presidente arriva quasi subito: «Le misure sono pensabili o impensabili solo in base ai dati che vediamo».
Le nuove zone rosso-arancioni anche dopo il 7 aprile sono una mazzata sociale. L'ipotesi di eliminazione a tradimento del giallo con un mese di divieti fino al 30 aprile, come chiedono i ministri della sinistra chiusurista, è un guanto di sfida politico. L'unica concessione (scuole elementari aperte) non fa altro che riallineare il Draghi 1 al Conte 2. È l'uovo partorito dalla cabina di regia, il direttorio voluto dal presidente Sergio Mattarella da cui tutto discende, e composto dalla formazione Draghi, Speranza, Franco, Giorgetti, Patuanelli, Franceschini, Gelmini, Bonetti, Bianchi, Garofoli (sottosegretario), Brusaferro e Locatelli (Cts). Una squadra alla quale si chiede di osare qualcosa in più rispetto al catenaccio trapattoniano che in un anno ha prodotto 100.000 morti, il crollo dell'economia e la desertificazione delle aree commerciali.
I provvedimenti draconiani verranno portati in Consiglio dei ministri, poi in Aula con un decreto legge a metà della prossima settimana. All'orizzonte si profila un prevedibile scontro politico. La Lega non può accettare che fin d'ora si metta il Paese agli arresti domiciliari per un altro mese. Salvini aveva fiutato la trappola e in mattinata era uscito allo scoperto: «Nel nome del buonsenso che contraddistingue il premier, e soprattutto dei dati medici e scientifici, chiediamo che dal 7 aprile, almeno nelle Regioni e nelle città con situazione sanitaria sotto controllo, si riaprano (ovviamente in sicurezza) le attività chiuse. E si ritorni alla vita a partire da ristoranti, teatri, palestre, cinema, bar, oratori, negozi».
Obiezione respinta. Per tutta la durata della cabina di regia Salvini si è tenuto in contatto con Giancarlo Giorgetti , che ha provato a scardinare «la linea del terrore» di Roberto Speranza e Dario Franceschini, due ministri che insieme rappresentano meno del 20% degli elettori. L'idea di blindare l'Italia fino a maggio viene definita pazzesca dentro la Lega: «È completamente folle dare per scontato fin da ora che le chiusure proseguiranno sino alla fine del mese prossimo come vorrebbero Speranza e Franceschini. Così si fa solo del terrorismo psicologico».
Dal primo partito del centrodestra arriva anche un'apertura di credito nei confronti del premier perché l'approccio di lotta e di governo - tattica bossiana vincente - è rimasto nel dna. Fonti interne definiscono «apprezzabile quanto sostenuto da Draghi in conferenza stampa, quando ha detto che sarebbe desiderabile avviare alcune riaperture. La stella polare sono i dati, e proprio perché variano di giorno in giorno è impensabile dire già da ora che non si potranno alleggerire le restrizioni più avanti. Se si chiude con tanti contagi e gli ospedali in sofferenza, si dovrà riaprire con pochi contagi e gli ospedali a posto. Salute e lavoro non sono nemici».
La frase cardine della giornata del chiavistello è ancora di Salvini: «Qualunque proposta in Consiglio dei ministri e in Parlamento avrà l'ok della Lega solo se prevederà un graduale e sicuro ritorno alla vita». Qui si parla di voti e di strategie, è in corso la prima vera partita a scacchi nella maggioranza. Di più, fra il premier e la Lega. È il primo strappo, anche se solo verbale, rispetto all'allineamento militare dietro la Draghi way of life. Salvini sta marcando una differenza forte rispetto agli altri componenti del governo istituzionale, si intesta la leadership dell'ala aperturista proseguendo su una linea di coerenza rispetto al passato.
