Ai Musei Civici di Bassano del Grappa, recentemente rinnovati e riammodernati, sino al 4 febbraio 2024 va in scena l’America in bianco e nero di Dorothea Lange, fra le più note fotografe statunitensi del XX secolo. Oltre 200 gli scatti in mostra, in un percorso espositivo che racconta, in modo crudo e incisivo, le ombre e le miserie di un Paese che stava affondando nella Grande Depressione.
Ai Musei Civici di Bassano del Grappa, recentemente rinnovati e riammodernati, sino al 4 febbraio 2024 va in scena l’America in bianco e nero di Dorothea Lange, fra le più note fotografe statunitensi del XX secolo. Oltre 200 gli scatti in mostra, in un percorso espositivo che racconta, in modo crudo e incisivo, le ombre e le miserie di un Paese che stava affondando nella Grande Depressione.Guardare le foto di Dorothea Lange è come leggere un libro di John Steinbeck. Furore per esempio, o Uomini e Topi. Gli stessi luoghi, gli stessi protagonisti. Agricoltori, operai, disoccupati, raccoglitori di cotone. Tutti miserabili, tutti nullatenenti, tutti uniti dallo stesso destino di miseria e povertà, tutti sfrattati dalle loro terre (inaridite dalle siccità o sommerse dalle alluvioni) e per questi condannati a migrazioni perenni e disumane. La speranza di un Eldorado - o forse solo di un futuro migliore- soffocata dall’ombra della Grande Depressione. Tutti ne fanno le spese, i più poveri soprattutto: le liste degli « ultimi» si allungano a dismisura. E se Steinbeck, della Grande Depressione, è stato definito il «cantore», la Lange, nei suoi biglietti da visita, si definiva «photographer of the people», la fotografa della gente. Dove il termine gente non stava per vips , aristocratici o altoborghesi, ma indicava quell’umanità dimenticata che lei - nata nel New Jersey da una famiglia benestante di origini tedesche - sapeva immortalare senza pietismo o compassione, ma con sguardo lucido e profondo, comprensivo e partecipe. A Dorothea Lange, che con il suo obiettivo ha saputo catturare le sfumature di un’epoca cruciale , Bassano del Grappa dedica un’importante mostra, curata da Walter Guadagnini e Monica Poggi e realizzata in collaborazione con CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia di Torino.La MostraIn un percorso espositivo di oltre 200 scatti in bianco e nero, a sfilare sotto gli occhi dei visitatori una panoramica completa delle fotografie più significative della Lange, con un focus sul suo «periodo d’oro», quello che va dagli anni Trenta alla Seconda Guerra Mondiale. Immagini potenti e ricche di pathos, che raccontano di contadini dai volti rugosi, di giovani che sembrano vecchi, di agricoltori senza terra, di donne sfatte e segnate dalla fatica, di bambini senza cibo, di paesaggi rurali degradati, di tuguri indecenti di legni marci e lamiere. Che la Lange immortali le conseguenze umane e sociali della Grande Depressione o i campi di prigionia per cittadini giapponesi presenti sul territorio americano dopo l’attacco di Pearl Harbor (e questo corpus di immagini è esposto per la prima volta in Italia in maniera completa ed esaustiva), ogni scatto è una finestra aperta sulla vita di chi, in quegli anni difficili, ha lottato duramente. E spesso ha perso. Anche se, altrettanto spesso, lo ha fatto con dignità e fierezza. Quella stessa fierezza che si ritrova nello sguardo della donna ritratta in Migrant Mother, la foto scattata nel 1936 a Nipomo, in California e diventata senza ombra di dubbio la più celebre della Lange, la «foto perfetta», un’icona con cui scrisse una pagina indelebile della storia della fotografia, imponendosi come pioniera della documentazione sociale americana. Tuttavia, soffermandosi su quelle immagini potentemente evocative, ci si accorge che vi è qualcosa di più...Ci si accorge che la Lange , da artista colta e raffinata qual’era, non si è limitata a documentare la realtà, ma ha catturato l'anima di chiunque fosse di fronte al suo obiettivo. E con una forza e modernità sorprendenti, ha raccontato fatti e persone, crisi climatiche, migrazioni, ingiustizie e discriminazioni. Temi ancora di assoluta attualità, che offrono spunti di riflessione e occasioni di dibattito sul nostro presente e sulla condizione umana in generale
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.