
Prosegue la guerra civile in Sudan. Le Rsf hanno annunciato di aver preso il controllo della città di Singa, la capitale dello Stato di Sennar. Questo significa che i paramilitari si stanno avvicinando al Mar Rosso. Secondo Al Jazeera, le Rsf stanno «prendendo il controllo di un numero crescente di territori in tutto il Sudan, soprattutto nelle parti orientali e occidentali del Sud del Paese». Ricordiamo che la guerra in corso è scoppiata nell’aprile del 2023 tra il capo dell’esercito Abdel Fattah al-Burhan e le stesse Rsf. «L’ultima svolta delle Rsf», ha proseguito Al Jazeera, «significa che si stanno avvicinando a Port Sudan sul Mar Rosso, dove ora hanno sede l’esercito, il governo e le agenzie delle Nazioni Unite».Si tratta di un elemento di cruciale importanza. Per un certo periodo di tempo, la Russia aveva spalleggiato proprio le Rsf. Addirittura la Cnn riportò che il Wagner Group aveva fornito armi ai paramilitari attraverso le basi libiche del generale Khalifa Haftar. La stessa testata raccontò anche che la Russia utilizzava l’oro sudanese per finanziare i propri sforzi bellici in Ucraina. Poi qualcosa è parzialmente cambiato. Secondo quanto recentemente riferito da Deutsche Welle, Mosca starebbe convincendo il governo sudanese ad aprire una propria base navale nei pressi di Port Sudan. A fine maggio, le due parti hanno inoltre reso noto di essere pronte a siglare una serie di accordi sul fronte della difesa e dell'economia. È chiaro che adesso le incognite aumentano. Primo: come si comporterà la Russia qualora le Rsf dovessero riuscire a espugnare Port Sudan nei prossimi mesi? Secondo: quale impatto potrebbe avere un simile evento sugli equilibri politico-militari del Mar Rosso? Ricordiamo infatti che quest’area è da mesi assai instabile a causa delle attività ostili degli Huthi, che sono a loro volta finanziati dall’Iran. Quegli stessi Huthi che, secondo l’intelligence americana, sarebbero in trattative con il gruppo islamista somalo, al-Shabaab, per fornirgli degli armamenti. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Teheran è uno dei principali alleati mediorientali di Mosca e che fornisce a quest’ultima droni da utilizzare contro l’Ucraina. Non solo. Stando a quanto riportato da Reuters lo scorso aprile, il regime khomeinista avrebbe fornito droni anche alle truppe sudanesi impegnate contro le Rsf. Ecco, non si può del tutto escludere che, qualora i paramilitari riuscissero a prendere Port Sudan, Mosca e Teheran possano passare dall’altra parte della barricata. Per la Russia si tratta d’altronde di un calcolo delicato: non dimentichiamo infatti che, negli ultimi due anni e mezzo, la longa manus del Cremlino si è notevolmente rafforzata su larga parte del Sahel: dal Mali al Burkina Faso, passando per il Niger. Il problema è che, almeno per ora, l’Occidente non si è rivelato granché in grado di reagire e continua a perdere terreno nella regione. Il Piano Mattei invertirà finalmente questa preoccupante tendenza?
Francobollo sovietico commemorativo delle missioni Mars del 1971 (Getty Images)
Nel 1971 la sonda sovietica fu il primo oggetto terrestre a toccare il suolo di Marte. Voleva essere la risposta alla conquista americana della Luna, ma si guastò dopo soli 20 secondi. Riuscì tuttavia ad inviare la prima immagine del suolo marziano, anche se buia e sfocata.
Dopo il 20 luglio 1969 gli americani furono considerati universalmente come i vincitori della corsa allo spazio, quella «space race» che portò l’Uomo sulla Luna e che fu uno dei «fronti» principali della Guerra fredda. I sovietici, consapevoli del vantaggio della Nasa sulle missioni lunari, pianificarono un programma segreto che avrebbe dovuto superare la conquista del satellite terrestre.
Mosca pareva in vantaggio alla fine degli anni Cinquanta, quando lo «Sputnik» portò per la prima volta l’astronauta sovietico Yuri Gagarin in orbita. Nel decennio successivo, tuttavia, le missioni «Apollo» evidenziarono il sorpasso di Washington su Mosca, al quale i sovietici risposero con un programma all’epoca tecnologicamente difficilissimo se non impossibile: la conquista del «pianeta rosso».