Il botta e risposta, l'appuntamento in Aula, la richiesta di non imporre chiusure preventive senza dati freschi sono propri di una dialettica che segna il ritorno della politica. Finalmente. Draghi ha spazzato via l'ipocrisia (e poco altro, per ora). È la differenza sostanziale rispetto al Ceausescu style di Conte, che a ogni obiezione mandava avanti i corvi del Cts e rispondeva con il mantra: «Ce lo dice la scienza». Poiché nell'anno pandemico la scienza ha detto tutto e il suo contrario, bentornata politica. Oggi torna a pesare con le responsabilità dei singoli partiti all'interno di una maggioranza composita.
La Settimana santa sarà anche la più lunga, con Salvini che tiene il piedone nello stipite e Speranza (sempre più smunto, sempre più affranto) che vorrebbe nascondersi in cantina fino al giorno del giudizio. È l'uomo dell'inverno sanitario, per lui la politica è una zona rossa permanente e si esaurisce nel counter dei contagi. Dovrà difendere in Parlamento le restrizioni e quell'idea sinistra di imporle fino a maggio, ma è probabile che il premier trovi una soluzione mediana.
Speranza è l'opposto di Massimo Garavaglia, ministro del Turismo leghista, già proiettato sull'estate: «Da aprile vorrei vedere aperto, tutti gialli in estate. Non c'è motivo di pensare a qualcosa di diverso». Draghi risponde anche a lui, ottimista che non è altro: «Se potessi andare in vacanza prenoterei anch'io quelle estive». Lo penseremo guardando un tramonto sul mare, andrà bene anche così.
La svolta di Draghi non arriva mai. Italia in «Profondo rosso»
La cortesia di Mario Draghi è impeccabile («Posso cominciare?», chiede alla sua portavoce, oppure si informa premuroso «Dov'è?», per poter guardare chi di volta in volta gli pone le domande), ma questa gentilezza e una consumata abilità sono messe al servizio di una conferenza sgusciante, furbamente selettiva, in cui il premier valorizza le pochissime buone notizie (essenzialmente una: la riapertura delle scuole, ma solo fino alla prima media), salvo attenuare, smorzare e quasi occultare le moltissime cattive (il fatto che resteremo chiusi, tra il rosso e l'arancione, fino a fine aprile), lasciando che questo fatto venga esplicitato solo da una domanda arrivata dopo circa 70 minuti. Insomma, alle decisioni più deludenti restano delegati la «cabina di regia» e il solito ineffabile Roberto Speranza, seduto alla destra del premier e spesso chiamato a dire la sua, ovviamente in senso restrittivo e chiusurista.
Per il resto, Draghi tratta con parole garbate nella forma ma liquidatorie nella sostanza Matteo Salvini (che aveva definito «impensabile» tenere tutto chiuso anche ad aprile), derubricando la posizione del leader leghista a una prospettiva «desiderabile». Anche sul piano europeo, il premier si affida a un gioco di specchi: prima attacca pesantemente Astrazeneca (pur senza citarla), e poi annuncia che si vaccinerà con essa («Ho fatto la prenotazione, sto aspettando che mi rispondano…»); così come prima si schiera a favore dell'irrobustimento della possibilità di blocco Ue dell'export dei vaccini, e poi, forse accorgendosi del rischio di scivolare verso una linea troppo conflittuale, sembra ritrarsi e auspica ripetutamente un'intesa tra Bruxelles e il Regno Unito.
La parte iniziale della conferenza è dedicata ai vaccini e al Consiglio Ue, non senza alcuni incredibili equivoci nelle domande: molti parlano come se l'Ue avesse essa stessa prodotto vaccini (cosa che evidentemente non sta né in cielo né in terra), laddove si tratta invece di vaccini prodotti da aziende private che hanno stabilimenti anche in Ue. Eppure Draghi valorizza il giro di vite deciso dai 27: «Prima l'unico requisito per bloccare l'export era il fatto che la società produttrice non avesse rispettato i contratti. Ora la Commissione ha allargato il criterio, introducendo le parole “proporzionalità" e “reciprocità"». Con il secondo termine, spiega Draghi, si fa riferimento al fatto che «conta anche cosa fa il Paese verso cui il vaccino è diretto, se esso stesso blocca le esportazioni o no»; con il primo, si fa riferimento al fatto che l'export possa riguardare «un Paese che ha già un alto livello di vaccinati». Atteggiamento curioso da parte di Bruxelles: diventa una specie di colpa essere stati più veloci dell'Ue.
