2022-02-28
Giorgio Cortellesi: «Dopo il terremoto Amatrice devastata dal bonus edilizia»
Nel riquadro il sindaco di Amatrice Giorgio Cortellesi (Getty Images)
Il sindaco: «Imprese e professionisti non si trovano, raddoppiati i costi dei materiali. Così in paese c’è un solo cantiere aperto».«Fossero stati in cucina, o in bagno, i miei figli sarebbero morti nel crollo. Sono rimaste integre solo le camere dove dormivano». A Giorgio Cortellesi la voce si incrina ancora di pianto, quando deve raccontare quella notte del 24 agosto 2016. La corsa nel centro di Amatrice, tra la polvere e le macerie, con la moglie. I suoi due ragazzi erano dai nonni, si sono salvati, ma al piano di sopra una famiglia intera non ce l’ha fatta. Furono quasi 300 le vittime di quel sisma. Cortellesi, ingegnere, una vita nella pubblica amministrazione, è stato il primo a lavorare all’Ufficio speciale per la ricostruzione, ed è stato eletto sindaco nel 2021. Vive a Rieti, 50 minuti di strada, ma spesso in Comune fa tardi alla sera e allora dorme in una casettina con le ruote, perché non si è mai fatto assegnare la «sae», soluzione abitativa di emergenza, che pure gli spetterebbe di diritto.Sono trascorsi cinque anni e mezzo. «Ed è stata un’esperienza così forte che ancora adesso faccio fatica a renderla reale. La mente tende a cancellare, a farti percepire le cose come fossero un film, non saprei spiegarlo meglio. Sono nato qui, ci ho vissuto fino alle superiori, e poi d’estate. Provi a immaginare di conoscere tutti fin dall’infanzia, e poi accade qualcosa di assurdo. Sparisce tutto quel che avevi attorno, persone comprese. Bimbi che avevi portato a casa la sera prima, amici di una vita. Capita di chiedersi se quella persona è viva o no. Ci sono anziani, qui, che dopo il terremoto si sono lasciati morire, perché il trauma è stato troppo forte. Una devastazione fisica e morale che ha coinvolto tutti».Qual è la situazione del centro storico oggi?«Non c’è nulla, solo terra. Anche le macerie sono state portate via». La ricostruzione non è iniziata?«A oggi è stato ricostruito il 15% degli immobili. Sto facendo di tutto per ripartire, ma un solo cantiere è attivo in questo momento. Non è facile. Diversi sono i commissari straordinari del governo che si sono succeduti, e devo dire che l’attuale, Giovanni Legnini, ha cercato in ogni modo di snellire le procedure, togliere burocrazia. Con il suo staff è al nostro fianco». Ma…?«Le imprese e i professionisti non si trovano. I bonus e gli incentivi per l’edilizia hanno fatto sì che tutta Italia sia diventata un cantiere, e i costi del materiale sono raddoppiati e non seguono più le regole di mercato. Architetti, geometri, ingegneri, sono oberati di lavoro e hanno abbandonato il sisma». Quanti sono gli abitanti di Amatrice oggi?«Non più di 900. Prima del terremoto eravamo in 2.700, oggi i residenti sono 2.300 circa, ma la maggior parte non vive più qui. E difficilmente tornerà, perché le famiglie si stanno ambientando nelle loro nuove vite: figli, scuole, amicizie». Chi è rimasto e ha perso la casa abita nelle strutture provvisorie?«Quattrocentocinquanta famiglie vivono in queste strutture abitative, sì. Sono piccole, ma dotate di tutti i comfort. L’alternativa era usufruire del cosiddetto “cas”, contributo per autonoma sistemazione: serve a pagare un affitto, ad esempio. E poi purtroppo ci sono molte case abusive».Ma occorre chiudere un occhio?«Beh, qualche occhio bisogna chiuderlo, ma a furia di farlo qui stiamo diventando ciechi. Sono al lavoro per sanare gli abusi». Anche l’economia è ferma?«Vivere qui è complicato, mancano i servizi e non è più un vero e proprio paese. È stata costruita un’area commerciale, una sorta di mercato al coperto, che ha riunito le attività degli esercenti che hanno perso il negozio. I loro affari funzionano relativamente: un tempo qui si veniva perché si aveva la seconda casa. Tanti italiani visitano Amatrice oggi per solidarietà o curiosità, ma si fermano un giorno, due al massimo, e non spendono certo per comprare artigianato, abiti, prodotti del posto. Vanno meglio i ristoranti, forse, anche loro riuniti in una zona unica».Lo Stato c’è?«Lo Stato c’è, ma pezzi di Stato sono prigionieri della burocrazia e delle norme. Le racconto l’ultima vicenda, che ritengo davvero ingiusta: quando nel 2016 il Comune crollò non c’erano nemmeno carta e penna, il server è stato recuperato solo successivamente. E i contributi Inps ai dipendenti comunali furono pagati in ritardo».Comprensibile, no?