2018-10-05
«Dove l’affido è davvero condiviso la conflittualità tra genitori è calata»
Il medico che ha introdotto il concetto cui si ispira la legge in discussione al Senato: «I figli dopo la separazione devono passare dal 35 al 65% del tempo con mamma e papà. Si prevengono pure le malattie psicosomatiche». Parla Vittorio Vezzetti, medico pediatra di Arona, cittadina sul lago Maggiore sulla quale troneggia Il Sancarlùn: la statua del Cerano, alta 30 metri, dedicata al suo cittadino più illustre, Carlo Borromeo, vescovo di Milano e Santo geniale e testardo, modello e sintesi della gente di qui.In Senato si sta discutendo del Ddl 735 per la riforma dell'affidamento condiviso. Si tende a non parlarne, perché la coscienza pulita, su questo tema, ce l'hanno in pochi. Sia per i soldi che girano attorno alla questione, sia per la quantità di vittime provocate per decenni da leggi poco eque, parziali, malamente informate delle conseguenze sul piano fisico e psicologico. Amministrate poi da tribunali che in gran parte le hanno manipolate, camuffando da affido condiviso l'affidamento esclusivo alla madre. E rendendo così orfani di padre milioni di bambini che avevano già perso una famiglia unita. La Verità , nell'articolo dal titolo Lo sguardo selvatico, pubblicato il 2 settembre, ha dato una prima valutazione molto pesante: 2 milioni di bambini coinvolti, solo nel corso degli ultimi dieci anni. Se ci aggiungiamo ) i genitori, entrambi implicati da regolamenti squilibrati, e soprattutto i bimbi trascinati nel tritacarne dalla legislazione famigliare da dopo il divorzio in poi, il panorama è agghiacciante: intere generazioni private per legge dell'esperienza della filiazione paterna. Con tutte le conseguenze che questo ha sul piano antropologico, politico, economico. Verrebbe voglia di girare lo sguardo. Ma è meglio guardarci dentro. Un atto dovuto verso i bambini e verso il futuro del paese.Anche perché, come in altri ambiti della vita pubblica, pure in questo campo si stanno manifestando cambiamenti che aprono speranze impensabili fino a poco tempo fa. Il disegno di legge 735 sull'affidamento condiviso, di cui si discute in queste settimane in Senato, è uno di questi. Ne parliamo con Vittorio Vezzetti, medico pediatra di Arona, cittadina sul lago Maggiore sulla quale troneggia Il Sancarlùn: la statua del Cerano, alta 30 metri, dedicata al suo cittadino più illustre, Carlo Borromeo, vescovo di Milano e Santo geniale e testardo, modello e sintesi della gente di qui. Vezzetti, con un paziente lavoro di anni, ha introdotto e divulgato in Italia, paese dal mammismo diffuso e violento (come mostrano i numerosi delitti contro le donne), la nozione di «affido materialmente condiviso» (material shared parenting), cui il disegno di legge si ispira, e molti altri dei concetti presenti nel disegno di legge. L'avverbio “materialmente" porta una concretezza che sarebbe piaciuta a San Carlo, tipo dalla spiritualità seria, calata nella realtà. L'affido condiviso c'è anche adesso, ma è quello «legale» (il legal shared parenting), dove si finisce a stare con la mamma e basta. Paternità e maternità significa invece stare insieme, parlarsi, guardarsi negli occhi tra genitori. Il resto sono carte e avvocati.Vezzetti, che cos'è l'affido materialmente condiviso? «È quella forma di affidamento in cui, dopo la separazione dei genitori, la prole viene accudita da ambedue le figure genitoriali per tempi simili. Ne esistono diverse forme. Quella significativa prevede che si passi dal 35 al 65% del tempo (calcolato in numero di pernottamenti) presso ciascun genitore. Al di fuori è un affidamento materialmente esclusivo».Quali sono i vantaggi? «Nei Paesi che l'hanno adottato la conflittualità fra i genitori si riduce, anche di parecchio. Per esempio: in Svezia e Danimarca solo il 2-3% delle coppie ormai si separa per via giudiziale. Più si diffonde l'Amc, e più si riduce anche il rischio di perdita del contatto con un genitore, situazione invece assai frequente in Italia e per cui la Corte europea dei diritti dell'uomo ha più volte sanzionato il nostro Paese».Vezzetti, quando lei ha cominciato a portare a Bruxelles, Strasburgo e in giro per convegni in Europa la casistica italiana di padri cacciati in malo modo da tutto, anche i più freddi hanno cominciato a ascoltare e preoccuparsi. Che conseguenze ha l'affido materialmente condiviso sulla salute? «Come ha riconosciuto il Consiglio d'Europa, che lo raccomanda, positive. A medio-breve termine la letteratura scientifica ha osservato una netta associazione positiva fra Amc e benessere psicofisico. A lungo termine ha un'azione preventiva nei confronti di quegli eventi avversi precoci che, come la medicina ha dimostrato, sono in grado di causare gravi malattie organiche».Per esempio?«A 9 anni i bambini che hanno in precedenza perso il padre (per morte, incarceramento o anche divorzio) hanno una riduzione significativa dei telomeri (la parte finale dei cromosomi). Le conseguenze a distanza sono serie. Ripeto da anni che il divorzio con bambini va affrontato come un problema di salute pubblica».Come tale, infatti, è, già considerato in diversi Paesi. In Svezia, la competenza sui figli dopo il divorzio è direttamente del ministero della Salute. Ma perché, poi, si continua a dire che i bambini con l'affido materialmente condiviso sarebbero ridotti a pacchi postali? «Posto che non c'è nessuna base scientifica e che la stabilità affettiva vale sicuramente di più di quella muraria, i bambini in affido a settimane alterne sottostanno comunque a un quarto degli spostamenti di quelli “a weekend alterni con pernotto infrasettimanale", usati finora in Italia nell'affido legalmente condiviso».E cosa pensa del mantenimento diretto, anziché il leggendario «assegno» paterno? «Dove c'è affidamento materialmente condiviso può esserci un mantenimento per capitoli di spesa. Ognuno paga la sua parte e modella le spese sui bisogni del bambino. In Canada questo mantenimento scatta sempre quando il bambino passa almeno dal 40 al 60% del tempo con ogni genitore. Certo, se vi è una forte sperequazione temporale, cioè il bambino passa quasi tutto il tempo con un genitore, il mantenimento diretto non funziona».E l'obbligo di mediazione? Perché sarebbe così scandaloso?«Un passaggio obbligatorio dal mediatore prima dell'abisso giudiziale c'è già in diversi Paesi (Regno Unito e Croazia, per esempio). In Norvegia e Australia se hai figli fino a 16 anni è obbligatorio un percorso con molti incontri, in cui si viene aiutati a stilare un piano genitoriale. In Canada e Usa il giudice può ordinare la mediazione familiare. vLa mediazione funziona, e molto, nei Paesi dove la legge è favorevole all'affido materialmente condiviso. Nei Paesi dove non c'è vera imparzialità di genere, si litiga. Ed è peggio per tutti».
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)