Poi l'attacco più pesante ad Astrazeneca (pur non nominata): «Credo che il blocco vada considerato nei confronti delle società che non rispettano i patti. Si ha l'impressione che alcune società si siano vendute le cose due o tre volte…». Quanto all'Uk, Draghi è sembrato tendere la mano rispetto alle durezze di Bruxelles: «Blocco totale? Non ci dobbiamo assolutamente arrivare e non ci arriveremo». E ancora: «Ognuna delle parti dice di avere ragione. Il punto è se bisogna aspettare gli avvocati, mentre c'è un'enorme quantità di vaccini prodotti in Belgio e in Olanda destinati all'Uk. La cosa migliore è trovare un accordo». Poi la frase più distensiva e saggia: «Il revanscismo non porta da nessuna parte. E non ne usciamo con i blocchi: ne usciamo con la produzione di vaccini».
Draghi ha quindi ribadito la sua affermazione più coraggiosa di una settimana fa: «Dobbiamo far di tutto per cercare il coordinamento europeo, ma se non si riesce dobbiamo cercare altre strade». Quanto a Sputnik, il premier ha spiegato che «l'Ema non ha ancora ricevuto domanda ma sta facendo una review delle varie componenti». In ogni caso, «non si prevede che si pronunci prima di 3-4 mesi».
Dopo un lungo elogio dell'intervento di Joe Biden, Draghi è passato all'Italia, accennando prima alla vaccinazione dei sanitari («Non va bene che operatori non vaccinati siano in contatto con malati. Il ministro Cartabia sta preparando un provvedimento») e poi alla prossima riapertura delle scuole, ma solo fino alla prima media. Qui il premier ha motivato la scelta, estremamente limitata, dicendo che «le decisioni prese nell'ultima cabina di regia hanno portato a una diminuzione nel tasso di crescita dei contagi», ma «la situazione rimane molto critica e preoccupante». E ha aggiunto: già a suo tempo dicemmo che «se ci fosse stato uno spazio, avremmo aperto fino alla prima media». E a quel punto a Speranza non è parso vero di poter chiarire che per il resto la porta rimane sbarrata: «La situazione è delicata: ci consentiamo di spendere questo piccolissimo tesoretto sulla scuola».
Draghi ha poi smorzato la polemica con le Regioni, pur ribadendo che ora occorrerà seguire un criterio più rigidamente anagrafico per le vaccinazioni («la risposta delle Regioni è stata ampiamente positiva, inutile minacciare misure»).
Quindi la già citata risposta alla linea più aperturista di Salvini: per Draghi, tenere chiuso non è «pensabile o impensabile: dipende esclusivamente dai dati che vediamo. Queste misure hanno dimostrato di non essere campate per aria». Risposta che Draghi ha solo leggermente attenuato, prima dichiarandosi d'accordo, pur con una punta di ironia, con l'invito a prenotare le vacanze fatto dal ministro Massimo Garavaglia («Se potessi andare in vacanza ci andrei volentieri»), e poi, proprio in conclusione di conferenza, lasciando aperto uno spiraglio di riflessione ulteriore («Non escludo cambiamenti in corso, continueremo a seguire i dati, la situazione va monitorata giorno per giorno»). Ma intanto resta tutto chiuso, proprio come ai tempi di Giuseppe Conte.