«E invece l’Inps ora ci ha chiesto gli interessi su quei contributi. Sessantamila euro, non una cifra esagerata, che abbiamo pagato per forza, per essere in regola con il Durc, e cioè il Documento unico di regolarità contributiva, altrimenti la macchina amministrativa non può funzionare. Ma ritengo sia ingiusto il principio. “Non possiamo far nulla”, mi hanno sempre risposto dall’Inps, alle mie lettere indirizzate anche al presidente».Arrivarono molte donazioni, allora. «La generosità di tutto il Paese e dal mondo intero è stata formidabile. Sono arrivati tanti soldi che sarebbero bastati per una popolazione di 200.000 persone. Non sono utilizzabili per il bilancio comunale, ma per la popolazione, giustamente. Ho dovuto però rendere impignorabili le donazioni rimaste, perché il Comune è stato condannato insieme con la Regione e la società che gestisce le case popolari per il crollo di una palazzina. Il risarcimento danni per le vittime è di 4,5 milioni di euro, divisi in tre. Ora la Regione ci chiede la nostra parte. Ma il nostro bilancio è di 1 milione di euro a dir tanto. Se non ci sono case, quali imposte posso riscuotere? Non voglio nemmeno pensare che si andrà a compensazione, e che mi toglieranno i soldi per le strade, sarebbe troppo». Il teatro dell’assurdo. «Ciascuno ha i suoi bilanci, l’amministrazione pubblica così funziona. Gliene potrei raccontare ancora tantissime, di assurdità del genere. Si figuri che dobbiamo pagare l’acqua persa dai tubi rotti dopo il sisma. Quasi 800.000 euro, che vanno ad aggiungersi al debito lasciato dalla precedente amministrazione: in tutto 1 milione e mezzo di euro. Sto facendo un piano di ammortamento con la Regione. Non mi avvilisco e vado avanti. Non abbandonerò la nave». Quanto dice le fa onore, ma che si può fare se la situazione è quella che descrive? «Ad Amatrice è fondamentale uscire dalla forma mentale del piangerci addosso. La tragedia c’è stata, nessuno la nega, ma noi ora possiamo essere un modello per tutti di ricostruzione funzionale, energeticamente vantaggiosa. Penso a una smart city, ad esempio. Non posso rifare la pianificazione di nuovo, resta quanto è stato deciso in questi anni, ma i 69 borghi e frazioni di Amatrice distrutti dal sisma devono assolutamente ripartire».Come?«Sono al lavoro su tanti fronti, per la programmazione e lo sviluppo, per le attività commerciali. Sto pensando a un progetto di biodistretto per l’agricoltura e l’agroalimentare. Alla valorizzazione delle nostre tradizioni con la promozione di manifestazioni culturali. E, inoltre, sto cercando di diminuire gli aiuti a chi non ne ha vera necessità». Immagino che si starà facendo dei nemici, così. «Forse non tutti saranno contenti, ma ho fiducia che parlando con le persone poi si arrivi sempre a capirsi. Non sto dicendo che i soldi arrivati qui anche con le donazioni siano stati persi, o spesi male, dalle precedenti amministrazioni. Ma sono stati dati a pioggia. E qui c’è un fenomeno psicologico difficile da spiegare: chi vive un trauma, tende a considerarsi una vittima». Lo è, no?«Ci mancherebbe, certo. Ma le faccio l’esempio di una telefonata che mi è arrivata qualche giorno fa da un container: mi si è allentata la maniglia, qualcuno venga a ripararla con il cacciavite. Se si rompe un tubicino, in pochi tirano fuori 1 euro di tasca propria per ripararlo. Aspettano che gli si tagli l’erba fuori dalle casette. Capisce che questo è indice del fatto che qui si considera ogni cosa dovuta. E non si riesce a uscire da questo stato di prostrazione. Così, anche il contributo per l’affitto che è erogato dalla Protezione civile - e quindi pagato con le tasse di tutti gli italiani - è diventato per tanti una specie di rendita mensile». Di quanti soldi parliamo?«Per una famiglia numerosa si arriva a 1.800 euro, si parte da 500. Lo scopo di quel contributo era abitativo, ma ora toglierlo a chi non ne ha realmente bisogno non è facile. Molti ritardano a ricostruire per non perdere il contributo. Soprattutto chi aveva qui una seconda casa. Anche se, come le dicevo, il problema principale di oggi è il mercato dell’edilizia. Amatrice deve evolversi, non restare più soltanto il luogo del dolore e della memoria. Usciamo dall’assistenzialismo, aiutiamo solo chi ha davvero necessità».
Alice Weidel (Getty Images)