2024-07-03
Il documento programmatico del Ppe somiglia a un trappolone per Ursula
Ursula von der Leyen (Ansa)
I popolari chiedono una stretta sull’immigrazione e un ripensamento del Green deal. Inaccettabile per i verdi, ma difficile da digerire pure per i socialisti. All’Europarlamento alla Von der Leyen potrebbero mancare i voti.Autonomia: il ministro Nello Musumeci contro Luca Zaia, che chiedeva l’inizio delle negoziazioni col Veneto. Le Regioni rosse corrono per il referendum abrogativo prima che Stefano Bonaccini decada.Lo speciale contiene due articoli.Saranno pure democristiani, ma mordono, eccome se mordono: il Ppe prepara un documento programmatico per la nuova legislatura europea che somiglia tanto a un trappolone per i socialisti ma pure per Ursula von der Leyen. Mentre il presidente incaricato cerca di raggranellare i voti sufficienti per non correre il rischio di essere trombata al voto di fiducia dell’Europarlamento il prossimo 18 luglio, rivolgendosi a sinistra ai verdi e trattando sottobanco a destra con i conservatori di Giorgia Meloni, il suo stesso partito, appunto il Ppe, pilastro principale della maggioranza con socialisti e liberali, mette nero su bianco una serie di paletti che complicheranno assai le trattative di Ursula con i Verdi e le faranno pure perdere consensi tra i socialisti. Il documento dei popolari somiglia tanto al programma del centrodestra italiano. Sul fronte immigrazione, si propone «un Libro bianco sugli hub per il rimpatrio nei Paesi terzi per le persone soggette a una decisione di rimpatrio e i cui Paesi di origine non le accettano e un nuovo Memorandum d’intesa per un pacchetto di partenariati con Paesi terzi di origine e transito come Mali, Niger, Ciad, Nigeria o Etiopia sul modello dell’accordo Ue-Tunisia o del partenariato strategico e globale tra Egitto e Ue». Modello Giorgia: gli accordi con i Paesi terzi li ha fatti la Meloni con l’Albania, così come è stato il nostro premier a ideare e realizzare il memorandum Ue-Tunisia. Ma proseguiamo: il Ppe propone di modificare il regolamento europeo sulle emissioni di Co2 che dal 2035 vieterà la vendita di auto a combustione interna, diesel e benzina, e auspica una «revisione delle regole per la riduzione della CO2 per auto e furgoni nuovi per consentire l’uso di carburanti alternativi a zero emissioni oltre il 2035», chiedendo «una nuova strategia per i carburanti sintetici, i biocarburanti e i carburanti a basso contenuto di carbonio, con incentivi e finanziamenti mirati, da affiancare alla strategia dell’Ue per l’idrogeno». Quanto al Green deal, il Ppe si impegna «a continuare a realizzarlo» ma trasformandolo in un «Green growth deal» per dare più spazio alla crescita e «raggiungere l’obiettivo di riduzione delle emissioni di Co2 del 55% entro il 2030 e la neutralità climatica entro il 2050, rafforzando al contempo la competitività dell’Ue e garantendo la neutralità tecnologica». Spunta anche l’idea di un commissario ad hoc per la pesca. Musica per le orecchie del governo italiano, che della frenata al green deal e alla decarbonizzazione (in questo caso l’industria tedesca è allineata alla nostra) non può che essere soddisfatto. Manca solo il premierato europeo e siamo di fronte a un programma modellato su quello del nostro centrodestra. Ora immaginate la smorfia di Elly Schlein, capo del Pd, la principale delegazione dei socialisti europei, quando avrà letto le basi dell’accordo che dovrà stipulare con i popolari: si tratta di dire sì a Bruxelles ai provvedimenti più aspramente contrastati a Roma, a partire dalle soluzioni proposte sull’immigrazione. Perché il Ppe ha deciso di andar giù così pesante? Le risposte sono diverse. Prima di tutto, banalmente, i popolari hanno capito che le politiche turbo green e quelle fallimentari sull’immigrazione sono state alla base della disfatta di socialisti e liberali e della crescita delle destre. In secondo luogo, il Ppe vuol fare capire ai socialisti chi comanda davvero nella maggioranza dopo le Europee. Naturalmente, si tenta anche di blandire i conservatori di Ecr, guidati dalla Meloni, che potrebbero contribuire con una «fiducia tecnica» alla partenza della Commissione, salvo poi, nelle commissioni, dare battaglia su tutti i temi sgraditi. Detto ciò, da osservatori della politica italiana, regno del più sfrenato tatticismo parlamentare, non possiamo non leggere in questo documento così duro una trappola per la stessa Von der Leyen che, ricordiamolo sempre, gli stessi popolari hanno nominato candidata alla presidenza della Commissione con una altissima percentuale di astenuti e non partecipanti al voto, in occasione del congresso di Sofia dello scorso marzo. Il voto di «fiducia» dell’Eurocamera, in programma il 18 luglio, è segreto, e quindi un programma così indigesto alle sinistre può provocare, oltre a un «no» in chiaro dei verdi, anche una crescita esponenziale dei franchi tiratori socialisti, che potrebbero impallinare Ursula. C’è anche un’altra lettura, più raffinata: mettiamo che una bella pattuglia di popolari, nel segreto dell’urna, votino contro la Von der Leyen: con proposte così caratterizzate sul versante del centrodestra, sarebbe facile scaricare la colpa dell’eventuale flop sui socialisti. A pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/documento-programmatico-ppe-trappolone-ursula-2668672499.