
Dopo un anno di chiusure nessuno ricorda che, per la Costituzione, l'Italia è «fondata sul lavoro». Pure la libertà di movimento è scomparsa senza grandi proteste, in nome di una presunta salute. Che però è intesa come assenza di Covid: il resto non conta.Sarò strano io, ma anche dopo un anno di lavaggio del cervello a reti unificate non riesco ad abituarmi all'idea che si parli di chiusure (anzi, di lockdown, che fa più figo), con tanta leggerezza. Zone rosse, arancioni, giallo rinforzato, coprifuoco: se ne discute come fossero variabili tecniche, da adottare in base ad algoritmi. Non affiora nemmeno più nel dibattito pubblico l'idea che si tratti di gravissime lesioni di prerogative costituzionali. Al massimo si discute sulla tempestività e sull'entità dei risarcimenti da dare a chi è costretto a non lavorare. Ma nessuno parla più del diritto al lavoro, il quale, ricordo sommessamente, sarebbe posto a pilastro della nostra Carta ben prima degli altri: «L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro»… Dice ancora qualcosa a qualcuno? Sembrerebbe di no. Così come pare non importare la sacrosanta libertà di uscire di casa e muoversi a proprio piacimento, il diritto all'educazione, la proprietà privata calpestata con i divieti di accedere alle seconde case.Di tutta la «Costituzione più bella del mondo» ci resterebbe solo il diritto alla salute. Anzi, è in nome di quel diritto fondamentale, ci assicurano, che si perpetrano gli altri soprusi. Ma è falso pure questo. La salute di una persona si basa su un complesso di fattori che vanno dal benessere, fisico e psichico, alla cura delle malattie. Ma è evidente che il benessere fisico è impedito dai divieti di usufruire di impianti sportivi e persino di muoversi e respirare liberamente all'aperto, quello mentale è largamente compromesso dal regime di restrizioni, mentre cura e prevenzione sono subordinate e pesantemente condizionate dalla «lotta al coronavirus». Risultato: il diritto alla salute è diventato solo il diritto a non ammalarsi di Covid. Il che in realtà non ne fa più un diritto, bensì un divieto: ti è proibito contrarre l'infezione. Del resto, ti dicono, non vedi? La pandemia fa 300 morti al giorno. E via a stracciarsi le vesti in tv. Degli altri 1.500 italiani che crepano quotidianamente per le più svariate patologie non virali (numero destinato a crescere appunto per la carenza di attività motoria, di prevenzione e di cure) non gliene può fregare di meno.E in un anno, come ricordava ieri il direttore Maurizio Belpietro, nessun passo avanti. Siamo in ritardo clamoroso sui vaccini. Non abbiamo un protocollo per le cure precoci a domicilio che consentirebbero di evitare di intasare gli ospedali. E non abbiamo studi che ci dicano se quello che facciamo abbia almeno un senso. Altri li hanno fatti, questi studi, e la scoperta è che no, le nostre restrizioni non danno risultati apprezzabili. Tutt'altro. Come del resto era facilmente intuibile anche da noi poveri osservatori per il fatto che abbiamo indici di mortalità (decessi per numero di abitanti) e di letalità (decessi per numero di contagiati) tra i peggiori del mondo. Eppure continuiamo imperterriti nella nostra equazione: più contagi, più chiusure. Con odiosi corollari come l'imposizione delle mascherine all'aperto, da tutti riconosciuta misura inutile eppure resa obbligatoria (anzi, praticamente obbligatoria: c'è una vigliaccheria semantica nella norma che la fa apparire tale anche se non lo sarebbe) per «educare la gente». Gente che, va detto con tristezza, dal canto suo si fa educare con disarmante facilità. Bombardata, terrorizzata. Sempre appesa, come i bambini, alle promesse del premier di turno, rassicurante spacciatore di un'esistenza a rischio zero: stiamo lontani oggi per abbracciarci domani; chiudiamo adesso per goderci il Natale; rinunciamo a Natale e Capodanno per festeggiare il carnevale; stringiamo i denti in quaresima per una Pasqua serena; Pasquetta a casa, ma vedrete che estate. E noi tutti lì, sempre più sgomenti, a chinare il capo e a tirare avanti in qualche modo, rinunciando a vivere pur di sopravvivere. Insomma, una malattia seria ma gestibile - aggravata dalle decisioni iniziali di Cina, Oms e duo Conte&Speranza ma comunque gestibile - è stata trasformata nella madre di tutte le pestilenze da un approccio metodologico dissennato anche sul piano sanitario (bastino come esempi l'azzeramento della medicina territoriale, prima trincea di ogni malattia epidemica, e la proibizione di effettuare autopsie) e dall'isteria generata dall'informazione, che ha completamente tradito il suo ruolo per farsi megafono delle decisioni della politica, quando non addirittura istigatrice delle stesse. E ovviamente da un potere che ha compreso al volo come la pandemia fosse l'occasione della vita per spazzare via un po' di pastoie democratiche e completare l'opera, già abbondantemente avviata, di trasformazione della società in una massa di individui manovrabili con le armi della paura e dei sussidi.La domanda è: fino a quando vogliamo andare avanti in questo modo?
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