
L’elogio dei quarti posti è ipocrita e spinge l’atleta che perde ad adagiarsi, anziché rialzarsi e migliorare.In questi giorni non si trova un falegname libero neanche a Cantù, stanno tutti fabbricando medaglie di legno. Colti di sorpresa dalla nuova filosofia olimpica, gli artigiani del massello hanno deciso di saltare le vacanze e di piallare dischi in noce per coprire il fabbisogno nazionale: a Parigi ne abbiamo vinti 25 e i media del corretto vivere (dentro il Truman Show) ci fanno sapere che dovremmo pure celebrarle. Nel segno dell’inclusività cosa c’è di meglio che stappare champagne in un angolo per il quarto posto mentre tre allocchi sul podio s’illudono - mordendo l’oro e cantando l’inno - di avere raggiunto un obiettivo storico?La fenomenologia della medaglia di legno ha qualcosa di infantile e woke (sinonimo). Qualcosa di consolatorio, un po’ da sacrestia, che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella si appresta a istituzionalizzare ricevendo (il 23 settembre al Quirinale) anche gli azzurri arrivati quarti. Il gesto è nobile, va oltre il barone De Coubertin che aveva inventato «l’importante è partecipare» per rincuorare i perdenti. Todos caballeros, pure quelli con il rovere al collo. Per niente affascinati dallo spirito del tempo, riteniamo sbagliato dare un significato ufficiale alla negazione stessa del trionfo e della disperazione che stanno in quel «centesimo stronzo» (meravigliosa definizione della ranista Benedetta Pilato) che fa la differenza fra la vittoria e la sconfitta. Nel mondo dello Sport di vertice appiattire un exploit è dannoso. Come dire che a Parigi abbiamo fatto meglio che a Tokyo, pur sapendo che l’oro nei Cento piani e nel Salto in alto non sono barattabili. Con niente. Provare a consolare chi non ce l’ha fatta edulcorando la beffa cosmica ha in sé qualcosa di irrispettoso, anche perché i primi a sapere di avere fallito sono gli atleti che vorremmo trattare da poppanti. «Beati gli ultimi perché saranno i primi» va bene per il parroco, non per chi si ammazza di fatica per imitare Usain Bolt o semplicemente Marcell Jacobs, che essendo arrivato quinto meriterebbe almeno una medaglia di polenta. Proprio questo intendeva dire Elisa Di Francisca (magari con qualche grammo di supponenza in meno) mentre rimbrottava proprio la Pilato, felice di essere arrivata quarta. La campionessa del fioretto (due ori) lo ha spiegato ieri in una bella intervista al Corriere della Sera, ribadendo che «un quarto posto io l’avrei vissuto in modo molto diverso». Frustrazione, spirito di rivalsa, determinazione per riuscire a limare quel «centesimo stronzo». L’essenza dello sport è costruire il trionfo dalle macerie della sconfitta. Spiega ancora Di Francisca: «È la sofferenza che ti prepara alla vita, non l’accontentarsi. Ma io quella fame feroce oggi la vedo in pochi. Parliamo di cattiveria agonistica. Quando salivamo in pedana (lei, Giovanna Trillini, Valentina Vezzali, ma anche Federica Pellegrini sui blocchi della piscina, Jury Chechi agli anelli - ndr) ci trasformavamo. I ragazzi che si accontentano, i genitori accondiscendenti, la proposta di abolire i voti a scuola. Mi sembra il discorso culturale di una società che attraversa un cambio generazionale». Una società in declino, che fa sventolare la bandiera del sei politico, ti giudica dai post su Instagram e arriva a frustrare il merito perfino alle Olimpiadi. Dicono che premiare il quarto sia «un segno di FairPlay». Esattamente il contrario, significa prendere in giro quell’atleta, svilire la sua rabbia interiore, illuderlo che il gregge sia un buon riparo dalle sfide della vita. La medaglia di legno non è inclusione ma illusione. Il quarto posto dev’essere un trampolino di lancio non un reddito di cittadinanza. Chiude Di Francisca: «Ai miei figli non insegnerò l’obbligo di vincere a tutti i costi, ma sanno che non fare bene una cosa porta a conseguenze. Non drammatiche, ma conseguenze. Il buonismo imperante non è la mia filosofia».«Felicità è il ciclista in fuga, non la premiazione sul traguardo». Quando lo scriveva, Jorge Luis Borges immaginava il fremito del vento in faccia, la strada solitaria senza schiene colorate da sorpassare, la sublimazione dell’avventura che non prevede il quarto posto. Che premio dai a chi ne ha davanti tre? La maglia rosa e quella gialla sono già lontane. Oggi un Frecciarossa prende il nome di un certo Pietro Mennea da Barletta. Uno che sapeva cos’era la sofferenza. E la medaglia di legno l’avrebbe tirata in testa a chi gliela consegnava.
La poetessa russa Anna Achmatova. Nel riquadro il libro di Paolo Nori Non è colpa dello specchio se le facce sono storte (Getty Images)
Nel suo ultimo libro Paolo Nori, le cui lezioni su Dostoevskij furono oggetto di una grottesca polemica, esalta i grandi della letteratura: se hanno sconfitto la censura sovietica, figuriamoci i ridicoli epigoni di casa nostra.
Obbligazionario incerto a ottobre. La Fed taglia il costo del denaro ma congela il Quantitative Tightening. Offerta di debito e rendimenti reali elevati spingono gli operatori a privilegiare il medio e il breve termine.
Alice ed Ellen Kessler nel 1965 (Getty Images)
Invece di cultura e bellezza, la Rai di quegli anni ha promosso spettacoli ammiccanti, mediocrità e modelli ipersessualizzati.
Il principe saudita Mohammad bin Salman Al Sa'ud e il presidente americano Donald Trump (Getty)
Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
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