2020-06-30
«Gli immigrati? Un miracolo fatto da Dio per darmi i soldi»
Don Antonio Zanotti, già indagato per abusi sessuali, a Bergamo gestiva fiumi di denaro pubblico. E tagliava le spese sul cibo per gli stranieri. Due dipendenti: «Butta via i milioni e al posto di pagare gli stipendi investe in mobili».Per padre Antonio Zanotti gli immigrati sono stati «il miracolo di Dio». Il frate bergamasco, classe 1947, era il dominus della coop Rinnovamento, formalmente presieduta da Anna Maria Preceruti. Decideva tutto, tirava le fila di una associazione criminale basata sullo sfruttamento degli stranieri. Gli investigatori lo definiscono «soggetto alla spasmodica ricerca dell'arricchimento personale sfruttando, tra l'altro, la delicata questione dell'accoglienza». In effetti di soldi, attorno alla coop, negli anni ne sono girati parecchi. A spanne, circa 5 milioni di euro dalla prefettura di Bergamo, 600.000 da quella di Como, 500.000 da Lodi e altri ancora da Milano. Tutti per ospitare immigrati che padre Zanotti e i suoi collaboratori trattavano in modo indegno. Il frate, per altro, era già noto alle cronache per un'altra pesante accusa piovuta sul suo capoccione. Dal 2017 è sotto indagine per abusi sessuali su un migrante, che sarebbero avvenuti proprio in uno dei suoi centri. Tutto è iniziato da lì, dalla visita dei carabinieri a un centro di Fontanella, dopo che un'operatrice aveva denunciato una violenza da parte di un ospite straniero. Quando le forze dell'ordine arrivarono, si resero conto che le condizioni dello stabile erano terribili. E, scavando, scoprirono traffici condotti a spese dei cittadini italiani e sulla pelle degli aspiranti profughi.Zanotti i migranti li considerava una sorta di tesoro personale, un regalo che gli era arrivato direttamente dal cielo. Intercettato nel 2018, sembrava invasato: «Dio non si dimenticherà mai perché me l'ha promesso la Madonna: non ti prometto di essere né povero né ricco, ma tutto quello di cui tu avrai bisogno io te lo darò». Al telefono con la sua collaboratrice Anna Maria Preceruti, Zanotti ricorda i momenti di difficoltà economica, che lo avevano quasi costretto a vendere degli immobili. Ma ecco il «miracolo»: «Poi Dio mi ha mandato quelli di colore», dice il padre. E assieme a «quelli di colore» sono arrivati i soldi. Denaro che il religioso ha utilizzato da spietato uomo d'affari, come dice lui stesso in un'altra conversazione: «Creare delle attività produttive? È questo che io, siccome io sono proprio un... non so come si dice la parola, non un commerciante, un... ma... ma neanche un intenditore, sono un... sono un imprenditore, e l'imprenditore vede i rischi che la sua realtà sta andando verso una non produttività, perché sono un imprenditore, sono nato cosi non lo so, sono frate, ma mi hanno detto tutti “tu sei un grande imprenditore", io come imprenditore di tutta la mia struttura, vedo che è a rischio, è a rischio, basta!». Un frate, dunque, ma anche un imprenditore. Solo che gli imprenditori dovrebbero fare affari con i soldi propri, non con quelli dei contribuenti. Le strutture gestite dal gruppo di Zanotti ricevono una marea di denaro pubblico, ma il prete non vuole che spendano. Si lamenta persino con i suoi collaboratori dei costi della verdura acquistata per il centro di Campisico di Capralba, dove stanno mamme con bambini. «Altro che 200 euro di verdura, di frutta alla settimana, in nessun albergo al mondo si spende così!», grida al telefono il religioso. Indicativa, a questo proposito, una conversazione registrata dagli inquirenti fra Giovanni Trezzi della coop Rinnovamento (ora indagato) e un altro socio, Adriano Capponi (che pare estraneo alla vicenda criminale). I due parlano di padre Zanotti. Trezzi: «Lui dice che è il padre padrone, vuole