2019-10-31
Dna mai archiviato e scivoloni sul sangue. Che caos l’inchiesta sul delitto di Garlasco
Un giudice ricostruisce in un libro l'indagine sull'omicidio di Chiara Poggi per cui è stato infine condannato il fidanzato Alberto Stasi.L'elenco degli svarioni che hanno messo in ginocchio l'inchiesta (sull'omicidio di Chiara Poggi, avvenuto il 3 agosto 2007 a Garlasco, in provincia di Pavia, ndr) è imbarazzante. Dell'indagine si è occupata un pubblico ministero di trentotto anni, al suo primo incarico. È stata lasciata sola, troppo: il titolare e gli altri due sostituti erano in ferie. La gestione della scena del crimine è stata imbarazzante: in poche ore, tra carabinieri, medici legali, inquirenti e necrofori, sono entrate nella casa di via Pascoli almeno venticinque persone, tante sono le paia di scarpe che si sono dovute sequestrare per le comparazioni per esclusione. Nessuno, salvo il personale del 118, indossava guanti e calzari. E c'era chi realizzava immagini ricordo con la sua macchinetta, chi camminando avanti e indietro è scivolato sul sangue e poi è andato a pulirsi le scarpe sullo zerbino, chi ha usato il bagno per fare i suoi bisogni, persino chi ha avuto un conato di vomito davanti alla scena raccapricciante. E che dire dell'amatissima gatta Piuma, per giorni lasciata libera di scorrazzare in casa, cancellando e inquinando tracce? Il corpo di Chiara è stato spostato in modo inadeguato, con un'operazione che può aver compromesso tracce risolutive. Una foto, l'unica foto del cadavere, scattata sulla scena del crimine mostra le impronte delle dita di una mano impresse sul pigiama rosa di Chiara. È una delle prime immagini. Poi il corpo verrà girato, tutto il sangue colerà e coprirà per sempre questa traccia che poteva rappresentare la firma «digitale» dell'assassino. I Ris sbarcano a Garlasco solo tre giorni dopo l'omicidio e ricominciano tutto da capo. Delle diciassette impronte digitali repertate, ben sei appartengono a tre ufficiali dei carabinieri che si sono mossi senza guanti. La Procura fa svolgere l'autopsia solo il 16 agosto, tre giorni dopo l'assassinio: il dottor Marco Ballardini sceglie per giunta un obitorio non perfettamente attrezzato come quello dell'ospedale di Vigevano, in cui manca una bascula per pesare il cadavere e, quindi, stabilire l'ora precisa del decesso. I carabinieri e il medico legale dimenticano persino di prendere le impronte digitali di Chiara: non si può fare altro che riesumare la salma e profanare ancora il corpo della povera ragazza. E poi Alberto (Stasi, fidanzato della vittima, riconosciuto definitivamente colpevole il 12 dicembre 2015, ndr) viene indagato addirittura sette giorni dopo il crimine, nonostante tre lunghi interrogatori come persona informata sui fatti e venti ore di dichiarazioni zeppe di errori e contraddizioni. Viene per questo ritardata in modo intollerabile la perquisizione della sua abitazione, effettuata senza neanche il luminol. L'officina di autoricambi del padre non sarà mai perquisita. Solo quaranta giorni dopo l'omicidio, i carabinieri notano una sirena all'esterno del luogo del delitto, ma è tardi: il sistema d'allarme ha una memoria per cento eventi, il 13 agosto è cancellato per sempre. Molti video dei sistemi di sicurezza di banche e altri luoghi protetti sono stati colpevolmente ignorati. Nessuno chiede ai gestori i dati relativi ai traffici e-mail e chat dei due ragazzi: quando lo faranno i periti, due anni dopo, sarà troppo tardi. Il computer di Alberto, acquisito il 14 agosto, è rovistato senza rispettare le procedure, in modo da disperdere una quantità notevole di notizie preziose. Poi ci sono le scarpe pulite dell'imputato, sequestrate con diciassette ore di ritardo, dando modo alla difesa di sostenere la tesi della dispersione delle tracce nel corso del successivo utilizzo. Le scarpe dovevano essere acquisite nell'attimo stesso in cui si era riscontrata la diversità tra quelle Lacoste con le suole «a lisca di pesce» e le molte impronte con la suola «a pallini» lasciate a casa Poggi. Solo molto tempo dopo si stabilirà che si tratta di scarpe di marca Frau, numero 42. E la bicicletta da donna che la famiglia Stasi possiede, dello stesso modello e colore di quella vista alle 9.10 da due testimoni davanti alla villetta di via Pascoli, non è sequestrata. Gli inquirenti se la cavano mandando il maresciallo Francesco Marchetto, il comandante della stazione di Garlasco, che, dopo aver visionato la bici, la ritiene non corrispondente perché non ha le molle cromate sotto la sella. Il militare sarà indagato e condannato in primo grado per falsa testimonianza, con l'accusa di aver dichiarato al gup di Vigevano, in modo contrario al vero, di aver partecipato all'escussione della signora Bermani (una testimone, ndr) sulle caratteristiche della bici da donna vista quel 13 agosto davanti alla casa di via Pascoli 8. Viene invece sequestrata ai Poggi una bici bianca usata da Chiara. Perché? Il fatto che il maresciallo Marchetto, nel corso dell'interrogatorio nella notte tra il 13 e il 14 agosto, abbia mostrato ad Alberto la foto di Chiara ha poi reso possibile la correzione delle sue prime incongruenti dichiarazioni sulle condizioni del corpo della ragazza senza vita. Anche il fermo disposto dal pubblico ministero dopo una relazione provvisoria sul sangue trovato su un pedale della bici di Alberto è stato un errore. Una mossa tardiva e precipitosa al tempo stesso. La bocciatura del gip azzopperà l'inchiesta. E poi il mancato esame del Dna mitocondriale del capello stretto dalla mano sinistra della vittima, il materiale subungueale lasciato disperdere, un album fotografico sequestrato a Stasi e scomparso, il mancato approfondimento delle escoriazioni che Alberto mostrava nel primo interrogatorio, le troppe fughe di notizie sulle sommarie informazioni. Tanti errori nelle indagini...
(Ansa)
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Carlo Nordio, Matteo Piantedosi, Alfredo Mantovano (Ansa)