Scuole aperte fino alla prima media. L'unica notizia è buona solo a metà
La riapertura delle scuole ci sarà, dopo Pasqua, ma «fino alla prima media», ha annunciato ieri il presidente del Consiglio, Mario Draghi, in conferenza stampa. Dopo tre settimane di chiusura - anzi, quattro, considerando quella pasquale - asili nido, elementari e prima media potranno ripartire. La decisione di un'apertura a metà è stata presa dopo la cabina di regia presieduta dal premier sulle nuove misure per la zona rossa. Solo gli studenti del Lazio, con il passaggio a zona arancione, potrebbero dire addio alla didattica a distanza (Dad) alle medie e probabilmente alle superiori già martedì 30 marzo.
«C'è stata una diminuzione del tasso di crescita dei contagi», ha spiegato il presidente del Consiglio, osservando però che «il resto della situazione rimane preoccupante». Insomma, aprire ulteriormente potrebbe aumentare i contagi, ma «aprire fino alla prima media non è di per sé fonte di contagio», perché «più si alza l'età più aumentano i casi», ha dichiarato Draghi. Il riferimento è al problema dei trasporti, e a tutte le attività parascolastiche, che sono quelle che causano una maggiore circolazione del virus. Nelle ultime settimane si è fatta insistente la richiesta di riaprire la scuola da esperti e genitori che hanno protestato ovunque, sui social e anche in piazza, con i bambini. Sulla questione dell'aumento dei contagi collegati agli studenti i dati sono controversi. Una spinta verso la riapertura potrebbe essere arrivata da uno studio condotto da un gruppo di epidemiologi, medici, biologi e statistici tra cui Sara Gandini dello Ieo di Milano e riportato nei giorni scorsi dal Corriere della Sera. I risultati dimostrano come non ci sia correlazione tra aumento dei contagi e apertura della scuola: i giovani contagiano il 50% in meno rispetto agli adulti e i focolai sono sotto il 7% di tutte le scuole.
«Il ministro Bianchi sta lavorando sulla riapertura, in alcuni casi sarà possibile effettuare anche test su studenti e docenti», ha detto Draghi. In effetti, se la chiusura delle scuole è un problema serio per i ragazzi in termini di benessere psicofisico, è anche vero che ci sono delle condizioni per mettere le scuole in sicurezza, meno costosi e più efficaci dei banchi a rotelle. Secondo lo European centers for disease control, serve una bassa prevalenza e incidenza Covid nel territorio e strategie basate su tamponi rapidi (ogni 3-5 giorni) per identificare tempestivamente i nuovi contagi a scuola e suggerire l'isolamento di dieci giorni per tutti i casi positivi al test. È il piano che sta considerando il ministro Patrizio Bianchi, ma non è pensabile fare un tampone naso faringeo settimanale a un adulto, figuriamoci a dei bambini. Da più parti si chiede l'uso del test salivare, che consiste nel far masticare ai bambini un tampone di cotone. Il test, messo a punto mesi fa anche da un team di ricercatrici milanesi, non può essere utilizzato perché, nonostante sia stata provata l'efficacia del 98%, è in corso di validazione da parte dell'Istituto superiore di sanità. I tempi dovrebbero essere maturi per un pronunciamento.