sapere tutto anche quante mele mangiano i bambini a Campisico... ma ti rendi conto figa... io non posso andare a dire a un bambino se deve mangiare la mela o no?! Figa una volta mi parlava di 2 euro mi ha fatto le storie per un 2 euro... gli ho detto arrangiati... è allucinante... no... fa cioè...».Trezzi: «Ancora il rumeno Aurash figa... Ionescu Aureil... figa questo qua che lo ricatta in continuazione non so perché lo ricatta... non so ancora perché lo ricatta, se uno è ricattabile qualcosa avrà fatto... eh... prende 1.500 gli hanno dato l'aumento e prende 1.500 euro al mese senza fare niente... non fa niente, niente! Cioè dai non esiste fischia una cosa del genere; poi [...] un ragazzo gli ha rubato in casa e gli ha portato via 17.000 euro... Ma lui cosa ci fa con 17.000 euro in casa scusa? Cosa ci fa lui con 17.000 euro in casa?! Cosa ci fa? Dove li ha presi? Che soldi sono questi qua? Cioè capisci?».Capponi: «Son quelli che lui prende su con la gente...». Trezzi: «Ma no, ma che gente, ma va... figa vai a messa c'è... oramai non c'è più niente... nessuno gli dà più niente eh... sono soldi che lui preleva dalla cooperativa senza dir niente a nessuno e se li tiene lui per far le sue cose». Secondo gli investigatori, padre Zanotti «utilizza il denaro destinato all'accoglienza dei migranti per mantenere in vita le attività commerciali e produttive create all'interno della cooperativa al solo fine di generare fondi neri dai quali poter attingere denaro per scopi personali». Tra queste attività c'è anche una compravendita di mobili tramite un negozio allestito in un capannone a Barbata e tramite il Web (su eBay e altri siti). Secondo gli inquirenti, questi mobili «provengono in piccola parte da donazioni di benefattori e in maggioranza da acquisti fatti dallo stesso prelato con assegni». Apparentemente è un'attività lecita, per tirare su qualche soldo da destinare alla coop, ma padre Zanotti va oltre, la sua è una holding, interessata soprattutto a mobili antichi e pregiati. In una conversazione telefonica registrata nel marzo 2018, Giovanni Trezzi e Adriano Capponi forniscono ulteriori dettagli e spiegano che «tutti i soldi provento dell'accoglienza dei migranti» sono utilizzati dal prete «per mantenere in vita tutte le attività commerciali inserite nella cooperativa tra cui quella presso il capannone di Barbata». Trezzi: «È lui, è lui che spende figa mica noi, è lui che spende! Gli altri bene o male non, non, solo che a lei (si riferisce a Monica Dellera, contabile della coop Rinnovamento, ndr) gli ha dato fastidio che non c'erano i soldi per pagare gli stipendi e gli ha fatto pagare dei mobili e non gli stipendi e lei dice io ho il mutuo da pagare, a me non interessa questa cosa qua, non esiste!». Capponi: «I mobili di cosa?». Trezzi: «Eh i suoi mobili, continua a comprare mobili... ha lì due capannoni pieni di mobili che sono lì a marcire figa e non riusciamo a capire cosa succede boh! [...] Adesso i migranti, figa con Salvini al governo non si fa più un cazzo coi migranti eh! Cioè non è che... adesso, cioè noi i soldi che abbiamo guadagnato coi migranti li ha buttati tutti in queste cose qua!». I soldi per l'accoglienza arrivano, e il prete li usa per comprare i mobili da rivendere. E per avere ancora più denaro a disposizione, taglia sulle spese per i profughi, tanto che la contabile Monica Dellera, in una telefonata sbotta: «Mancavano le banane e c'erano i bambini che volevano le banane [...] e lui ha sindacato, fa “spende 20.000 euro al mese di mobili e non posso portare 20 euro di banane ai bambini", cioè ma questo è pazzo». Pazzo o no, il prete dell'accoglienza era considerato «uno dei buoni».
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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