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="dispetti-a-destra-sullautonomia" data-post-id="2668672499" data-published-at="1719969030" data-use-pagination="False"> Dispetti a destra sull’autonomia Nel pieno della campagna delle opposizioni per sbarrare il passo alla riforma, sull’autonomia diffrerenziata ieri è arrivato anche il «fuoco amico» del ministro della Protezione civile ed ex governatore della Sicilia Nello Musumeci. Commentando la decisione del presidente della Regione Veneto Luca Zaia di partire subito con la richiesta di negoziato col governo di Roma per le nove materie per le quali non c’è bisogno di attendere la definizione dei Lep, Musumeci ha usato toni particolarmente critici: «Io sono per l’autonomia differenziata», ha affermato, «a patto che si mettano le Regioni svantaggiate nelle condizioni di partire tutte dalla stessa linea». «La richiesta di Zaia», ha aggiunto, «mi sembra assolutamente precoce, c’è un problema di opportunità e la politica deve obbedire a questa regola non scritta». «In questo momento», ha aggiunto il ministro riferendosi indirettamente ai parlamentari meridionali di Forza Italia e al governatore calabrese Roberto Occhiuto, «permangono delle perplessità anche all’interno della maggioranza di governo che ha votato quella riforma». Per Musumeci Zaia, anziché partire subito con le materie extra-Lep, dovrebbe «accelerare invece assieme al governo il processo che deve portare all’individuazione dei Lep, che sono una garanzia per quelle Regioni che, essendo svantaggiate, guardano con diffidenza all’applicazione della riforma». Immediata la replica del governatore: «Ho chiesto semplicemente l’applicazione della legge», ha detto, «a me sembra che in un Paese democratico, dove le leggi hanno ancora una validità, si possa appellarsi all’applicazione della legge. Lo facciamo con serenità, coscienti del fatto che è un percorso che dobbiamo fare assieme al governo». «Non ci vedo», ha concluso, «alcun ingresso a gamba tesa». Le parole di Musumeci, ovviamente, hanno dato slancio a Pd e M5s, già proiettati verso i ricorsi alla Consulta e il referendum abrogativo. Per i dem «fanno emergere non solo grandi divisioni nella maggioranza di governo ma anche la pericolosità del disegno leghista che assomiglia sempre più ad una vera e propria secessione». Il capogruppo al Senato Francesco Boccia ha chiesto che il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti riferisca in aula sulle richieste di Zaia esprimendo il proprio parere in merito, e alla sua richiesta si sono associati i pentastellati. Il tutto, mentre sul fronte della maggioranza a chiedere di trattare subito l’autonomia laddove possibile è stato anche il Piemonte a guida azzurra e su quello dell’opposizione la segretaria del Pd Elly Schlein ha fatto sapere che i governatori del suo partito stanno stanno lavorando per l’impugnazione del ddl Calderoli di fronte alla Corte costituzionale, in parallelo alla raccolta di firme su base nazionale per il referendum abrogativo. Osservato speciale, su questo fronte, Stefano Bonaccini, che si appresta a traslocare da Bologna a Bruxelles ma che si sta affrettando, come ultimo atto da governatore, a promuovere il referendum e a firmare il ricorso per una legge che sostanzialmente aveva avallato nel 2017, quando con Paolo Gentiloni a Palazzo Chigi aveva chiuso col governo delle pre-intese proprio sulle materie al centro oggi delle richieste di Zaia. «Zaia», ha affermato il capogruppo leghista a Palazzo Madama Massimiliano Romeo, «non ha fatto niente di diverso da quanto Bonaccini nel 2017 chiedeva con le pre-intese, il fatto è che per la sinistra l’autonomia è buona quando è al governo e cattiva quando è all’opposizione». «Il Pd», ha osservato via Bellerio in una nota, «è contro il progresso, l’efficienza, la trasparenza e il taglio degli sprechi che l’autonomia porterà. Non ci stupisce». Anche Fdi, al netto delle parole di Musumeci, non ha mancato di sottolineare le contraddizioni di Bonaccini: «In questa Regione», ha dichiarato il capogruppo in commissione Affari costituzionali al Senato, Marco Lisei, «stiamo vivendo il teatro dell’assurdo: gli stessi consiglieri di maggioranza dell’assemblea legislativa che quattro anni fa chiedevano a Bonaccini di procedere sull’autonomia oggi chiedono di bloccarla».
Laura Boldrini e Nancy Pelosi (Ansa)
Ecco #DimmiLaVerità del 21 ottobre 2025. Ospite Fabio Amendolara. L'argomento del giorno è: "Gli ultimi sviluppi del caso di Garlasco".