Continua a leggereRiduci
Il leader leghista fiuta la resa e anticipa la conferenza del presidente chiedendo di «riaprire dal 7 aprile». La vera partita si giocherà nel Cdm: «Noi siamo per il ritorno alla vita». E Massimo Garavaglia pressa sul turismo. Il premier si piega alla linea dura di Roberto Speranza e lascia il Paese chiuso per tutto aprile. Celandosi dietro la «cabina di regia». Dopo Pasqua i più grandi non torneranno in classe. Ignorati gli studi e i sit in dei genitori. Lo speciale contiene tre articoli. «È impensabile tenere chiusa l'Italia per tutto aprile». La scena non è nuova. C'è un premier che spinge per blindare la porta e c'è un leader che ha messo il piede nello stipite per impedirglielo. È Matteo Salvini che, pur in un contesto generale completamente diverso dall'annus horribilis di Giuseppe Conte, si trova a sostenere la stessa parte in commedia mentre Mario Draghi fa catenaccio. E come si dice nel calcio, parcheggia il pullman sulla linea di porta con buona pace del lirico «ritorno alla vita». La risposta del presidente arriva quasi subito: «Le misure sono pensabili o impensabili solo in base ai dati che vediamo». Le nuove zone rosso-arancioni anche dopo il 7 aprile sono una mazzata sociale. L'ipotesi di eliminazione a tradimento del giallo con un mese di divieti fino al 30 aprile, come chiedono i ministri della sinistra chiusurista, è un guanto di sfida politico. L'unica concessione (scuole elementari aperte) non fa altro che riallineare il Draghi 1 al Conte 2. È l'uovo partorito dalla cabina di regia, il direttorio voluto dal presidente Sergio Mattarella da cui tutto discende, e composto dalla formazione Draghi, Speranza, Franco, Giorgetti, Patuanelli, Franceschini, Gelmini, Bonetti, Bianchi, Garofoli (sottosegretario), Brusaferro e Locatelli (Cts). Una squadra alla quale si chiede di osare qualcosa in più rispetto al catenaccio trapattoniano che in un anno ha prodotto 100.000 morti, il crollo dell'economia e la desertificazione delle aree commerciali. I provvedimenti draconiani verranno portati in Consiglio dei ministri, poi in Aula con un decreto legge a metà della prossima settimana. All'orizzonte si profila un prevedibile scontro politico. La Lega non può accettare che fin d'ora si metta il Paese agli arresti domiciliari per un altro mese. Salvini aveva fiutato la trappola e in mattinata era uscito allo scoperto: «Nel nome del buonsenso che contraddistingue il premier, e soprattutto dei dati medici e scientifici, chiediamo che dal 7 aprile, almeno nelle Regioni e nelle città con situazione sanitaria sotto controllo, si riaprano (ovviamente in sicurezza) le attività chiuse. E si ritorni alla vita a partire da ristoranti, teatri, palestre, cinema, bar, oratori, negozi». Obiezione respinta. Per tutta la durata della cabina di regia Salvini si è tenuto in contatto con Giancarlo Giorgetti , che ha provato a scardinare «la linea del terrore» di Roberto Speranza e Dario Franceschini, due ministri che insieme rappresentano meno del 20% degli elettori. L'idea di blindare l'Italia fino a maggio viene definita pazzesca dentro la Lega: «È completamente folle dare per scontato fin da ora che le chiusure proseguiranno sino alla fine del mese prossimo come vorrebbero Speranza e Franceschini. Così si fa solo del terrorismo psicologico». Dal primo partito del centrodestra arriva anche un'apertura di credito nei confronti del premier perché l'approccio di lotta e di governo - tattica bossiana vincente - è rimasto nel dna. Fonti interne definiscono «apprezzabile quanto sostenuto da Draghi in conferenza stampa, quando ha detto che sarebbe desiderabile avviare alcune riaperture. La stella polare sono i dati, e proprio perché variano di giorno in giorno è impensabile dire già da ora che non si potranno alleggerire le restrizioni più avanti. Se si chiude con tanti contagi e gli ospedali in sofferenza, si dovrà riaprire con pochi contagi e gli ospedali a posto. Salute e lavoro non sono nemici». La frase cardine della giornata del chiavistello è