2020-11-14
Dopo mesi di ritardo sui protocolli finalmente aggiornate le cure a casa
Fino a ieri i medici dovevano attenersi ai metodi di marzo. Ora arrivano eparina e cortisone.«Per le cure a casa dei pazienti con Covid noi medici di famiglia siamo fermi alle indicazioni che ci sono state fornite tra marzo e aprile. Trattiamo gli assistiti con paracetamolo, ibuprofene, vitamine in prima battuta. Se invece la febbre si protrae, anche antibiotici e cortisone. Se sopraggiunge la dispnea e la saturimetria scende troppo indichiamo l'ospedale». Queste le accuse di ieri di Silvestro Scotti, segretario nazionale della Federazione dei medici di famiglia. «Serve un protocollo di utilizzo omogeneo, compiti definiti, funzioni chiare. Le linee guida dovrebbero essere scritte con la collaborazione di virologi e pneumologi», rincarava la dose il collega Roberto Vanesia, segretario Fimmg Piemonte. Parole di una gravità assoluta che chiamavano in causa il ministro della Salute, Roberto Speranza. Poi in serata la svolta, con la bozza di protocollo aggiornata e messo a punto dalla Commissione nazionale coordinata dal dottor Matteo Bassetti. Resta però una domanda: con quali strumenti abbiamo lottato contro il coronavirus fino a ieri? Per rispondere bastano gli elementari strumenti dell'algebra. La mortalità di una data malattia è una frazione. Al numeratore vi sono i decessi dovuti a quella specifica patologia. Al denominatore vi sono tutti gli abitanti di una data comunità. Nel nostro caso l'Italia. Il tasso di mortalità (decessi/popolazione) è però a sua volta il risultato di una moltiplicazione fra altre due frazioni. La prima è il cosiddetto tasso di letalità ovverosia la frazione al cui numeratore vi è il numero dei morti a causa del morbo e al denominatore il numero degli infetti (decessi/infetti). Per abbassare questo rapporto non c'entra nulla il lockdown. È solo una roba di medici. Più questi sono bravi e più cose sanno della malattia, più riescono a curare i pazienti con successo.La seconda frazione è invece il cosiddetto tasso di contagiosità; una frazione al cui numeratore vi sono gli infetti e al denominatore gli abitanti di una data comunità (infetti/popolazione). Ed è qui che entrano in gioco le misure per contenere i contagi. Se non si hanno rimedi contro una malattia bisogna limitarne la diffusione. Ma il costo che si paga in termini economici è drammatico: 900 milioni al giorno. A tanto ammonta infatti la stima giornaliera della perdita di reddito registratasi fra il secondo trimestre del 2020 (quello del lockdown) rispetto al corrispondente quarto del 2019. Ma se alla prima ondata era comunque comprensibile affidarsi esclusivamente alla chiusura delle attività mancando di informazioni su come curare il Covid, non aver invece messo a fattor comune le migliori pratiche mediche che hanno consentito agli ospedali Sant'Orsola di Bologna e di Piacenza di azzerare la letalità del virus nei mesi scorsi è di fatto imperdonabile.«Già ai primi di marzo ci siamo resi conto che in ospedale arrivavano centinaia di malati e questi erano tutti con una storia di tosse, febbre e mancanza di fiato che durava da giorni. La gente era a casa, non guariva e poi a un certo punto non resisteva più e andava al pronto soccorso disperata. Così veniva ricoverata, intubata e poteva capitare che morisse». Queste le parole dell'oncoematologo piacentino Luigi Cavanna, intervistato dalla Verità per ben due volte. Con all'attivo - durante la prima ondata - 300 pazienti curati tempestivamente a domicilio e meno di una quindicina ricoverati. Morti zero. «Da lì per noi è scattato l'uovo di Colombo. Ci siamo chiesti: ma queste persone quando sono in ospedale che cura ricevono? Somministravamo inizialmente antivirale e idrossiclorochina mattina e sera, tre pastiglie e ci siamo detti: ma se noi queste pastiglie le diamo 15 giorni prima può cambiare qualcosa? Possono non intasare gli ospedali?». Il cerchio si è chiuso quando le prime autopsie evidenziavano che chi moriva di Covid aveva spesso una tromboembolia disseminata. L'eparina sottocute è entrata di diritto nel protocollo dei medici più attenti. E in quello standard soltanto ieri, come dicevamo all'inizio, la bozza di protocollo messa a punto dalla Commissione coordinata dal dottor Matteo Bassetti va in questa direzione. Per cui, in sintesi, paracetamolo, acido acetilsalicitico, nei casi più complessi eparina o cortisone. Nessuna terapia per gli asintomatici. Per quelli con sintomi lievi (febbre non superiore a 38 gradi) si prescrive una terapia sintomatica, come paracetamolo, ibuprofene o acido acetilsalicilico in assenza di controindicazioni. In caso di sintomi moderati si prevede la stessa terapia sintomatica e in aggiunta l'eparina in caso di età superiore a 60 anni, ridotta mobilità o presenza di altri fattori di rischio. Cui si possono aggiungere antibioticoterapia da valutare caso per caso in base all'impegno polmonare e cortisone indicato solamente dopo 5-7 giorni dall'esordio dei sintomi.Fino a ieri quindi, sforzi erculei profusi nel terrorizzare i cittadini perché digerissero la clausura. E nessun razionale sforzo a condividere protocolli di cura per trattare al meglio la malattia. E i confronti internazionali sono purtroppo impietosi. Se infatti a contagiosità (infetti/popolazione) ci sono 46 Paesi messi peggio di noi che registriamo oltre 17.600 contagiati per ogni milione di abitanti, quanto a letalità l'Italia è la peggiore al mondo fra le economie avanzate con un rapporto decessi su infetti intorno al 4%.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)