
Il Professore, ospite dell'Annunziata, suggerisce di rivedere la manovra riducendo il rapporto deficit/Pil al 2%. Così la maggioranza, dovendo rinunciare a quota 100 o al reddito di cittadinanza, si spaccherebbe.Nel campo della maggioranza, è stata una domenica a metà, quella di ieri, tra comprensibile cautela politica e toni apparentemente più distesi verso Bruxelles. Ma - fuori dal governo - tra un retroscena del Corriere della Sera e la riapparizione televisiva di Romano Prodi, si agita un network che spinge per un cedimento a favore della Commissione Ue, senza particolare attenzione alle esigenze di crescita dell'Italia, e - per sovrammercato - suggerendo ipotesi che acuirebbero le tensioni tra Lega e M5s. Procediamo con ordine. Sabato sera si è svolta la cena tra Giuseppe Conte e Jean-Claude Juncker. Il premier Conte, a posteriori, ha riconosciuto le due facce della medaglia. Da un lato, ha ammesso che «non è stato un incontro risolutivo», insomma nessun fatto nuovo; dall'altro, ha parlato di un dialogo meno spigoloso, con auspicabili effetti sullo spread («Questo scambio con il presidente Juncker ha avuto un aspetto positivo: entrambi abbiamo convenuto che i toni devono essere mantenuti bassi e confidare che lo spread possa scendere. Abbassare i toni può contribuire a ciò, visto che ci è stato detto che i toni alti lo facevano alzare»).E ieri mattina, enfatico ed euforico, Juncker ha voluto dare la stessa sensazione: «Ho messo in chiaro ieri sera che non siamo in guerra con l'Italia, anzi, ti amo, Italia!».Sarà. Ma la ricerca di un compromesso non è facile, perché non è solo questione di galateo e bon ton. È realistico che gli uomini di Bruxelles abbiano chiesto al governo di rinunciare (per dirottarli altrove) a 4-5 miliardi degli stanziamenti previsti per le misure più costose (interventi sulle pensioni e reddito di cittadinanza), che il governo aveva peraltro già cercato di diluire e dilatare nel tempo. È evidente che c'è una soglia al di là della quale l'arretramento diverrebbe un'operazione elettoralmente controproducente agli occhi dell'opinione pubblica. E infatti i partiti di maggioranza sono prudenti. Gran silenzio dal M5s, mentre Matteo Salvini ha dato due segnali diversi. Il primo più rigido l'altra sera, su Twitter, dopo la cena di Conte («Passi indietro non se ne fanno! Avanti tutta!»), il secondo apparentemente più flessibile ieri in un'intervista rilasciata all'agenzia Adnkronos. Interrogato sul carattere intoccabile del 2,4% di deficit, Salvini ha scelto toni morbidi nella forma: «Penso che nessuno sia attaccato a quello: se c'è una manovra che fa crescere il Paese, può essere il 2,2 o il 2,6. Non è un problema di decimali, è un problema di serietà e concretezza». E il punto è proprio questo: che si fa per irrobustire una crescita che, nel 2019, non si annuncia affatto sostenuta? La Verità, ad esempio, ha più volte suggerito un nuovo dosaggio delle risorse, enfatizzando i tagli di tasse e le misure per gli investimenti. E il leader leghista, infatti, sembra legare le scelte dei prossimi giorni proprio all'esigenza della crescita. Attenzione che - invece - sembra mancare nei ragionamenti del «network del cedimento», che ieri si è manifestato due volte. Una prima volta, sul Corriere della Sera. Titolone attribuito tra virgolette al premier greco Alexis Tsipras, in un articolo di Federico Fubini: «Cedete subito, poi sarà peggio». Ma, a parte il fatto che la Grecia non sembra esattamente il modello da imitare per l'Italia, leggendo si scopre che non si tratta di un'intervista, bensì solo di un retroscena, di una confidenza che Tsipras avrebbe fatto a non meglio precisate «personalità italiane». L'articolo proseguiva con le fosche previsioni di Goldman Sachs sull'Italia, con dati di crescita per il 2019 assai contratti rispetto alle previsioni di Roma e di Bruxelles: e nessuno nega che il problema esista, ma è abbastanza curioso che non sia stato esplicitato un aspetto fondamentale, e cioè che i modelli di rating delle banche sono naturalmente più prudenti e orientati alla cautela rispetto a quelli dei governi. Più avanti nella giornata, si è manifestato (ospite di Lucia Annunziata su Rai 3) l'ex premier Romano Prodi. Anche lui oscillante tra avvertimenti («ancora si possono evitare gli scogli»), critiche al governo («con i governi precedenti si è trattato con l'Ue, oggi si è minacciato»), e l'indicazione della presunta «soluzione», quasi la fissazione di un punto di caduta del negoziato («Il 2,4 è una provocazione: se il governo si fosse limitato a un deficit del 2, l'Italia avrebbe avuto meno problemi con l'Europa»).Più un consiglio avvelenato che un suggerimento amichevole, però. Perché inserirebbe un altro cuneo tra Salvini e Di Maio: a cosa togliere i soldi? A quota 100 o al reddito di cittadinanza? Una curiosità finale. Prodi ha rilevato quella che gli pare una contraddizione: da un lato l'indice di fiducia alto dei cittadini verso i partiti di maggioranza, ma dall'altro il fatto che i cittadini abbiano ridotto di molto gli acquisti di titoli di Stato. L'ipotesi che molte famiglie fatichino ad arrivare a fine mese e non abbiano margini per risparmiare sembra non essere stata presa in considerazione dal Professore.
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