ancora di Salvini: «Qualunque proposta in Consiglio dei ministri e in Parlamento avrà l'ok della Lega solo se prevederà un graduale e sicuro ritorno alla vita». Qui si parla di voti e di strategie, è in corso la prima vera partita a scacchi nella maggioranza. Di più, fra il premier e la Lega. È il primo strappo, anche se solo verbale, rispetto all'allineamento militare dietro la Draghi way of life. Salvini sta marcando una differenza forte rispetto agli altri componenti del governo istituzionale, si intesta la leadership dell'ala aperturista proseguendo su una linea di coerenza rispetto al passato. Il botta e risposta, l'appuntamento in Aula, la richiesta di non imporre chiusure preventive senza dati freschi sono propri di una dialettica che segna il ritorno della politica. Finalmente. Draghi ha spazzato via l'ipocrisia (e poco altro, per ora). È la differenza sostanziale rispetto al Ceausescu style di Conte, che a ogni obiezione mandava avanti i corvi del Cts e rispondeva con il mantra: «Ce lo dice la scienza». Poiché nell'anno pandemico la scienza ha detto tutto e il suo contrario, bentornata politica. Oggi torna a pesare con le responsabilità dei singoli partiti all'interno di una maggioranza composita. La Settimana santa sarà anche la più lunga, con Salvini che tiene il piedone nello stipite e Speranza (sempre più smunto, sempre più affranto) che vorrebbe nascondersi in cantina fino al giorno del giudizio. È l'uomo dell'inverno sanitario, per lui la politica è una zona rossa permanente e si esaurisce nel counter dei contagi. Dovrà difendere in Parlamento le restrizioni e quell'idea sinistra di imporle fino a maggio, ma è probabile che il premier trovi una soluzione mediana. Speranza è l'opposto di Massimo Garavaglia, ministro del Turismo leghista, già proiettato sull'estate: «Da aprile vorrei vedere aperto, tutti gialli in estate. Non c'è motivo di pensare a qualcosa di diverso». Draghi risponde anche a lui, ottimista che non è altro: «Se potessi andare in vacanza prenoterei anch'io quelle estive». Lo penseremo guardando un tramonto sul mare, andrà bene anche così. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/draghi-e-stato-contagiato-da-speranza-2651226607.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-svolta-di-draghi-non-arriva-mai-italia-in-profondo-rosso" data-post-id="2651226607" data-published-at="1616789783" data-use-pagination="False"> La svolta di Draghi non arriva mai. Italia in «Profondo rosso» La cortesia di Mario Draghi è impeccabile («Posso cominciare?», chiede alla sua portavoce, oppure si informa premuroso «Dov'è?», per poter guardare chi di volta in volta gli pone le domande), ma questa gentilezza e una consumata abilità sono messe al servizio di una conferenza sgusciante, furbamente selettiva, in cui il premier valorizza le pochissime buone notizie (essenzialmente una: la riapertura delle scuole, ma solo fino alla prima media), salvo attenuare, smorzare e quasi occultare le moltissime cattive (il fatto che resteremo chiusi, tra il rosso e l'arancione, fino a fine aprile), lasciando che questo fatto venga esplicitato solo da una domanda arrivata dopo circa 70 minuti. Insomma, alle decisioni più deludenti restano delegati la «cabina di regia» e il solito ineffabile Roberto Speranza, seduto alla destra del premier e spesso chiamato a dire la sua, ovviamente in senso restrittivo e chiusurista. Per il resto, Draghi tratta con parole garbate nella forma ma liquidatorie nella sostanza Matteo Salvini (che aveva definito «impensabile» tenere tutto chiuso anche ad aprile), derubricando la posizione del leader leghista a una prospettiva «desiderabile». Anche sul piano europeo, il premier si affida a un gioco di specchi: prima attacca pesantemente Astrazeneca (pur senza citarla), e poi annuncia che si vaccinerà con essa («Ho fatto la prenotazione, sto aspettando che mi rispondano…»); così come prima si schiera a favore dell'irrobustimento della possibilità di blocco Ue dell'export dei vaccini, e poi, forse accorgendosi del