2022-10-26
Dopo 50 anni torna il primato della famiglia
Fatte le leggi su divorzio e aborto, negli anni Settanta, l’Italia ha trascurato genitori e figli e s’è occupata solo di potentati economici. Ora il governo deve risanare un’istituzione ferita. Che però resta centrale per i cittadini europei, nonostante i tentativi di demolirla.Con il governo Meloni torna al centro della politica italiana un soggetto assente ormai dal 1970: la famiglia. È interessante che il ministro competente (davvero) sia Eugenia Roccella. Con le due leggi sui rapporti famigliari, quella del divorzio del dicembre 1970 sul divorzio e quella del maggio 1978 sull’aborto, il centro dell’attenzione e attività politica, in Italia come negli altri grandi Paesi occidentali fu tolto alla famiglia con le sue appendici formative, come la scuola e lo sport, e riservato alle attività produttive e di consumo. I governi smisero di occuparsi di genitori e figli e delle loro esigenze, e si concentrarono sulle richieste dei gruppi industriali, e dei sindacati. Su questo nuovo orientamento della politica, dalla famiglia ai gruppi di pressione economici, arrivati in quegli anni a dimensioni e poteri mai avuti prima, ebbe un peso importante un nuovo fattore: il fatto che l’apparato produttivo, al colmo del suo sviluppo, avesse fame di nuovi addetti per reggere la concorrenza internazionale. C’era una sola figura non ancora (o solo poco) coinvolta nella produzione: la donna madre di famiglia. Era lei che (a costi ancora molto inferiori a quelli degli uomini) poteva portare nuovo ossigeno nelle aziende e nella prosperità occidentale. Fu su questa valutazione che si costituì la nuova alleanza politica che ispirò nei decenni successivi la politica italiana, come anche quella della maggior parte dei Paesi occidentali: l’accordo tra i partiti cristiano-conservatori e i socialdemocratici nel marginalizzare l’istituto della famiglia come primo nucleo di formazione della personalità umana, mettendo al primo posto non l’equilibrato sviluppo affettivo dei nuovi cittadini, ma le immediate prospettive di guadagno economico, di consumo e di status. La valutazione poteva reggere dal punto di vista contabile, ma da quello psicologico fu rovinosa.Nei nuovi gruppi dirigenti, successivi alle rinascita dell’Europa dopo la seconda guerra mondiale gli aspetti economici immediati presero così il sopravvento rispetto a una visione più ampia della politica italiana ed europea, in cui l’obiettivo di un benessere più profondo e storicamente e spiritualmente fondato fosse presente accanto a quello del fragile e manovrabile homo consumans. Fu così che al centro del nuovo patto di governo tra i partiti cristiani e quelli socialdemocratici furono proprio le leggi che penalizzavano la famiglia: divorzio e aborto. Le due leggi, a lungo poi celebrate dai media del sistema come fossero un straordinario balzo di civiltà, non erano affatto una novità, soprattutto a Roma dove già Cesare Augusto con le sue leggi di ripristino dei mores maiorum (i costumi dei padri) abolì altre abitudine frettolosamente adottate all’insegna del libertinaggio, che stavano riducendo le nascite e indebolire la romanità in sviluppo. AIlora come oggi, importante è invece non ideologizzare i propri comodi danneggiando la società, a cominciare dai figli. Fallimento dell’unione coniugale e aborto furono da sempre due gravi infortuni della vita umana e della società. Non si tratta di toglierli dal mondo o demonizzarli, ma di aiutare chi ne viene coinvolto a uscirne nel miglior modo possibile, senza moltiplicare i danni attorno a sé.Oggi, l’attenzione che il governo Meloni sembra avere alla famiglia e al suo risanamento dopo l’impazzimento degli anni Settanta, in Italia viene accusata di arretratezza da aspiranti élite non informate da cosa accade nel mondo. Negli Stati Uniti già nei primi anni 2000 i maggiori sondaggi americani denunciavano come primo problema nazionale l’assenza dalla casa famigliare del padre, cacciatone dal divorzio richiesto dalla madre, e così fin dal 2010 l’incremento nel tasso dei divorzi cominciò a declinare. Come racconto nel recente Il ritorno del padre (San Paolo), oggi perfino gli European values studies, della Ue, ammettono con un certo imbarazzo che: «sposati e con figli è lo stile di vita preferito dai cittadini della Ue, a dispetto i decenni di liberazione sessuale, emancipazione e individualismo«. E non hanno dubbi, gli europei, sul fatto che «affinché i figli possano crescere felici sono necessari sia un padre che una madre». In queste posizioni della popolazione non c’è nulla di ideologico. È l’esperienza disastrosa vissuta e raccontata dalla gran parte dei figli dei divorzi e stili di vita anni Settanta e seguenti a far sì che la barra del timone sia poi stata radicalmente modificata nel cinquantennio seguente. L’Italia è ormai l’unica nazione europea dove l’affido post divorzio non è materialmente condiviso tra i genitori, e il padre vede i figli in tempi giudicati anche dal Consiglio d’Europa «insufficienti a mantenere vivo il rapporto». Che infatti va molto spesso perso. Così, l’Italia si ritrova poi con il maggior numero di persone che dai 15 ai 35 anni non studia né lavora, perché nessun padre ne ha trasmesso il messaggio e l’esempio. La gestione della famiglia e dei giovani data dalla politica nell’ultimo mezzo secolo è stata un atto di grave sabotaggio nei confronti della nazione e degli italiani. I dati erano noti e la maggior parte dei Paesi occidentali ne ha tenuto conto, abbandonando gradualmente la scomposta distruttività anni Settanta. Solo noi abbiamo continuato: infatti nascono sempre meno italiani. Ora basta.
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Charlie Kirk (Getty Images)