Il programma iniziò nel 1960, vale a dire un anno prima del lancio del progetto «Gemini» da parte della Nasa, che sarebbe poi evoluto nelle missioni Apollo. Dalla base di Baikonur in Kazakhistan partiranno tutte le sonde dirette verso Marte, per un totale di 9 lanci dal 1960 al 1973. I primi tentativi furono del tutto fallimentari. Le sonde della prima generazione «Marshnik» non raggiunsero mai l’orbita terrestre, esplodendo poco dopo il lancio. La prima a raggiungere l’orbita fu la Mars 1 lanciata nel 1962, che perse i contatti con la base terrestre in Crimea quando aveva percorso oltre 100 milioni di chilometri, inviando preziosi dati sull’atmosfera interplanetaria. Nel 1963 sorvolò Marte per poi perdersi in un’orbita eliocentrica. Fino al 1969 i lanci successivi furono caratterizzati dall’insuccesso, causato principalmente da lanci errati e esplosioni in volo. Nel 1971 la sonda Mars 2 fu la prima sonda terrestre a raggiungere la superficie del pianeta rosso, anche se si schiantò in fase di atterraggio. Il primo successo (ancorché parziale) fu raggiunto da Mars 3, lanciato il 28 maggio 1971 da Baikonur. La sonda era costituita da un orbiter (che avrebbe compiuto orbitazioni attorno a Marte) e da un Lander, modulo che avrebbe dovuto compiere l’atterraggio sulla superficie del pianeta liberando il Rover Prop-M che avrebbe dovuto esplorare il terreno e l’atmosfera marziani. Il viaggio durò circa sei mesi, durante i quali Mars 3 inviò in Urss preziosi dati. Atterrò su Marte senza danni il 2 dicembre 1971. Il successo tuttavia fu vanificato dalla brusca interruzione delle trasmissioni con la terra dopo soli 20 secondi a causa, secondo le ipotesi più accreditate, dell’effetto di una violenta tempesta marziana che danneggiò l’equipaggiamento di bordo. Solo un’immagine buia e sfocata fu tutto quello che i sovietici ebbero dall’attività di Mars 3. L’orbiter invece proseguì la sua missione continuando l’invio di dati e immagini, dalle quali fu possibile identificare la superficie montagnosa del pianeta e la composizione della sua atmosfera, fino al 22 agosto 1972.
Sui giornali occidentali furono riportate poche notizie, imprecise e incomplete a causa della difficoltà di reperire notizie oltre la Cortina di ferro così la certezza dell’atterraggio di Mars 3 arrivò solamente dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991. Gli americani ripresero le redini del successo anche su Marte, e nel 1976 la sonda Viking atterrò sul pianeta rosso. L’Urss abbandonò invece le missioni Mars nel 1973 a causa degli elevatissimi costi e della scarsa influenza sull’opinione pubblica, avviandosi verso la lunga e sanguinosa guerra in Afghanistan alla fine del decennio.
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Il presidente torna dal giro in Francia, Grecia e Spagna con altri missili, caccia, radar, fondi energetici. Festeggiano i produttori di armi e gli Stati: dopo gli Usa, la Francia è la seconda nazione per export globale.
Il recente tour diplomatico di Volodymyr Zelensky tra Atene, Parigi e Madrid ha mostrato, più che mai, come il sostegno all’Ucraina sia divenuto anche una vetrina privilegiata per l’industria bellica europea. Missili antiaerei, caccia di nuova generazione, radar modernizzati, fondi energetici e contratti pluriennali: ciò che appare come normale cooperazione militare è in realtà la struttura portante di un enorme mercato che non conosce pause. La Grecia garantirà oltre mezzo miliardo di euro in forniture e gas, definendosi «hub energetico» della regione. La Francia consegnerà 100 Rafale F4, sistemi Samp-T e nuove armi guidate, con un ulteriore pacchetto entro fine anno. La Spagna aggiungerà circa 500 milioni tra programmi Purl e Safe, includendo missili Iris-T e aiuti emergenziali. Una catena di accordi che rivela l’intreccio sempre più solido tra geopolitica e fatturati industriali. Secondo il SIPRI, le importazioni europee di sistemi militari pesanti sono aumentate del 155% tra il 2015-19 e il 2020-24.
Imagoeconomica
Altoforno 1 sequestrato dopo un rogo frutto però di valutazioni inesatte, non di carenze all’impianto. Intanto 4.550 operai in Cig.
La crisi dell’ex Ilva di Taranto dilaga nelle piazze e fra i palazzi della politica, con i sindacati in mobilitazione. Tutto nasce dalla chiusura dovuta al sequestro probatorio dell’altoforno 1 del sito pugliese dopo un incendio scoppiato il 7 maggio. Mesi e mesi di stop produttivo che hanno costretto Acciaierie d’Italia, d’accordo con il governo, a portare da 3.000 a 4.450 i lavoratori in cassa integrazione, dato che l’altoforno 2 è in manutenzione in vista di una futura produzione di acciaio green, e a produrre è rimasto solamente l’altoforno 4. In oltre sei mesi non sono stati prodotti 1,5 milioni di tonnellate di acciaio. Una botta per l’ex Ilva ma in generale per la siderurgia italiana.
2025-11-20
Mondiali 2026, il cammino dell'Italia: Irlanda del Nord in semifinale e Galles o Bosnia in finale
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Getty Images
Gli azzurri affronteranno in casa l’Irlanda del Nord nella semifinale playoff del 26 marzo, con eventuale finale in trasferta contro Galles o Bosnia. A Zurigo definiti percorso e accoppiamenti per gli spareggi che assegnano gli ultimi posti al Mondiale 2026.