rischio di scivolare verso una linea troppo conflittuale, sembra ritrarsi e auspica ripetutamente un'intesa tra Bruxelles e il Regno Unito. La parte iniziale della conferenza è dedicata ai vaccini e al Consiglio Ue, non senza alcuni incredibili equivoci nelle domande: molti parlano come se l'Ue avesse essa stessa prodotto vaccini (cosa che evidentemente non sta né in cielo né in terra), laddove si tratta invece di vaccini prodotti da aziende private che hanno stabilimenti anche in Ue. Eppure Draghi valorizza il giro di vite deciso dai 27: «Prima l'unico requisito per bloccare l'export era il fatto che la società produttrice non avesse rispettato i contratti. Ora la Commissione ha allargato il criterio, introducendo le parole “proporzionalità" e “reciprocità"». Con il secondo termine, spiega Draghi, si fa riferimento al fatto che «conta anche cosa fa il Paese verso cui il vaccino è diretto, se esso stesso blocca le esportazioni o no»; con il primo, si fa riferimento al fatto che l'export possa riguardare «un Paese che ha già un alto livello di vaccinati». Atteggiamento curioso da parte di Bruxelles: diventa una specie di colpa essere stati più veloci dell'Ue. Poi l'attacco più pesante ad Astrazeneca (pur non nominata): «Credo che il blocco vada considerato nei confronti delle società che non rispettano i patti. Si ha l'impressione che alcune società si siano vendute le cose due o tre volte…». Quanto all'Uk, Draghi è sembrato tendere la mano rispetto alle durezze di Bruxelles: «Blocco totale? Non ci dobbiamo assolutamente arrivare e non ci arriveremo». E ancora: «Ognuna delle parti dice di avere ragione. Il punto è se bisogna aspettare gli avvocati, mentre c'è un'enorme quantità di vaccini prodotti in Belgio e in Olanda destinati all'Uk. La cosa migliore è trovare un accordo». Poi la frase più distensiva e saggia: «Il revanscismo non porta da nessuna parte. E non ne usciamo con i blocchi: ne usciamo con la produzione di vaccini». Draghi ha quindi ribadito la sua affermazione più coraggiosa di una settimana fa: «Dobbiamo far di tutto per cercare il coordinamento europeo, ma se non si riesce dobbiamo cercare altre strade». Quanto a Sputnik, il premier ha spiegato che «l'Ema non ha ancora ricevuto domanda ma sta facendo una review delle varie componenti». In ogni caso, «non si prevede che si pronunci prima di 3-4 mesi». Dopo un lungo elogio dell'intervento di Joe Biden, Draghi è passato all'Italia, accennando prima alla vaccinazione dei sanitari («Non va bene che operatori non vaccinati siano in contatto con malati. Il ministro Cartabia sta preparando un provvedimento») e poi alla prossima riapertura delle scuole, ma solo fino alla prima media. Qui il premier ha motivato la scelta, estremamente limitata, dicendo che «le decisioni prese nell'ultima cabina di regia hanno portato a una diminuzione nel tasso di crescita dei contagi», ma «la situazione rimane molto critica e preoccupante». E ha aggiunto: già a suo tempo dicemmo che «se ci fosse stato uno spazio, avremmo aperto fino alla prima media». E a quel punto a Speranza non è parso vero di poter chiarire che per il resto la porta rimane sbarrata: «La situazione è delicata: ci consentiamo di spendere questo piccolissimo tesoretto sulla scuola». Draghi ha poi smorzato la polemica con le Regioni, pur ribadendo che ora occorrerà seguire un criterio più rigidamente anagrafico per le vaccinazioni («la risposta delle Regioni è stata ampiamente positiva, inutile minacciare misure»). Quindi la già citata risposta alla linea più aperturista di Salvini: per Draghi, tenere chiuso non è «pensabile o impensabile: dipende esclusivamente dai dati che vediamo. Queste misure hanno dimostrato di non essere campate per aria». Risposta che Draghi ha solo leggermente attenuato, prima dichiarandosi d'accordo, pur con una punta di ironia, con l'invito a prenotare le vacanze fatto dal ministro Massimo Garavaglia («Se potessi andare in vacanza ci andrei volentieri»), e poi, proprio in conclusione di conferenza, lasciando aperto uno spiraglio di riflessione ulteriore («Non escludo cambiamenti in corso, continueremo a seguire i dati, la situazione va monitorata giorno per giorno»). Ma intanto resta tutto chiuso, proprio come ai tempi di Giuseppe Conte. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/draghi-e-stato-contagiato-da-speranza-2651226607.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="scuole-aperte-fino-alla-prima-media-l-unica-notizia-e-buona-solo-a-meta" data-post-id="2651226607" data-published-at="1616789783" data-use-pagination="False"> Scuole aperte fino alla prima media. L'unica notizia è buona solo a metà La riapertura delle scuole ci sarà, dopo Pasqua, ma «fino alla prima media», ha annunciato ieri il presidente del Consiglio, Mario Draghi, in conferenza stampa. Dopo tre settimane di chiusura - anzi, quattro, considerando quella pasquale - asili nido, elementari e prima media potranno ripartire. La decisione di un'apertura a metà è stata presa dopo la cabina di regia presieduta dal premier sulle nuove misure per la zona rossa. Solo gli studenti del Lazio, con il passaggio a zona arancione, potrebbero dire addio alla didattica a distanza (Dad) alle medie e probabilmente alle superiori già martedì 30 marzo. «C'è stata una diminuzione del tasso di crescita dei contagi», ha spiegato il presidente del Consiglio, osservando però che «il resto della situazione rimane preoccupante». Insomma, aprire ulteriormente potrebbe aumentare i contagi, ma «aprire fino alla prima media non è di per sé fonte di contagio», perché «più si alza l'età più aumentano i casi», ha dichiarato Draghi. Il riferimento è al problema dei trasporti, e a tutte le attività parascolastiche, che sono quelle che causano una maggiore circolazione del virus. Nelle ultime settimane si è fatta insistente la richiesta di riaprire la scuola da esperti e genitori che hanno protestato ovunque, sui social e anche in piazza, con i bambini. Sulla questione dell'aumento dei contagi collegati agli studenti i dati sono controversi. Una spinta verso la riapertura potrebbe essere arrivata da uno studio condotto da un gruppo di epidemiologi, medici, biologi e statistici tra cui Sara Gandini dello Ieo di Milano e riportato nei giorni scorsi dal Corriere della Sera. I risultati dimostrano come non ci sia correlazione tra aumento dei contagi e apertura della scuola: i giovani contagiano il 50% in meno rispetto agli adulti e i focolai sono sotto il 7% di tutte le scuole. «Il ministro Bianchi sta lavorando sulla riapertura, in alcuni casi sarà possibile effettuare anche test su studenti e docenti», ha detto Draghi. In effetti, se la chiusura delle scuole è un problema serio per i ragazzi in termini di benessere psicofisico, è anche vero che ci sono delle condizioni per mettere le scuole in sicurezza, meno costosi e più efficaci dei banchi a rotelle. Secondo lo European centers for disease control, serve una bassa prevalenza e incidenza Covid nel territorio e strategie basate su tamponi rapidi (ogni 3-5 giorni) per identificare tempestivamente i nuovi contagi a scuola e suggerire l'isolamento di dieci giorni per tutti i casi positivi al test. È il piano che sta considerando il ministro Patrizio Bianchi, ma non è pensabile fare un tampone naso faringeo settimanale a un adulto, figuriamoci a dei bambini. Da più parti si chiede l'uso del test salivare, che consiste nel far masticare ai bambini un tampone di cotone. Il test, messo a punto mesi fa anche da un team di ricercatrici milanesi, non può essere utilizzato perché, nonostante sia stata provata l'efficacia del 98%, è in corso di validazione da parte dell'Istituto superiore di sanità. I tempi dovrebbero essere maturi per un pronunciamento.
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
Continua a leggereRiduci
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
Continua a leggereRiduci
Ecco #DimmiLaVerità del 10 dicembre 2025. Con il nostro Alessandro Rico analizziamo gli ostacoli che molti leader europei mettono sulla strada della pace in Ucraina.